Mons. Giovanni D’Ercole – Commento al Vangelo del 10 Settembre 2023

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  1. ”Ascoltate oggi la voce del Signore””

In questa 23ma domenica del Tempo ordinario colgo un filo conduttore che lega in armonica sintesi le letture bibliche che oggi la Chiesa propone alla nostra meditazione. Il tema è l’amore, ma l’amore conosce varie sfaccettature che invitano a non semplificare, a non bypassare i passi necessari per giungere alla vera carità. Sia nel testo del profeta Ezechiele, come nella lettera di san Paolo ai Romani che nel vangelo secondo Matteo ci sono alcune indicazioni che ci ricordano la responsabilità dell’amore che esige una conversione costante del cuore. Il vangelo parla della fraterna correzione, possibile solo quando si coltiva l’ascolto della voce del Signore come ben mette in luce il salmo responsoriale (94/95): “Se ascoltate oggi la sua voce! Non indurite il cuore come a Meriba e come nel giorno di Massa nel deserto”.

Massa e Meriba sono il ricordo della perdita di fiducia in Dio da parte d’Israele assetato e smarrito in un deserto infuocato dal caldo torrido. Si lamenta con Dio e dubita del suo amore. Alla ribellione del popolo il Signore risponde facendo sgorgare dal deserto roccioso una fonte inesauribile d’acqua fresca. Massa e Meriba continuano a ricordarci che la fede è non dubitare ma affidarsi all’amore di Dio in ogni situazione. La parola “Amen”, che in ebraico indica l’adesione totale della nostra fede, esprime concretamente il concetto di “appoggiarsi su Dio”, coltivando la memoria del suo amore che può rendere tenero e compassionevole il nostro cuore.

  1. “Pienezza della legge infatti è la carità”

Nella seconda lettura tratta dalla Lettera di san Paolo ai Romani, l’apostolo ripropone il tema dell’amore e quest’odierno testo viene da alcuni considerato come il secondo canto paolino della carità dopo la famosa pagina del tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi. Per percepirne il valore occorre contestualizzare la riflessione di Paolo nell’insieme della Lettera ai Romani. Nel capitolo che precede, il dodicesimo, egli fornisce alcuni consigli ai cristiani circa la questione più difficile in ogni tempo, e cioè come vivere concretamente da cristiani in un mondo che di cristiano non ha nulla. Essere cristiani, spiega, è fare dell’intera nostra esistenza un dono a Dio, un sacrificio santo e invita a non lasciarsi guidare dall’esempio dal mondo presente, ma occorre in ogni circostanza discernere la verità e cercare di compiere volontà di Dio.

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Entrando nel concreto della vita sociale e nel rapporto con le autorità stimola il cristiano a comportarsi sempre da onesto cittadino. Ma occorre obbedire a tutte le leggi che la società impone – si chiede l’apostolo? A questo riguardo offre come criterio ultimo il vero amore. Suggerisce cioè di non prendere pretesto del fatto di essere cristiani per non assumere ogni nostra responsabilità civile e aggiunge che non basta essere buoni cittadini perché si è semplicemente osservanti delle regole. Dovere del credente è “non essere debitore di nulla a nessuno se non dell’amore vicendevole”. Il che c’impegna a discernere il vero amore e a saper distinguere la verità dall’errore, ciò che è giusto da ciò che non lo è e ad agire di conseguenza: E’ il coraggio dell’amore, ma come farlo?

  1. ”Io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele”

Nella prima lettura tratta dal Libro del profeta Ezechiele, il profeta si presenta come sentinella a guardia del popolo di Dio. Deportato in Babilonia sulle rive del fiume Kebar in un villaggio chiamato Tel Aviv apprende la notizia della distruzione della città di Gerusalemme e la devastazione del Tempio. Tuttavia, pur dinanzi a così grande rovina, Ezechiele non si perde d’animo e si consacra totalmente ad alimentare la speranza del suo popolo. Ed è proprio in ricordo di lui che la capitale d’Israele moderna porta il nome di Tel Aviv che significa “Collina di primavera”. Per circa vent’anni Ezechiele si batte su due fronti: da una parte aiuta il popolo a sopportare la durezza della deportazione e in secondo luogo mantiene viva la speranza del ritorno nella terra promessa.

Essere sentinella d’un popolo in difficoltà! Ecco la missione che il profeta indica oggi a coloro che a vari livelli hanno la responsabilità nella comunità cristiana: non solo i capi ma ogni membro della comunità deve sentirsi “sentinella” uno dell’altro. Essere vigile sentinella esige restare in ascolto della Parola di Dio e saper cogliere i segni della speranza anche nelle notti più oscure; comporta saper avvertire il popolo di catastrofi in arrivo e al tempo stesso assicurare che la condizione per non essere travolti è tornare a Dio.

Chiaro il legame con il vangelo di oggi: Gesù chiama i discepoli a un’analoga missione: in nome dell’amore fraterno comanda di vegliare sugli altri al punto da esser in grado di richiamare all’ordine quando qualcuno prende una strada sbagliate. La correzione fraterna è forma eloquente dell’amore vero perché consiste nel cercare il bene dell’altro e se necessario fermarlo sull’orlo del precipizio. Ogni critica positiva fa crescere l’amore e il compito della sentinella è proteggere e salvare la città.

  1. ”Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono in mezzo a loro”

La presenza di Gesù nella comunità cristiana è garanza di speranza per tutti. Il testo dell’odierno vangelo è tratto dal quarto discorso di Matteo dedicato alla vita della comunità ecclesiale e l’intero capitolo diciottesimo analizza vari aspetti delle relazioni fraterne nella Chiesa. Due in particolare i temi messi in luce: dare priorità ai piccoli e ai deboli e rendere effettiva la pratica del perdono scambievole. Il testo del vangelo odierno è preceduto dalla breve parabola della pecora smarrita e la gioia del pastore nel ritrovarla. L’immagine del pastore era all’epoca facilmente comprensibile e pure oggi noi facciamo ad essa riferimento.

In ogni comunità i responsabili, come questo pastore, dovrebbero andare alla ricerca di quanti rischiano di perdersi. Il primo loro compito è quindi la vigilanza imitando il profeta Ezechiele di cui parla la prima lettura. Tuttavia non solo i pastori sono responsabili del cammino ecclesiale, bensì tutti, gli uni degli altri, facendosi carico l’uno dei pesi dell’altro. E Gesù indica una vera procedura di riconciliazione ecclesiale: “la correzione fraterna”. Per cui, soltanto quando avendo tentato ogni forma di dialogo non si arriva alla soluzione del conflitto, occorre affidare tutto nelle mani dell’assemblea considerando la persona come “il pagano e il pubblicano”.

Ma come interpretare questo? Guardando all’esempio di Gesù nel suo tratto con i pubblicani e i peccatori non si tratta mai di un rifiuto definitivo, ma del rispetto della libertà di ognuno nell’attesa ad esempio che Zaccheo o il pubblicano Matteo si convertano. Nessuno pertanto va abbandonato, al contrario è necessario far ricorso ancor più all’amore, un amore paziente e perseverante. Quanto siamo lontani dall’attuale stile di tante nostre comunità! Eppure è questa la vera sfida: praticare un amore paziente e coraggioso che non tradisce mai la verità, alla scuola di Gesù che per amore della verità non ha esitato a morire in croce.

Nelle situazioni più difficili e complesse, quando tutto sembra perso è allora che il ricorso alla preghiera diventa la risorsa indispensabile e inesauribile, animati dalla certezza che “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. E non stancarsi mai di essere pazienti sapendo che Gesù non abbandona mai il suo popolo.

AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina FacebookSito Web