Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 21 Gennaio 2023

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“È fuori di sé”

Gesù cammina in lungo e in largo sulle strade di Palestina, annuncia la Parola, opera guarigioni, fa arretrare il male, incontra i marginali della società. La folla lo segue, forse animata da un entusiasmo superficiale, avvinta da un certo fascino del prodigioso, dall’aura che circonda quel giovane rabbi che rompe gli schemi con la sua scelta di una vita itinerante, accompagnato da un piccolo gruppo di discepoli.

Abbracciando il celibato, allenta i vincoli dei legami familiari, sociali ed economici che in genere i matrimoni fra clan di famiglie implicavano. Così i suoi familiari cercano di sbarrargli il cammino, vanno a prenderlo (letteralmente: “a impadronirsi di lui”), sostenendo che sia «fuori di sé», con la pretesa di riportare quel fiume in piena nel suo alveo.

«“Avendo udito che era lì i suoi uscirono”: Gesù entra in casa, i suoi escono. Per fare che cosa? “Per impadronirsi”. Quando ci si impadronisce di Lui vuol dire ucciderlo, perché Lui è il dono e se ti impadronisci del dono è uccidere il dono. Perché impadronirsi? Perché è fuori di sé. È interessante: loro stanno fuori, e dicono “Tu sei fuori”; in greco c’è un gioco di parole: stando fuori gli dicono tu sei fuori, fuori dalla casa, fuori dalle relazioni giuste» (F. Clerici, S. Fausti).

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«È fuori di sé» (Mc 3,21), dicono «i suoi»: “sragiona, come un folle”. Quel che è certo è che Gesù è – per così dire – fuori di loro, fuori dai loro schemi, fuori dalle loro gerarchie patriarcali, fuori dai loro sistemi rassicuranti. Gesù vive una libertà non addomesticabile, la libertà di quello «spirito, che ammaestra, fugge ogni inganno, si tiene lontano dai discorsi insensati e viene scacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia» (Sap 1,5).

«Se Gesù fosse venuto con potere, assoggettando tutti, facendo il padrone del mondo, realizzando i desideri di ciascuno di essere lui che domina gli altri, l’avrebbero accettato, sia i suoi, sia i nemici»; invece Gesù è venuto come Messia contraddetto e contraddittorio, e quindi per certi versi deludente. Le persone a lui più vicine si sentono in diritto e in dovere di intervenire, mostrando «come si può essere dei suoi e avere lo spirito contrario, ma volendogli bene perché “ti devo proteggere!”» (F. Clerici, S. Fausti); in fondo, pensano di dover intervenire anche per il suo bene…

Così «i suoi» si rivelano incapaci di comprenderlo: gli vogliono bene, forse lo amano, ma non lo capiscono; c’è sempre qualcosa che sfugge ai suoi intimi, e così sono costretti a “corrergli dietro”, incapaci di stare al suo passo, e arrancano di fronte alla difficoltà di incasellarlo all’interno di una griglia di pensiero, di religione, di teologia, di convenienze sociali che non può contenerlo. D’altronde, la predicazione di quel rabbi disturbava molti del suo uditorio, e forse anche della sua famiglia: le sue parole erano urtanti, scomode, disturbanti; in menti rigide e a orecchie pie suonavano quasi come bestemmie, proferite da un uomo che pretendeva di essere la vicinanza perdonante e la prossimità misericordiosa di un Dio fatto carne, e dunque incontrabile. Allora, colui che viene avvertito come estraneo e ciò che, nelle sue parole, suona strano va fermato, contenuto, imbrigliato, “portato via”.

«È fuori di sé». Sì, Gesù è tutto estro-versione, è tutto rivolto verso il Padre e verso gli uomini, perché l’amore è sempre oltrepassamento di sé, pro-esistenza, uscita dalla propria comfort zone. L’amore di Dio, rivelato in Cristo, è divina follia, quindi massima sapienza, perché forse «la follia è una delle cose più sacre che esistono sulla terra. È un percorso di dolore purificatore, una sofferenza come quintessenza della logica. La follia è un capitale enorme, estremamente prolifico, però lo può amministrare solo un poeta», scriveva Alda Merini.

Tra la follia di Cristo e il tentativo “normalizzatore” operato dai suoi, è in questo frammezzo scomodo che ci troviamo anche noi: ma «forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana» (Ch. Bobin).

un fratello di Bose

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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