HomeVangelo del Giornop. Giovanni Nicoli - Commento al Vangelo del 8 Marzo 2024

p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 8 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 12, 28b-34

Qualsiasi cosa abbia bisogno di essere portata a compimento significa che è incompiuta e vuota. Non si tratta di negare ciò che è stato detto ed affermato prima, si tratta invece di dare senso a quanto detto. O si continua a parlare facendo i ripetitori o i pappagalli di qualsiasi cosa mandata a memoria, oppure si comincia a dare sostanza a quanto viene detto.

Gesù è uno che parla con autorità, non come gli scribi e i farisei, sottolinea la gente. Ciò significa che prima di tutto è uno che crede a quanto trasmette. Non ha imparato la lezioncina ed è andato poi a comunicarla a quanti incontra. Ciò che comunica l’ha fatto suo, ha riempito di senso. Un senso che non accetta il dato che la legge possa donare salvezza, pur essendo giusta. Non esiste legge al mondo che abbia avuto la forza di cambiare il cuore di qualcuno, magari qualche atteggiamento esterno per paura di qualche ritorsione, ma il cuore, che è l’unica cosa che realmente interessa Dio: beh questa è tutta un’altra questione.

Israele, “se tu mi ascoltassi”, potresti ritornare a comprendere quale è il centro della vita. Se tu ami ascoltassi: “Ascolta Israele!”, il primo di tutti i comandamenti.

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Mi piacerebbe imparare ad ascoltare ogni giorno qualcosa e ogni giorno qualcosa di più. Ascoltare la Parola, sì, e imparare ad ascoltarla col cuore, ascoltarla con affetto, accogliendo qualcosa che qualcuno che mi ama mi dice. Ascoltare la natura: anch’essa mi parla di Dio, anche in essa Dio mi parla: mi piacerebbe imparare a sentirlo in ogni momento per comprendere cosa mi dice nella incarnazione di questa creazione da Lui a noi donata. Ascoltare la creazione per ritornare a scoprire la bellezza del dono e la sua gratuità. Ascoltarne i tempi e i ritmi per imparare a ritornare, a ritornare a ritmi più veri e più umani. Mi piacerebbe poterla ascoltare ogni giorno mentre vi cammino in mezzo senza i rumori dei centri commerciali e delle casse che continuano a battere cifre. E che dire della Parola che Dio mi dona se so ascoltare il soffio e il grido del fratello? So ascoltare il grido del fratello che ruba perché ha fame? So sentire ancora la sua fame, o il mio orecchio si è del tutto ottuso?

So ascoltare il cuore della città, delle fabbriche, degli uffici, delle piazze, che batte dell’amore di Dio forse a volte troppo stravolto? Cosa mi dice il cuore della mia città? Cosa mi dice il cuore della mia automobile o del treno regionale pieno e sporco? Cosa mi dice tutto questo? Solo un invito alla protesta troppo spesso sterile perché utile a riempire di promesse vuote i discorsi di qualche politico di turno? O diventa luogo che parla e che chiede una soluzione a me, prima ancora che ai politici? I potenti non hanno mai risolto i problemi della gente, caso mai hanno sfruttato il lavoro della gente per pagare i propri sfizi di guerra o di grandezza. Riesco ad ascoltare il problema di una strada sporca e a cercare la soluzione? Riesco a vedere un ruscello inquinato, a capirne le cause e a cercarne i rimedi?

“Ascolta Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore!”. È un atto di fede, questo, non è una banalità. È un invito a tutti gli uomini a non perdersi dietro a idoli umani, materiali o religiosi che siano, per ritornare all’amore puro di Dio. È un atto di fede liberante: non siamo schiavi di niente e di nessuno, perché Dio è nostro Padre e noi siamo gli eredi di questo suo amore infinito. Tutto il resto o passa in secondo piano o diventa idolo padrone che prima o poi ci schiaccia.

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Il Signore da ascoltare non vuole né sacrifici né offerte, relazionarsi col nostro Dio attraverso questi gesti è un banalizzare e uno sminuire il suo essere Padre e il nostro essere figli. Offerte e sacrifici servono solo ad illuderci di avere qualche diritto, l’amore non ci lascia tranquilli perché ci lascia liberi di andare sempre più lontano, sempre più avanti.

Mi piacerebbe ritornare ad imparare ad ascoltare la fedeltà di Dio che non dipende dalle nostre fedeltà o infedeltà. Dio è fedele a se stesso e al suo amore, non può tradirsi perché noi ci tradiamo. E la questione è chiara, ascolta: l’amore per Dio e per il prossimo vale più di tutti i sacrifici. Che dico: l’amore per Dio e per il prossimo è il vero e unico sacrificio a Dio gradito. Perché è l’unico vero sacrificio non nel senso banale della rinuncia a qualcosa, ma nel senso vero e sacro di “fare cosa sacra”, di compiere un gesto sacro. Coscienti che l’amore è l’unico vero gesto sacro della vita e il centro di ogni sacralità, a questo siamo chiamati.

Questo avvicina a noi il regno di Dio. Questo è invito a giocare la nostra esistenza non nella piccineria di un po’ di tempo dato a Dio. Questo è invito ad ascoltare il cuore del mondo che batte sotto di noi e dentro di noi e accanto a noi. Un cuore sacro che continua a battere un ritmo di danza alla quale siamo chiamati ad adeguare il nostro muoverci, il nostro danzare, il nostro respirare. Un ritmo da imparare a percepire tramite un ascolto sempre più attento e sempre più profondo. Un ritmo che batte grazie all’unico vero Dio che aborre ogni padronanza e ogni idolo e ogni sacrificio. Un ritmo che batte al cuore di Padre e che non può che trovare risposta in un cuore di figlio che, con l’orecchio sul petto di questo Padre e del mondo per ascoltarne il battito, danza la danza del figlio, danza la danza del fratello.

“Ascolta Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore”. Shemà, Israel! Adonai Elohenu,  Adonai ehad!”.

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