Mons. Giovanni D’Ercole – Commento al Vangelo del 18 Giugno 2023

382

1 – “Dio dimostra l suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”: così scrive san Paolo alla comunità cristiana in Roma e le sue parole raggiungono quest’oggi tutti noi. Dio ci ama senza che noi lo meritiamo e questo è il suo stile, stile che personalizza con ogni uomo e che emerge in tutta la storia della salvezza. Nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, è Dio di sua iniziativa, ricordando quanto già ha compiuto, ad assicurare al suo popolo una fedeltà assoluta: “voi sarete per me una proprietà particolare” e un avvenire sicuro, carico di speranza: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. In cambio cosa chiede? Si aspetta che diamo ascolto alla sua voce, accettiamo e custodiamo la sua alleanza: in altre parole, che conserviamo sempre la fiducia in lui, consapevoli di essere” il suo popolo e gregge che egli guida”, come c’invita a ripetere il salmo responsoriale tratto dal salmo 99/100, attribuito dalla tradizione israelita a Mosé.

2 – Questa fiducia in Dio appare oggi in crisi in non poche nostre comunità, segnate da innumerevoli tentativi di ricerca di felicità falliti miseramente. Si prosegue a inseguire il successo in ogni campo anche se si è costretti a registrare, quando si vuole prescindere da Dio, l’incapacità a costruire un mondo felice a misura delle più profonde attese dello spirito umano. Sì, perché solo Lui conosce il codice segreto della vita umana, e soltanto nel suo cuore si trova per noi la sorgente della pienezza di senso. Nonostante ogni fallimento, Dio però ricomincia instancabile a cercarci con la tenerezza di chi non si meraviglia delle nostre fragilità e si ostina a fidarsi degli uomini e delle donne di ogni epoca.  Continua a chiamare discepoli e li invia come testimoni del suo amore in ogni angolo della terra. Ognuno di noi può essere uno di questi suoi agenti di speranza a una condizione: essere disposti ad ascoltare la sua voce e a lasciarsi plasmare dal suo Spirito per compiti che sono sempre al di sopra delle umane possibilità.

3 – La pagina del vangelo ce ne offre un esempio che m’appare di buona attualità e c’interpella personalmente. Gesù vedendo le folle è preso da un’intima compassione perché le vede stanche e sfinite, rassomiglianti a pecore abbandonate dal loro pastore. Avvertiamo tutta l’umanità di Gesù che ama la gente, la quale non ha bisogno di capi come i farisei, ma di guide sicure e pastori autorevoli come Gesù stesso, che si rivela già come il buon Pastore pronto a dare la vita per il suo gregge. Rivolto pertanto ai discepoli, che ha già scelto per questa missione e che vorrebbe a sé simili, offre loro due iniziali e fondamentali consegne: “la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai” e aggiunge: “Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe”. C’è innanzitutto un invito a saper verificare attentamente ogni situazione, che la messe è abbondante, cioè le attese e i bisogni dell’umanità sono immani, a fronte però della scarsezza di uomini e mezzi. Ma di quali necessità si tratta e quali sono le vere urgenze alle quali c’invita a guardare il Signore oggi?

- Pubblicità -

4 – Se non ci si ferma a uno sguardo superficiale o funzionale della realtà, ma si tenta di andare al fondo di ogni situazione, costatiamo che in questo periodo storico nel mondo si vive una crisi che dura già dagli anni 50 del secolo scorso e che il vescovo americano Fulton Sheen aveva messo in evidenza. Il mondo – scriveva – sta morendo per la sua mediocrità. Cosa manca infatti all’odierna umanità realizzatrice di progressi in ogni campo, dall’economia alla finanza, dalla scienza alla tecnologia virtuale e all’intelligenza artificiale (IA) sino a osare di valicare addirittura il confine della creazione della vita umana con il transumanesimo? Tutto parla di successo eppure si avverte una crescente “carestia di umanità” , una diffusa crisi di speranza, mentre aumenta la paura della solitudine e la violenza prevale sui tentativi di pace. Sempre più largo è il fossato che si costruisce tra chi è ricco e le moltitudini crescenti dei poveri, sempre più poveri. La malattia da curare con urgenza – annotava Fulton Sheen – è la mediocrità che ha contaminato la coscienza collettiva per cui l’odierna umanità rischia di morire perché “non sono le istituzioni che mancano oggi: ci mancano i grandi uomini”.  La grandezza, di cui qui si parla, non è qualcosa di esterno all’uomo, ma a lui stesso interna; una qualità dell’anima con cui si riesce a conseguire non tanto il dominio sul cuore, quanto piuttosto il dominio sulle sue passioni. Pur essendo infatti capace di manipolare la natura, l’essere umano deve riconoscere che è poco attrezzato per il dominio di sé stesso, eppure è veramente grande soltanto chi non si lascia rendere schiavo dal proprio ego.

Quando Gesù afferma che “sono pochi gli operai” vuole forse dirci che pochi suoi discepoli credono che la più grande vittoria dell’uomo sia la vittoria su sé stessi; che il vero progresso si realizza non tanto nell’attività quanto piuttosto nel silenzio. E Gesù stesso umile e mite diventa il nostro modello di grandezza invitandoci ad affrontare con lui, come notava Fulton Sheen, “gli orrori del Venerdì Santo per sfociare nella gioia smagliante della domenica di Pasqua”.  Questi uomini, simili a lampi, bruciano i legami di interesse che incollano le nostre energie al mondo; con voce coraggiosa come san Giovanni Battista, risvegliano la natura umana sonnolenta dai lacci del nostro pigro riposo; conquistano la vittoria non scendendo dalla croce e venendo a compromessi col mondo, ma piuttosto affrontando dure sofferenze per giungere a conquistarlo. “In una parola: c’è bisogno di santi, perché solo i santi sono veramente grandi, semplicemente perché sono grandi della grandezza di Cristo”.  E per questo  solo i santi cambiano il mondo.

5 – E’ interessante notare che di fronte all’enorme mole di lavoro da compiere, Gesù non indica un supplemento d’impegno straordinario, ma innanzitutto e soprattutto la preghiera: “Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe”. Ogni volta che mi fermo a meditare su questa consegna di Cristo avverto la contraddizione tra ciò che come cristiani professiamo e ciò che poi effettivamente facciamo. Mi viene in mente in proposito quest’ incipit dell’omelia del vescovo nell’ordinazione di un prete: “Cari sacerdoti, – esordì così – pregate il doppio di quanto predicate e passate più tempo tra le pagine della Sacra Scrittura che sulle sedie dei vostri incontri e delle vostre riunioni”. Non penso che ci siano discepoli di Cristo che abbiano dubbi circa il primato assoluto della preghiera nella vita del credente, specialmente quando ai è chiamati per missioni speciali nella Chiesa e nella società, ma poi in realtà è facile trovare attenuanti e scuse perché il lavoro è tanto e il tempo corre veloce.  Eppure senza la preghiera viene meno il dato essenziale, cioè l’intimità con Dio indispensabile per capire e compiere la sua volontà. Conoscere ciò che Dio ci chiede e avere la grazia e la forza per compierlo sono due doni che possiamo ottenere solo mediante la preghiera restando e crescendo in un’intima amicizia con Dio.  I santi mostrano che la vita di preghiera consiste nell’armonizzare la nostra esistenza con la volontà del Signore dimorando in permanenza alla sua presenza. E’ lui “il signore della messe” e noi possiamo diventare  suoi poveri ma preziosi collaboratori. Se è vero che pregando parliamo a Dio, pronti a ricevere in dono la pienezza della sua vita divina, è ancor più necessario ascoltarlo perché lui ci parla in una mistica conversazione che è scambio, non monologo. Siamone persuasi, malgrado la nostra povertà: questo è l’unico cammino per diventare “operai nella sua messe” e a lui piacere “nelle intenzioni e nelle opere”, come chiediamo nella preghiera all’inizio della santa messa.

Sant’Agostino, che di prove ne ha affrontate tante nel suo itinerario spirituale, così parla della preghiera: “Noi lodiamo il Signore in chiesa quando ci raduniamo. Al momento in cui ciascuno ritorna alle proprie occupazioni, quasi cessa di lodare Dio. Non bisogna invece smettere di vivere bene e di lodare sempre Dio. Bada che tralasci di lodare Dio quando ti allontani dalla giustizia e da ciò che a lui piace. Infatti se non ti allontani mai dalla vita onesta, la tua lingua tace, ma la tua vita grida e l’orecchio di Dio è vicino al tuo cuore. Le nostre orecchie sentono le nostre voci, le orecchie di Dio si aprono ai nostri pensieri” Dai «Commenti sui salmi» di sant’Agostino, vescovo (Sal. 148, 1-2; CCL 40, 2165-2166).

AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina FacebookSito Web
✝️ Commento al brano del Vangelo di:  ✝ Mt 9,36-10,8