p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 27 Febbraio 2022

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

“Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini”. Tra le indicazioni di sapienza del libro del Siracide appare questa massima che rinvia all’importanza della parola. La parola infatti rivela i pensieri del cuore: viene evidenziato un rapporto tra la parola pronunciata e la fonte del pensiero e delle scelte umane che nel linguaggio biblico è il cuore.

Oggi indicheremmo cuore con il termine ‘coscienza’ che indica il centro interiore della vita in cui vengono prese le decisioni e gli orientamenti di quell’agire che poi si esprime in gesti e parole. La parola è così presentata come un frutto che proviene dalla linfa e dalle radici di un albero. La parola può così manifestare la bontà e la dirittura del cuore, così come la radice buona produce un frutto buono oppure essere diversamente. Le parole manifestano anche un’opera di coltivazione, come è coltivato l’albero.

Gli avvertimenti del sapiente intendono far aprire gli occhi sullo spessore delle parole, sul loro peso e rilevanza nella vita. La parola reca in sé una valenza di azione e di rapporto con gli altri: non è riducibile ad un soffio d’aria ma è molto di più. L’importanza delle parole è connessa al cuore, centro della vita, ed esse rinviano ad una coltivazione del cuore vista in parallelo alla coltivazione degli alberi. La parola è frutto delicato e importante.

“Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né v’è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto… L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene”.

Anche Gesù, come i sapienti d’Israele ricorda la centralità del cuore. Lì nell’intimo della coscienza sorgono le parole e le scelte come frutti che nascono da un albero buono. Per questo la sua preoccupazione non è indirizzata ad un’educazione morale attenta all’esteriorità, fatta di norme e direttive, ma è preoccupato della libertà del cuore. Gesù richiama ad una all’interiorità, al profondo là dove solo può sorgere la consapevolezza di un tesoro e il germogliare della vita. Il cuore come tesoro è luogo in cui avviene quell’incontro intimo e radicale con Dio che parla nel profondo. E solamente da un cuore coltivato all’ascolto possono nascere parole buone e scelte di vita. Il bene nasce solamente da un cuore nuovo, coltivato alla parola.

Gesù non si lascia impigliare in una prospettiva di moralismo fatto di timore e di ingiunzioni e non è attratto dagli elenchi di norme e comportamenti che divengono pesi insopportabili. Sa che fiorire alla vita è percorso faticoso, come la coltivazione, che sorge solo da scelte libere e nella responsabilità personale. La sua attenzione sta nel richiamare al cuore, alla coscienza di chi lo ascolta. E non a caso la similitudine che usa è quella dell’albero. Negli alberi scorre la vita, sono parte della vegetazione che vive nel respiro di tutta la creazione: hanno bisogno di luce, di acqua, di coltivazione e i frutti sono espressione di un intreccio di elementi di vita e di agire umano.

Gesù guarda alla natura quale ambiente in cui è già presente una parola di Dio stesso. E’ una parola di vita, che evoca il dinamismo, la crescita, le interruzioni, le fatiche proprie della vita nelle sue diverse forme. Il bene come frutto di un cuore buono, tesoro da custodire e da coltivare, è non solo evocazione poetica ma indicazione di un modo di intendere la vita umana, e di come accompagnare nei cammini dell’esistenza.

L’ascolto del cuore, il rinvio all’interiorità in cui Dio è presene con la sua vita e la sua parola, il richiamo all’inscindibile legame tra il frutto e la vita intima dell’albero, infine la ripresa del riferimento alla parola – “la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” – … sono tutti elementi che indicano uno sguardo puntato al cuore, una profonda fiducia che sia possibile coltivare nel profondo le radici del bene che poi diventano parole e gesti, l’apertura ai percorsi di crescita possibile nella vita di ognuno, in ogni tempo della vita, la grande attenzione alla vita della natura quale luogo di un insegnamento di Dio che coinvolge nel profondo.

Gesù in questo senso è poeta: perché capace di scorgere il ‘fare’ (poiein) di Dio nella realtà, nella vita, perché pieno di fiducia nella parola e nel bene che la parola/azione arreca, perché capace di generare con la sua parola fascino e coinvolgimento, perché ispiratore di parole che recano in se stesse un cambiamento della vita ed un dono di vita per gli altri. Parole di bene, parole buone, che operano e sono generative di cambiamento, derivanti da un cuore buono.