p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 8 Agosto 2023

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Brutta faccenda quando si vuole asservire il vangelo a degli scopi umani e a idee di buon senso che servono solo a salvare noi stessi. Quando questo succede avviene che le guide di una comunità diventano cieche pretendendo di guidare coloro che ammettono di essere ciechi bisognosi di una guida, non ottenendo nulla di buono.

È avvenuto per il passato e avviene oggi: quando il vangelo è asservito ad una morale che il più delle volte è uno specchio di una morale di una società, il vangelo scompare e rimangono solo quei pochi versetti che giustificano un certo modo di affrontare la vita. Così l’essere missionari diventa solo un andare a portare ad altri popoli la visione occidentale della vita. Una visione troppo spesso razzista: a causa di ciò nel nome del vangelo abbiamo giustificato di tutto: genocidi, l’inferiorità delle razze non bianche, ci siamo chiesti se le altre razze fossero umane e avessero quindi un’anima, abbiamo battezzato con la spada interi continenti.

E i farisei si scandalizzavano di quello che Gesù diceva. Il comando dell’amare i genitori era saltato a piè pari: un figlio dava al tesoro del tempio quello che spettava ai genitori per vivere. In Mozambico la vita religiosa fa difficoltà a prendere piede, vi sono effettivamente delle difficoltà di inculturazione. Una di queste è il dramma di religiosi che aiutano le proprie famiglie che magari vivono nell’indigenza. L’aiuto tra familiari in Africa è cosa sacra e non è cosa negativa in sé.

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Se hai un genitore nell’indigenza non puoi aiutarlo perché tutto deve essere per la congregazione a cui appartieni: non è forse questa un’affermazione da guide cieche che conducono altri ciechi? Vorremmo demolire un’attenzione positiva verso i propri genitori in nome di un mantenimento, quando non diventa arricchimento, di una congregazione o della chiesa? Dove è il vangelo? Da una parte o dall’altra?

Gesù continua dicendo che è ciò che esce dalla bocca dell’uomo rende impuro l’uomo. I nostri missionari usano queste diversità culturali per svalutare i “neri” che non sono evangelici perché attenti ai propri familiari che magari muoiono di fame. In tal modo manchiamo di amore e carità, la relazione col fratello, cosa primaria per ogni evangelizzazione, viene meno. Ne scaturisce una sfiducia reciproca che scava fossati, manifestando sempre più il fatto che è impossibile la convivenza fra bianchi e neri! Guide cieche che guidano altri ciechi, ecco cosa siamo. E poi ci lamentiamo se cadiamo nel fosso che noi stessi abbiamo scavato.

Siamo andati in Africa con la forza del denaro occidentale che ha sempre creato dipendenza e mai indipendenza di lavoro e di mantenimento. Abbiamo continuato a pagare noi, a basso costo, per secoli i “neri”, non aiutandoli mai a cercare una loro autonomia. Ora ci lamentiamo se i “preti neri” cercano i “preti bianchi” solo perché portano soldi. Abbiamo scavato un bel fosso con le nostre mani cadendoci poi dentro noi e tutta l’Africa, ed ora ci lamentiamo, incolpando i neri, perché ci troviamo in un cul de sac! Quando manca l’amore e la relazione vera, i risultati non possono che essere questi.

Mi viene da chiedermi quante persone, preti compresi, sono addetti alla burocrazia interna alla chiesa; quanto sono addetti all’economia con metodi che sono gli stessi di qualsiasi economista laico; quanti preti non hanno tempo di pregare e di prendere in mano la Parola di Dio perché affaccendati non nella carità ma nel ristrutturare chiese/musei? Troppe sono le chiese dove per entrare a pregare bisogna pagare. Non siamo chiamati a questo: i musei non toccano alla comunità cristiana.

La cultura non è cosa nostra, non perché non dica nulla l’arte o non sia importante, ma quando noi trascuriamo il servizio della Parola perché troppo presi da tutte queste beghe, non possiamo lamentarci che vi siano pochi preti. Dobbiamo invece lamentarci del fatto che vi sono troppi preti che non fanno i preti, troppi cristiani che non fanno i cristiani. Guide cieche che conducono altri ciechi in un fosso. Questo avviene quando manca relazione con Dio Parola e col fratello che incontro ogni giorno.

Anche questo è un modo stolto di trattare la Parola: anziché vivere la condivisione, viviamo il congedo dell’altro perché non è bravo e perché non porta nulla alla comunità. Lo scopo della vita religiosa non è salvaguardare la propria congregazione, non è dare speranza che una congregazione possa sopravvivere e continuare, ma il dare speranza al mondo. Allora la vita religiosa e il cristianesimo con lei, acquistano senso e significato, allora la vita religiosa non avrà necessità di andare in prestito da altri per ritrovare un senso al proprio esistere. Lo avrà perché sarà guidata dalla continua ricerca di una relazione cristiana e sarà a servizio anziché farsi servire.

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