p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 20 Agosto 2023

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“Gli stranieri che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore e per essere suoi servi, li condurrò sul mio monte santo…”

Lo sguardo del profeta si allarga ai popoli lontani: per essi ci sarà un posto nel monte del tempio, luogo dell’incontro con Dio. E il tempio stesso viene ad assumere il profilo di una casa per tutti, di preghiera per tutti i popoli. Nessuno può essere escluso dall’incontro con il Dio dell’alleanza.

Tale orizzonte di apertura universale è passaggio di crescita nel percorso della fede d’Israele: certo la fede del popolo è chiamata a guardarsi dall’esaurimento, dal cedere al grande peccato l’idolatria, dal venir meno alla fedeltà al Dio dell’esodo confondendosi con i culti degli stranieri, ma d’altra parte la presenza dello straniero nel popolo dell’alleanza è un segno importante. Ricorda che Dio ha rivolto lo sguardo a Israele nel suo essere  vittima e straniero in Egitto ed è sceso a liberarlo. Per questo dovrà mantenersi continuamente in cammino, non nella fissità di chi possiede la terra e si pone come dominatore, ma nella disponibilità di chi ricorda una salvezza ricevuta.

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L’elezione non è privilegio da difendere, ma missione che apre. Per essere un segno tra i popoli e per favorire il cammino di pagani e stranieri verso un disegno di pace che si estende e coinvolge tutta l’umanità (cfr. Is 2).

Lo straniero ricorda anche che Dio è ‘altro’, è ‘straniero’ lui stesso. Il Dio straniero, diverso e non racchiudibile si fa vicino nei volti di chi chiede accoglienza e sperimenta la debolezza.

Anche Gesù, proprio nel territorio di Tiro e Sidone, regione dei pagani, incontra una donna straniera. E questa gli chiede un gesto di liberazione e guarigione. Ma Gesù risponde che è venuto solo per le pecore perdute d’Israele. La donna non si arrende e richiama l’immagine di una tavola in cui c’è da mangiare per tutti, per i figli, ed anche per i cagnolini che raccolgono le briciole che cadono. E questo termine ‘cagnolini’ racchiude allusione ai pagani detti ‘cani’ con disprezzo dagli ebrei che guardavano a loro con distanza. L’insistenza della donna, il suo richiamo, il suo rivolgersi a Gesù con fiducia conducono ad un cambiamento in Gesù stesso. In fondo quelle pecore perdute sono anche tutti coloro che cercano senso e salvezza come lo erano le folle incontrate nel suo camminare, pecore perdute e senza pastore (Mt 9,36). E Gesù si muove nella compassione che è il modo di agire di Dio. Si prende cura e ascolta il grido dei poveri. Riconosce nel volto della straniera, nel suo abbandono l’apertura fondamentale che orienta la vita all’Altro: la tua fede ti ha salvata.  

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Gesù loda così la fede di una donna pagana, fuori dai recinti religiosi, che a lui si rivolge con fiducia e lo ha condotto ad un superamento di barriere di divisione e di esclusione.

La donna aveva colto la possibilità di un nutrimento di vita per tutti oltre le divisioni religiose e i privilegi: non chiede il pane dei figli ma si accontenta delle briciole per i cagnolini. Gesù vede in lei la testimone di una valicatrice di muri religiosi e culturali.

Gesù loda la fede di questa donna e la indica come una fede ‘davvero grande’. I percorsi della fede sono profondi e sono nascosti nelle profondità dei cuori. Viviamo un tempo di giudizi perentori e di condanne senza appello per le esistenze di chi chiede di superare le forme di esclusione e le mentalità religiose che discriminano e umiliano. In quelle voci, in quelle ricerche sta spesso nascosta una fede grande, sofferta, una fedeltà di chi attende un cambiamento anche nell’istituzione ecclesiale benché tutto concorra a spingerli lontano per altre strade. Il messaggio di questa domenica è un invito a scorgere i tesori della fede nascosti nelle profondità dei cuori, ad assumere lo stile della compassione di Gesù, al di sopra di ogni codificazione, a vivere l’accoglienza quale tratto rivelativo della fede nel Dio capace di accogliere senza riserve e senza condizioni e di dare sapzio ad ogni ricerca e attesa.  

E riprendo così quanto le parole scritte con mitezza e delicatezza da Antonio Autiero – così diverse nello stile da tante parole nutrite di violenza, di durezza, di condanna – dopo aver partecipato come amico ai recenti funerali di Michela Murgia: “La porta e la sua soglia (una volta Michela ed io abbiamo fatto una lectio accademica in dialogo su questo tema) mettono davanti alla sfida radicale di cosa se ne vuole fare di essa, barriera per impedire o area di accoglienza. Molti si sono sentiti accolti da Michela, leggendo i suoi scritti e ascoltando le sue parole, si sono visti aperta una porta davanti, su orizzonti di maggiore luce, per dare esito di compimento e non di disfatta al gemito nel quale si sentivano avvolti.

L’intreccio tra religioso e politico che Michela ha voluto fosse espresso con il suo funerale era ed è in realtà un’istanza centrale del suo modo di stare al mondo ad occhi aperti, di abitarlo con responsabilità e cura, di trasformarlo con volontà tenace e non da sola. Per esprimere così la profondità del suo essere credente, la radicalità del suo essere cittadina. Vedendo a fondo l’intreccio, ella ha saputo esprimere l’indignazione sia per quelle visioni religiose che avevano scelto, legittimato e incrementato le vie dell’esclusione, sia per quegli abbozzi distorti di progetti e di programmi politici che dell’esclusione e dei privilegi fanno la base di raccolta per pescare nel bacino dei consensi. (…) La sua traiettoria dalla teologia alla politica passava attraverso l’esperienza narrativa, fatta di volontà di comunicazione, letteraria e oltre. Così come il suo afflato politico le metteva sott’occhio il vissuto scabroso di quella parte di umanità dolente, esclusa, marginalizzata e le faceva trovare il linguaggio dei diritti da difendere e per cui battersi, come riflesso di quella luce, pathos di quel gemito e coscienza di quella porta, di cui lei, attraverso i testi biblici al suo funerale ancora avrebbe voluto parlarci” (A. Autiero, Le due voci del cuore di Murgia. Politica e religione  per un unico sogno, “La Stampa” 15 agosto 2023).

Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.