Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 21 Dicembre 2021

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Un passo lesto e deciso, una giovane donna vergine ma incinta sale da sola verso un piccolo paese sulle montagne della Giudea, la accoglie un’altra donna, anziana e sorprendentemente anch’ella incinta.

Due donne, impossibilitate a concepire, l’una vergine, l’altra sterile, eppure due grembi gravidi di futuro, due creature da poco concepite che si incontrano attraverso il grembo, gioiscono l’una per la presenza dell’altra attraverso una danza percepita da Elisabetta, intuita da Maria.

Le parole di Luca ci portano quasi un fremito, come quando si corre e ad un certo punto ci si ferma, si prende respiro e un brivido corre lungo la schiena. Maria è giunta in fretta, nella corsa, spinta dal voler bene che va oltre il calcolo: donna giovane, incinta, da sola in viaggio, ovviamente a piedi, su sentieri di montagna, un elenco di pericoli che fermerebbero qualsiasi partenza nel nostro oggi.

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Maria ha appena ricevuto la visita dell’angelo, annuncio dell’improbabile: «concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù»; come è possibile?, «non conosco uomo». Non ha ancora quell’intimità con un uomo che permette in un atto d’amore di concepire una creatura, eppure si trova incinta.

Maria di fronte all’annuncio compie un passo di fiducia, va oltre il razionale, supera la paura per giungere a intuire quell’impossibile agli uomini ma possibile a Dio, non con un acconsentimento pietistico ma attraverso un atto di fede “Fiat mihi secundum verbum tuum”: avvenga di me secondo la tua parola.

In fretta parte, quasi che questa notizia liberasse in lei energie prima impensate, proiettandola in una vicenda molto più grande di lei, giovane donna chiamata a donare il suo grembo a Dio. Sarà madre di un figlio che rimanda sempre all’oltre fin da piccolo: «Perché mi cercate non sapete che devo occuparmi delle cose del padre mio?» (Lc 2,49).

Maria nella sua vita, narrata nei vangeli, ha detto poche parole, tante gliene abbiamo attribuite noi, facendo di lei, che è donna del silenzio, una chiacchierona erogatrice di messaggi a richiesta. Ha detto poche parole, sempre di fede e fiducia in Dio, poi è rimasta nel silenzio, le ha custodite nel suo cuore, continuando a meditarle lungo tutta la sua vita dall’annuncio dell’angelo, alla croce, al cenacolo tra i discepoli impauriti.

Con questo spirito arriva da Elisabetta e lo Spirito santo continua a lavorare in lei, la accompagna come il custode dei suoi passi e della creatura che porta in grembo, ora scende su Elisabetta e la porta a esclamare: “A cosa debbo che la madre del Signore venga a me?” (Lc 1,43).

Due donne, due storie impossibili, un luogo marginale, periferico, lontano dai centri religiosi e di potere. Sorprendentemente per noi, non per l’agire di Dio, là accade l’incontro tra antica e nuova alleanza, tra un già presente e un non ancora che è in divenire. Giovanni Battista e Gesù di Nazaret fanno il loro primo incontro.

Tutto questo accade per fede, solo per fede, altre vie non sono possibili. È la beatitudine di Maria, che riassume le beatitudini dei poveri di Dio, che è augurio a noi di vivere l’attesa non del dovuto e scontato ma sempre dell’inatteso che suscita meraviglia e invita al ringraziamento: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto!» (Lc 1,45).

fratel Michele


Fonte

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