Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 23 Dicembre 2020

Oggi ascoltiamo la nascita di Giovanni Battista, che fu straordinario profeta, maestro e amico di Gesù. Alla sua sequela, e poi fino alla fine, Gesù imparò da lui molte cose di Dio.

Questa pagina evangelica racconta la misericordia del Dio d’Israele, promessa ad Abramo, all’opera nella storia di Elisabetta e Zaccaria, una coppia di persone vecchie, fedeli e obbedienti al Signore, che sopportavano senza venir meno la dolorosa mancanza di figli.

Elisabetta, sterile e piena di fede, è la prima donna e la prima povertà che appare nel Vangelo di Luca, che è buona novella per i poveri e le povere. Nella Bibbia le tante donne sterili, e per questo umiliate, sono preziose testimoni dell’intervento di Dio in quei loro figli impossibili e promessi, dei quali il Signore ha bisogno.

Elisabetta e Zaccaria sono lì a nostro insegnamento, consolazione e correzione. Essi ci sono maestri di libertà nei confronti delle nostre tradizioni familiari e religiose. A coloro che vengono per circoncidere il piccolo Giovanni e che vogliono imporgli il nome di suo padre Zaccaria, Elisabetta oppone con fermezza il suo “no”: “Si chiamerà Giovanni” (v. 63), ma non le crederanno. Elisabetta, la prima donna del Vangelo, annuncia la parola dell’angelo alla quale lei ha creduto, e non è creduta. Come pure accadrà alle donne alla fine del Vangelo: credono, annunciano, e non sono credute.

Anche Zaccaria, il sacerdote prima ammutolito e poi esultante, ci è di grande lezione. Lui avrebbe potuto finalmente trasmettere al figlio maschio il potere e l’onore sacerdotale. Ma ora il figlio che la misericordia di Dio concede loro contraddirà del tutto le attese: non sarà sacerdote, bensì profeta, il più grande. Per Zaccaria accettare le parole dell’angelo è accettare che il dono miracoloso di Dio, che è questo figlio, sia per lui la grande rinuncia, e ciò lo ammutolisce.

Zaccaria, faticando a aderire alla parola di Dio, ci insegna che il dono di Dio è sempre per noi miracoloso esaudimento ma anche, prima o poi, massima contraddizione, decentramento da noi stessi e dai nostri sogni, anche religiosi.

Con il suo stare nel deserto e non nel tempio, Giovanni inizia Gesù alla comprensione che per lui e i suoi discepoli il tempio è finito per sempre. Perché il Signore ha bisogno di incarnazione e non di mediazione.

La diminuzione che Giovanni riconoscerà come propria verità davanti a Gesù, già qui è adombrata come vocazione di suo padre davanti al proprio figlio, una paternità che è kenosi. Ma finalmente, dopo i nove mesi della muta lotta, Zaccaria canta la misericordia di Dio nel meraviglioso canto che a ogni alba cantiamo ancora oggi.

Giovanni sarà profeta e vivrà la sua vocazione di Voce che grida nel deserto la parola di Dio. Rinunciando al tempio, Giovanni farà ascoltare la parola di Dio anche a coloro che erano esclusi dal tempio.

Il Vangelo dunque si apre adombrando già, per i discepoli di Gesù, la fine del tempio e dunque di ogni esclusione religiosa che è la pietra d’angolo di ogni sacralità. Da Giovanni infatti andranno pubblicani e peccatori ad ascoltare la parola di Dio, e Gesù porterà a straordinaria fioritura e pienezza la lezione imparata da Giovanni accogliendo anche le donne. 

sorella Maria


Fonte

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