Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 8 Ottobre 2022

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Ascolto generante vita

Di fronte agli insegnamenti che Gesù sta donando alle “folle che furono prese da stupore” (cf. Lc 11,14), c’è qualcuno che lo riconosce come il Salvatore promesso, colui con il quale è “giunto a voi il regno di Dio” (v. 20). Una voce, quella di una donna si alza per proclamare la sua comprensione di Gesù, per svelarne l’identità.

Gesù è portatore di beatitudine agli occhi di questa donna, una beatitudine però riservata a un’altra donna, la madre. La beatitudine della maternità, espressa come “grembo che porta e seno che allatta” (cf. v. 27).

Il grembo è spazio offerto per accogliere, nell’assoluta gratuità, spazio che sarà sottoposto anche a dolori a causa di questa accoglienza e apertura. I dolori, le sofferenze provocati da un’accoglienza, dalla custodia che una vita offre all’altra non impediscono però la gioia piena, la beatitudine, perché la tensione di quel grembo sofferente è alla vita, per la vita. “La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).

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Il seno che allatta è la maternità che, non solo accoglie e custodisce la vita, ma è anche sostegno della vita. È seno che nutre, che fa crescere. La vita riceve sempre spazio e tempo da un’altra vita, che in questo modo vive la felicità come tensione al futuro, come promessa, come vita che scorre.

Il termine che noi traduciamo con “beato, beatitudine” ha infatti in sé l’idea dinamica di movimento: “in cammino”, in ebraico infatti la parola “felice” corrisponde all’idea del camminare, dello slanciarsi in avanti. La maternità, che viene proclamata fonte di beatitudine, lo è nella sua essenza, nel suo essere sempre dinamica di vita che cresce. Essere materni è, per chiunque, un atteggiamento che tende in ogni situazione alla vita.

Ma altrettanto vitale e fecondo, come lo spazio donato dal grembo della madre, è anche l’ascolto ci dice Gesù. “Ma … piuttosto” (v. 28), Gesù non nega la beatitudine, il dono e il mistero della maternità ma allarga lo sguardo, dilata l’esperienza della beatitudine. Non vi è esclusività nella felicità promessa da Gesù, non rimane limitata a quel grembo e a quel seno, la rende esperienza universale. Non vi è legame di sangue che possa superare questo legame che si crea nell’ascolto della sua Parola che diviene generazione di vita.

“Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola e la osservano” (v. 28). È una possibilità offerta a tutti, la possibilità della felicità, della vita piena raggiunge ogni uomo e donna che si fanno ascoltatori e custodi della Parola. L’ascolto è quello spazio generante vita, fecondo proprio come il grembo di una donna in cui si intessono a poco a poco le fibre di un nuovo essere, e che custodisce la promessa di una vita nascente, la custodisce e la fa crescere, maturare.

Ascoltare e far crescere la vita: questo, ci dice Gesù, è ciò che rende beati, ciò che fa la felicità. Ascoltare e custodire sono i comandi che il popolo nel deserto riceve direttamente da Dio, condizioni poste da Dio durante l’esodo perché il popolo potesse diventare “gente santa”: “Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me … un popolo santo” (Es 19,5-6). Sono i due verbi dell’alleanza del Sinai. Questo è ciò che ci rende vivi, beati, in cammino: la fedeltà a una Parola che custodiamo e dalla quale siamo custoditi in un’alleanza eterna.

sorella Elisa

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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