Padre Giulio Michelini – Commento al Vangelo del 17 Luglio 2022

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Marta e Maria

Dopo la sosta necessaria per raccontare la parabola del buon Samaritano, Gesù continua il suo viaggio verso Gerusalemme, entrando in un villaggio nel quale incontra le sorelle Marta e Maria. L’episodio appartiene a quella tradizione o fonte che solo Luca conosce, infatti non è riportato altrove nei sinottici; anche il Quarto vangelo però conosce le due donne, e ci dice che sono residenti di Betania, vicino a Gerusalemme, con il fratello Lazzaro.

La pagina di oggi è molto nota, e ha avuto anche un forte influsso nella vita e nella spiritualità dei cristiani e della Chiesa. Basti pensare, ad esempio, che san Francesco d’Assisi scrisse una “Regola” per i romitori immaginando che i frati dovessero ispirarsi a queste due sorelle, che presto diventano la rappresentazione della vita attiva e di quella contemplativa. Scrive Francesco: «Coloro che vogliono condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri […] e seguano la vita di Marta, e i due che fanno da figli quella di Maria». Queste parole ci permettono di osservare che un testo biblico non arriva mai a noi “semplicemente” nel suo significato originario, ma porta con sé una storia, quella che viene chiamata la storia dell’interpretazione o degli effetti (Wirkungsgeschichte). Compito di chi legge la Bibbia è anche scoprire se questi effetti sono partiti da presupposti corretti o meno.

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Se torniamo al testo, ci accorgiamo che dopo la sosta necessaria per raccontare la parabola del buon Samaritano, Gesù continua il suo viaggio verso Gerusalemme, entrando in un villaggio dove incontra le due sorelle. Poco sappiamo di loro, e del fratello: alcuni hanno ipotizzato che fossero celibi, perché non si parla né di mariti di Marta e Maria, né di mogli per Lazzaro, e per qualcuno apparterrebbero al gruppo dei pii israeliti chiamati esseni.

Più certo è il fatto che le due scene, quella della parabola del buon Samaritano e quella dell’incontro di Gesù con Marta e Maria siano collegate: la parabola serviva a spiegare cosa significhi amare il prossimo; questa pagina invece ci parla dell’amore per Dio. Luca, come polo contrario a un ideale filantropico troppo elevato, porta l’esempio di Maria e di Marta. Esegeti come G. Rossé vedono proprio una scelta accurata da parte dell’evangelista nel presentare di seguito le due scene: «L’insegnamento contenuto nel racconto è da leggere in relazione con la parabola precedente che completa dando fondamento al comportamento di misericordia: importa ascoltare la parola di Gesù perché autentica espressione del volere divino espresso nel comandamento dell’amore del prossimo. L’ascolto della parola di Cristo è dunque il fondamento del comportamento cristiano e diventa la condizione essenziale per ereditare la vita eterna». Le parole di Gesù a Marta, così, ristabiliscono una priorità e invitano a non perdere di vista l’essenziale, ciò di cui si ha veramente bisogno, ovvero, stare ai piedi di Gesù.

Si tratta della parte buona della vita, come dice il testo greco. La versione ufficiale del vangelo di Luca della Conferenza Episcopale Italiana sceglie però di tradurre con “parte migliore”. Come notato recentemente da Matteo Crimella, in questo modo si introduce una comparazione (poiché migliore suppone qualcosa di meno buono), che invece era assente anche nell’antica e prestigiosa traduzione della Vulgata di san Girolamo, dove si leggeva che Maria ha scelto la parte optimam (Maria optimam partem elegit), in quanto optimus è superlativo di bonus (e non comparativo, che è invece melior).

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L’aggettivo greco che usa Luca è hagathèn (da hagathós, “buono”), che nel Nuovo Testamento «designa innanzitutto l’incomparabile bontà che contraddistingue Dio nella sua essenza, o la sua volontà, il suo comandamento, il “conforto eterno” e la “buona speranza”, che Dio ha dato alla comunità e che qualifica la sua consolazione, e ogni dono buono, ogni regalo che discende dall’alto, dal “Padre dei lumi”» (Balz-Schneider), ma può avere un uso anche vario, come appunto per «la parte buona che Maria ha scelto (Lc 10,42)». Naturalmente si può discutere ogni traduzione, e infatti un altro esegeta di Luca come il già citato Rossé, che pure traduce la frase di Gesù con “parte buona”, aggiunge che «probabilmente il positivo “la parte buona” sta per il superlativo: la parte migliore, secondo l’uso semitico ed ellenistico», proprio come ritiene anche un altro studioso, Joseph Fitzmyer, che afferma la stessa cosa, e traduceva “la parte migliore”, perché nel greco ellenistico il grado positivo dell’aggettivo (“buono”) è usato sia per il superlativo sia per il comparativo (in disuso).

Ma allora qual è l’esatta traduzione per dire la scelta di Maria rispetto a quella di Marta, sua sorella? Difficile dirlo, più importante sottolineare che l’ascolto della parola di Gesù, la totale disponibilità alla venuta del Regno di Dio, è ciò che importa; tutto il resto non viene condannato, ma relativizzato. Luca vuole sottolineare come lo stare ai piedi di Gesù per ascoltare la Sua parola sia davvero buono, e un bene, il modo per poter ricevere un dono. Riprendendo ancora Matteo Crimella, possiamo sottolineare che Maria non ascolta semplicemente Gesù, ma la sua parola, e questo è significativo soprattutto per il lettore di oggi: «Il lettore non può più accogliere Gesù sotto il tetto della propria casa. Ma proprio per questa ragione il narratore annota che Maria “ascoltava la sua parola” (v. 39) invece di dire, con maggiore naturalezza, che “Maria lo ascoltava”. Tale sottile ma sostanziale differenza invita il lettore a riconoscere che la medesima esperienza di Maria è possibile a lui, molti anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, nella vicenda di fede cui è stato iniziato. Se, infatti, l’ascolto diretto di Gesù è negato al lettore, in quanto esperienza legata alla presenza storica del Nazareno, non gli è invece sottratto l’ascolto della sua parola, accessibile per mezzo della mediazione del testo composto sulla base della trasmissione dei testimoni divenuti ministri di quella medesima parola (cfr. Lc 1,2)».

Insomma, per tornare alla questione posta all’inizio di questo breve commento: Maria è modello forse di vita attiva e Marta di vita contemplativa? Da quanto abbiamo detto, sembrerebbe che nel testo non ci sono elementi per affermarlo: questa interpretazione è piuttosto una retroproiezione di quanto accadrà poi nella storia della chiesa. Piuttosto, è indubbio che nessuno può vivere il vangelo, l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, se non stando ai piedi di Gesù e non ascoltando la sua Parola, proprio come Maria.

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