HomeVangelo del Giornop. Giovanni Nicoli - Commento al Vangelo del 5 Aprile 2024

p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 5 Aprile 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 21, 1-14

Dopo la morte e la risurrezione di Gesù i discepoli si trovano insieme e non hanno nulla di meglio da fare che tornare al loro vecchio lavoro. Anche se la cronologia non procede nello stesso modo nei vangeli che nella realtà, ritroviamo i discepoli che hanno già ricevuto lo Spirito santo dal Signore quando era apparso loro dove erano rinchiusi per paura dei Giudei. Hanno già ricevuto lo Spirito ma non sanno fare altro che pescare. Sembra che non siano capaci di fare neppure quello. Sono nati pescatori, sono stati trasformati e ricreati da Cristo come pescatori di uomini, ritornano al loro vecchio lavoro che gli dà sicurezza e non pescano nulla.

“Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. Ormai i discepoli hanno senso e danno senso alla loro vita se uniti a Cristo. Forse il ricordo della loro bravura passata è ciò che li fa sperare di poter tornare indietro, ma non è così perché chi mette mano all’aratro e poi si volge indietro non è degno del regno di Dio. Non si sono ancora resi conto che sono stati fatti creature nuove, con una vocazione nuova: quella di essere pescatori di uomini. Staccarsi da Cristo, come si stacca il tralcio dalla vite, significa non potere fare più nulla. Significa fare a meno di Colui senza il quale la nostra vita non ha più senso.

Nella vita di ognuno di noi esistono degli scatti di maturazione, sia a livello di fede come a livello psicologico, che ci rendono diversi, non siamo più uguali a prima. Possono essere momenti in cui ci sentiamo persi oppure dei momenti di entusiasmo. Comunque sia, la cosa più importante è che noi ci rendiamo conto che non siamo più quelli di prima: rimangono in noi tutte le capacità e le doti di prima, ma non siamo più capaci di usarle come le usavamo prima: non siamo più pescatori di pesci ma di uomini. Tutto quello che siamo e abbiamo, prende un altro orientamento che ci è dato dall’essere innestati in Cristo, dall’avere scoperto qualcosa che prima non avevamo presente. Questo nasce anche perché nella vita un genitore non è sempre lo stesso genitore, i figli crescono e lui perde sempre più valore ai loro occhi, sotto l’aspetto di bisogno, e magari ne acquista sotto l’aspetto di amore. Così anche per chi fa un lavoro: cresce, cambia, diventa esperto: Così a livello di fede: quello che prima ci sembrava chiaro diventa oscuro e quello che era oscuro diventa chiaro.

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La cosa più importante è che noi riconosciamo questi cambiamenti e cerchiamo di vivere in modo diverso quello che ci è dato di vivere.

Anche a noi, come ai discepoli, può succedere di dimenticare quello che il Signore ha fatto in noi col suo Spirito: non spaventiamoci e non scandalizziamoci perché la nostra vita è fatta di alti e bassi, di momenti chiari e momenti scuri, di slanci di entusiasmo e di momenti di bassa. È essenziale che ritorniamo a riconoscere colui senza il quale noi siamo tralci staccati dalla vite che non possiamo fare nulla, ascoltiamo lui che ci invita a gettare la rete dalla parte destra della barca, e gettiamo di nuovo la rete: facciamo quello che abbiamo fatto fino ad un attimo prima senza di lui e quindi senza risultati, facciamo quello che sembrava che noi fossimo capacissimi di fare: facciamo tutto ciò con fiducia rinnovata e tireremo su una gran quantità di pesci.

Faremo con gratuità! I discepoli dopo la pesca, avendo visto il Signore, sembrano istupiditi, non si ricordano più della pesca che avevano compiuto, pesca per la quale avevano faticato tutta la notte. Hanno trovato qualcuno di più importante che ha fatto passare in secondo piano lo scopo per cui avevano vissuto una notte di fatiche.

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Anche per noi potrà succedere così se metteremo al primo posto non tanto quello che facciamo e quello che riusciamo a realizzare, ma l’unione col Cristo vite. Sarà un fare la stessa cosa con gratuità, sapendo che quello che abbiamo fatto non ci appartiene. È bene donato e come tale non chiede né riconoscimento né un ritorno. Anzi proprio in quei momenti diventa ancora più “bene” e dono e gratuità.

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