Il ramoscello e il seme
Capita spesso oggi di sentire lamenti ripetuti sullo stato di crisi che attraversa la Chiesa, non solo la nostra, ma un poโ tutto lโOccidente, in una stagione che da anni viene velocemente qualificata come epoca della โsecolarizzazioneโ, tradotta in un diffuso senso di โrelativismoโ che tocca la fede, la morale, la pratica cristiana.
La deriva cominciรฒ a manifestarsi dopo il Vaticano II, e non sono pochi oggi quelli che incolpano il Concilio di tutti i mali, e invocano come salvagente il ritorno puro e semplice alla situazione di prima, una โrestaurazioneโ che, come spesso ha rivelato la storia, si rivela illusoria.
Non รจ da oggi che la Chiesa รจ scossa da eventi che ne minacciano la stessa sopravvivenza. Si trovano giร segnali allarmanti nel Nuovo Testamento, le Lettere in particolare. La cosa non dovrebbe inquietare piรน di tanto. La storia nella sua stessa natura รจ โmutamentoโ, e anche in questo rimane magistra vitae.
Colgo lโoccasione per ricordare, se รจ necessario, come possa essere utile introdurre nella catechesi, almeno dalla preadolescenza in su, il racconto delle varie tappe che ha percorso la cristianitร nei secoli, una storia che i ragazzi normalmente sentono a scuola, dove tutto รจ ridotto alla โleggenda neraโ delle eresie, delle crociate, dei papi del Rinascimento, della caccia alle streghe, di Galileo e Giordano Bruno, e chi piรน ne ha piรน ne metta.
Senza troppe difficoltร , รจ possibile costruire una contro-storia, una โleggenda aureaโ fatta di martiri per la giustizia, di contributi sostanziali per la preservazione della cultura classica, dei benefici portati dalle missioni, della vera a propria esplosione, almeno dal Settecento in poi, di quello che oggi si chiama โvolontariatoโ, espresso nella creazione di scuole per i poveri, nella fondazione di orfanotrofi, di ospedali, di congregazioni specialmente consacrate alla cura degli infermi.
Su come esporre questa storia, ci sono giร opere eccellenti, magari prodotte dagli Uffici catechetici nazionali, che possono essere date in mano ai ragazzi piรน volonterosi, almeno a quelli che hanno ancora il coraggio di leggere e di non sprecare la loro intelligenza nellโuso delirante della play-station.
Non sto divagando. Questa riflessione introduttoria mi รจ stata suggerita da due immagini: quella del โramoscelloโ in Ezechiele, e del โsemeโ in Marco, e poi anche perchรฉ sono convinto che una buona omelia ha tutto da guadagnare se parte da una domanda, dallโesposizione di un problema. Quello di oggi รจ come leggere i โmutamentiโ nella storia della comunitร cristiana, anche solo per tener presente che ci possono essere cambiamenti distruttivi e altri che invece risultano creativi e portatori di novitร che poi si riflettono in tutto il corpo cristiano.
Cito, per fare un esempio, due storie opposte: la pratica scomparsa delle fiorenti Chiese cristiane nel Nord-Africa e nellโattuale Turchia, per una parte, e, dallโaltra, lโaumento del clero e di impegno sociale nelle Chiese del terzo mondo, il che fa sรฌ che, mentre si spopolano chiese, conventi e seminari qui da noi, in Africa e in Asia si assiste ad un fenomeno contrario. La Chiesa non muore: si trapianta!
ร sufficiente la punta di un ramo
A riequilibrare la nostra visione delle cose credo che un contributo importante venga dalla liturgia di questa domenica. Il brano di Ezechiele (Ez 17,22-24) si apre con un messaggio sorprendente: ยซUn ramoscello prenderรฒ dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierรฒ, e lo pianterรฒ sopra un monte alto, imponente; lo pianterรฒ sul monte alto dโIsraeleยป.
I profeti sono spesso qualificati come โannunciatori di speranzaโ, ma in questo caso si potrebbe parlare di una speranza smisurata. I due termini del confronto non potrebbero essere piรน distanti. Un โramoscelloโ, anzi โla punta di un ramoโ di contro al leggendario โcedro del Libanoโ, simbolo di monumentale stabilitร , con lโeffetto per il ramoscello di finire ben visibile su un โmonte altoโ. Sembra un sogno di pura follia. Eppure accade.
Il profeta parla probabilmente di quello che si usa chiamare il โresto di Israeleโ, ma non si puรฒ non pensare anche al โgermoglioโ che spunterร dalla radice di Iesse.
E unโaltra considerazione รจ degna di essere presa sul serio: non sarร soltanto la crescita prodigiosa di una realtร che รจ piccola, ma sarร un riparo sotto il quale ยซdimoreranno tutti gli uccelli, ogni volatile allโombra dei suoi rami riposerร ยป.
ร un messaggio confortante, anche se queste trasformazioni non si puรฒ pretendere che avvengano miracolosamente dalla sera alla mattina. Importa fare i conti con la misura del tempo, ma questo non impedisce di lavorare incessantemente alla cura del โramoscelloโ e alla sua crescita.
Forse รจ finito il tempo della โcristianitร โ, ed รจ il caso di passare alla prassi della piccole โcomunitร di baseโ, allโidea di parrocchia come โfamiglia di famiglieโ, a quei gruppi dove ci si conosce, si scambia e si collabora generosamente, la sola condizione โ credo โ per celebrare liturgie riuscite, dove lโassemblea non รจ una bella teoria, ma unโesperienza vissuta ogni domenica come momento di ricarica, quando lโincontro che comincia in chiesa continua sul sagrato per espandersi poi nei luoghi della vita ordinaria. So per esperienza cosa dico. Il risultato รจ la gioia che il Salmo responsoriale (91,2-3.13-14.15-16) chiama con splendida metafora โfiorireโ.
โSiamo pieni di fiduciaโ
La seconda lettura (2Cor 5,6-10), apparentemente estranea al discorso, ne dร invece il senso e lโeffetto prodotto dal prendere sul serio le immagini del profeta: la โfiduciaโ! ยซSempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finchรฉ abitiamo nel corpo โ camminiamo infatti nella fede e non nella visione โ, siamo pieni di fiduciaยป.
La fede genera fiducia, la fiducia sostiene la speranza, la speranza accende la caritร , che รจ il momento operativo. ร la sequenza obbligata che connette le tre virtรน che chiamiamo teologali, tali perchรฉ hanno per oggetto Dio, ma che, proprio per questo, diventano la maniera piรน facile di rivelare nel nostro comportamento il suo volto e di testimoniare la sua presenza.
Assecondare lโazione di Dio
La logica del โpiccoloโ diventa trasparente e mirabile nelle due parabole raccontate da Marco (Mc 4,26-34) che hanno la base in ciรฒ che succede nel โsemeโ.
La prima รจ sorprendente (non la si trova nei passi paralleli di Matteo e Luca), perchรฉ potrebbe far pensare che a noi non tocca fare niente perchรฉ il seme cresca. Non รจ cosรฌ.
La sottolineatura del seme che cresce โspontaneamenteโ serve, invece, a mostrare che la sua forza dirompente dipende dal Dio della creazione, per cui il โterrenoโ qui รจ Dio stesso, la forza generativa รจ la sua, quella del seminatore.
Il nostro compito โ perchรฉ cโรจ un compito che รจ nostro โ รจ quello di โpiantare il semeโ, e poi di attendere e osservare con stupore e gratitudine la sua crescita, per la quale Dio stesso รจ il primo collaboratore.
Il granello di senape esplicita e prolunga la metafora, e viene a sposarsi con le parole di Ezechiele, perchรฉ il granello che รจ stato seminato ยซcresce e diventa piรน grande di tutte le piante dellโorto e fa rami cosรฌ grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombraยป.
Non cโรจ molto da aggiungere. Semmai รจ il caso di proiettare queste magnifiche immagini nel lavoro pastorale, seminando generosamente germi e segnali di bontร , con la fiducia e la speranza di chi crede che, quando incontriamo una persona, o anche con le persone che conosciamo giร , prima che arriviamo noi Dio รจ giร lรฌ con la sua forza, che noi dobbiamo solo assecondare.
Questo lavoro puรฒ essere fatto nel piccolo delle relazioni interpersonali, ma anche nel grande dei rapporti tra le religioni e in qualsiasi paesaggio mentale, culturale e religioso nel quale ci troviamo, oggi piรน mai, a vivere tutti.
Di questo รจ un esempio preclaro papa Francesco, sia con le sue iniziative, sia con il suo magistero: penso in particolare, ma non solo, alla lettera enciclica Fratelli tutti.
Unโultima cosa va presa in considerazione. Parlando di โsemeโ e del suo destino, non si puรฒ dimenticare che Gesรน ha applicato a se stesso questa immagine quando ha detto: ยซSe il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto fruttoยป (Gv 12,24). Il passo si trova in un discorso pronunciato da Gesรน nei pressi dellโora del suo arresto e della sua morte.
Ricordiamo, in proposito, il piano del vangelo di Marco, che ha ben presente come gli inizi del ministero, che vedono Gesรน circondato da folle osannanti (Mc 1,45), si riducano alla fine a un piccolo gruppo di donne che stanno al Calvario sotto la croce (Mc 1,40), ma insieme e paradossalmente sa โ e lo dice โ che, nello stesso momento, la sua morte produce nel centurione pagano la prima chiara e unica confessione di fede nel suo vangelo: ยซDavvero questโuomo era Figlio di Dioยป (Mc 1,39).
Se perdiamo la โvisione della fineโ, che resta il faro della nostra attesa, e il senso del โparadossoโ che regola tutto il percorso dellโincarnazione del Verbo, la cui vita trascorre tra la mangiatoia di una stalla e la croce del Calvario, ogni azione pastorale rischia di perdere le coordinate essenziali che ne regolano lo svolgimento.
La conclusione รจ che la โcrisiโ attuale della Chiesa non deve nutrire un senso di scoramento che genera fatalmente inerzia, ma essere invece uno stimolo a cercare vie nuove, magari tenendo in considerazione quanto si fa in altre contrade del mondo cristiano.
Fonte – per gentile concessione di Settimana News | Commento a cura di Nico Guerini



