Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 19 Ottobre 2022

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Vigilanza e servizio reciproco

Il nostro brano comprende due brevi parabole che Gesù narra ai discepoli e che ci parlano entrambe, seppur in modo diverso, di vigilanza. La vigilanza è un concetto centrale nel vangelo e in tutto Nuovo Testamento: indica l’atteggiamento di chi è presente a sé stesso e a Dio, di chi sa combattere contro la sonnolenza del corpo ma soprattutto contro quella del cuore e dello spirito, di chi sa resistere all’intontimento spirituale e vincerlo, rinnovando instancabilmente la propria risposta al Signore.

“Cos’è proprio del cristiano?”, chiedeva san Basilio in un celebre passo delle sue “Regole morali”. E si rispondeva: “Vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che piace a Dio, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene!”.

La prima delle due parabole – brevissima – è apparentemente collegata a quella che la precede nel testo lucano e che parlava di servi che vegliano in attesa di un padrone che deve tornare da una festa di nozze: se li troverà ancora svegli, lui stesso si metterà a servirli (cf. vv. 35-38). La nostra parabola introduce però un’immagine diversa che capovolge quella dei servi che attendono il padrone. Qui i discepoli sono invitati a identificarsi piuttosto con un padrone di casa che, se non vuole lasciarsi scassinare la casa dal ladro, deve vegliare continuamente.

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L’immagine del Signore che viene “come un ladro” la troviamo attestata anche in altri testi del Nuovo Testamento (cf. 1Ts 5,2 e Ap 3,3). A dir la verità, non è particolarmente simpatica ai nostri orecchi, ma più che essere una descrizione di chi è il Signore e di come effettivamente vuole comportarsi con noi (questo ce l’ha già detto la parabola precedente), essa vuole insistere sullanecessità della vigilanza continua in attesa del Signore, proprio perché non si può mai sapere a che ora viene. Quindi bisogna vigilare sempre.

La parabola successiva rilegge e completa la parabola dei servi: in questo caso più che di servi in generale si parla di un servo amministratore che ha la responsabilità della casa e di tutta la servitù. Più che sullo “stare svegli” l’accento è ora posto qui sull’adempimento degli incarichi ricevuti. “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro!” (v. 43).

In questo modo la vigilanza è arricchita di una sfumatura ulteriore: si tratta di vigilare impegnandosi nello svolgimento delle proprie responsabilità. La vigilanza cristiana non estranea il discepolo rispetto alla storia concreta degli uomini: non si tratta di “stare a guardare il cielo” (At 1,10) in attesa del ritorno del Signore. Si tratta piuttosto di attenderlo, attendendo concretamente al compito che ci è stato affidato, con tutta la fedeltà e la responsabilità di cui siamo capaci.

La vigilanza cristiana diventa così anche custodia fraterna. Significa vigilare sul fratello che ci è stato affidato e provvedere ai suoi bisogni (nella parabola si parla di “distribuire il cibo”), e ciò non vale solo per coloro che hanno un compito di autorità nella comunità cristiana – anche se il discorso qui si indirizza innanzitutto a loro –, ma per tutti i discepoli. “Abbiamo un deposito affidatoci da Dio: la vita dei nostri fratelli”, diceva abba Orsiesi, uno dei successori di S. Pacomio alla guida della Koinonia. La comunità cristiana è comunità di servi, fratelli e sorelle sono tutti servi gli uni degli altri, liberamente sottomessi al servizio e custodi che vigilano gli uni sugli altri.

fratel Luigi

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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