p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 2 Novembre 2020

È sempre una questione di vista. Cosa e come guardiamo la realtà. Cosa usiamo per entrare in contatto con la realtà.  La domanda è una: “Quando ti abbiamo visto; quando mai ti abbiamo visto?”. La risposta mi pare abbastanza chiara: Tutto quello che avete fatto ad uno solo, o non avete fatto, lo avete o non lo avete fatto a me”.

Credo sia importante affermare che non dobbiamo amare il fratello perché in Lui c’è Gesù: sarebbe una svalutazione della dignità del fratello e un non riconoscimento dello stesso. Amare l’altro perché c’è in lui Dio è un amore per sostituta persona. Cogliere il fatto che l’altro va amato perché di Dio significa riconoscere in Lui lo stesso DNA del Padre e lo stesso DNA del fratello. Amare l’altro perché fratello è la vera questione e non perché metto Dio al suo posto. Il fratello è degno di amore per una sua dignità intrinseca non perché in Lui c’è Dio. Questa degnità è data dal fatto che partecipiamo della stessa famiglia: tutti siamo chiamati ad essere parte della vita Trinitaria. Detto questo credo che il tutto sia proprio una questione di sguardo. Teniamo presente che nessuno di coloro che partecipano al dialogo col Figlio dell’uomo sanno che nel povero c’è Gesù, che nel bisognoso amato noi possiamo incontrare il fratello Cristo. Non è dunque questa la questione. La questione è appunto una questione di vista.

Che cosa vedo io nell’altro? Un albero da sfruttare prendendo ogni frutto che produce, o un albero da contemplare, da curare o da amare? Cosa è un bosco per me: una fonte di guadagno o un luogo dove potere passeggiare in compagnia o in solitudine e dove potere incontrare Dio? Cosa è un uomo o una donna per me: occasioni per la mia solitudine malata che lascio alla prima occasione che va male o un incontro di amore?

Così l’altro come lo vedo? Sono capace di vedere l’altro, di accorgermi di lui? O sono come il ricco epulone che manco si accorge che Lazzaro dimora alla sua porta, all’addiaccio? So guardare in volto l’altro e riconoscerlo per quello che è non giudicandolo? Oppure, perché povero, già lo giudico indegno di amore o perché ricco e potente mi interesso di lui perché non si sa mai, si può sempre avere bisogno di una buona parola? Vale a dire: vedo l’altro come occasione da sfruttare o come luogo dove giocare la mia umanità e il mio amore? Il povero è occasione per esprimere la mia capacità di amore, quella sì, alimentata dall’amore di Dio o diventa un luogo di egoismo? Le cose sono proprietà privata per ingrassare la mia ingordigia o diventano motivo e luogo di condivisione? Tutto è nelle nostre mani, volenti o nolenti, anche il Signore come tutti i piccoli. Sappiamo che tutto è occasione di amare sapendo che chi ama passa dalla morte alla vita.

Riconoscere Dio in ogni ultimo della terra significa sapere vedere in lui lo stesso volto del Padre; sapere riconoscere il fatto che è stato fatto a sua immagine e somiglianza; significa vedere in lui gli stessi tratti caratteristici di Dio e gli stessi tratti caratteristici nostri. E decidere di conseguenza: passare dalla morte alla vita amando, o rimanere nella morte giudicando.

Il giudizio di Dio è una separazione compiuta in base all’amore. Non c’è altra distinzione tra gli uomini. Ma sappiamo che tale giudizio spetta a Dio che è misericordia e che supera ogni nostra aspettativa: non possiamo immaginarci dove il suo giusto giudizio di misericordia porti.

Sappiamo però che il giudizio non spetta a noi: se noi infatti giudichiamo siamo giudicati. Infatti: “1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Matteo 7).  Se noi infatti giudichiamo siamo giudicati perché senza misericordia. Proprio perché senza misericordia ci giudichiamo da soli: il nostro giudizio senza misericordia diventa condanna per noi, perché senza amore e senza possibilità di passare dalla morte alla vita.

La separazione è fatta, il giudizio lo abbiamo pronunciato. Questo è certo, ciò che certo non è, è dove arrivi la grandezza misericordiosa del Padre. Ma questo fa parte dell’Infinito che possiamo solo accogliere e gustare.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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