Il nostro brano fa parte di una discussione che ha luogo a casa di un fariseo che aveva invitato Gesรน a pranzo. Il fariseo contesta a Gesรน la non osservanza di alcune regole di puritร . Gesรน allora inizia una lunga invettiva, prima contro le osservanze dei farisei, poi contro i dottori della legge. Possiamo leggere queste invettive alla luce dellโammonizione che precede il nostro racconto: โBada che la luce che รจ in te non sia tenebraโ (Lc 11,35).
Gesรน ci sta interpellando sulla nostra veritร piรน profonda, in cui siamo chiamati a far abitare lโamore di Dio, la sua sapienza, la sua giustizia che sole ci possono aiutare a leggere il nostro oggi, la nostra storia presente con uno sguardo di speranza capace di conversione, pur portando il peso e la consapevolezza del nostro passato e della storia che ci precede.
Occorre leggere con intelligenza queste invettive di Gesรน che facilmente danno adito a letture strumentalizzanti e non veritiere. Lโespressione โguaiโ non corrisponde a una maledizione o a una minaccia, ma รจ la traslitterazione di un lamento funebre; potremmo tradurlo con Daniel Attinger come โinfeliciโ. Lโinfelicitร che noi viviamo spesso รจ la naturale conseguenza delle nostre azioni, della nostra attitudine verso gli altri.
La seconda attenzione da avere riguarda tutta la Scrittura che va sempre letta come parola rivolta a noi stessi e non agli altri. Quando leggiamo queste invettive siamo subito pronti a puntare il dito contro questo o quello, ma non pensiamo che sia parola rivolta prima di tutto a noi.
Piรน che con le parole, noi diventiamo testimoni e apostoli veritieri vivendo il vangelo nella sua concretezza. Soprattutto noi uomini cosiddetti โreligiosiโ abbiamo la tentazione di favorire lโapparenza, la facciata a discapito di un cuore spesso abitato da โrapina e cattiveriaโ. Ci facciamo maestri e detentori di una veritร della conoscenza, ma in realtร stiamo sbarrando la strada a chi vorrebbe entrare nel Regno. Lasciamo che regole, statuti e consuetudini finiscano per oscurare la parola profetica che รจ il Cristo stesso, parola che sulla bocca dei profeti non ha mai cercato il plauso delle folle, il successo e lโapprovazione, ma si รจ dimostrata autentica e vera proprio nel rifiuto e nella persecuzione fino alla morte subita dai profeti e da Gesรน stesso.
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Gesรน รจ un uomo libero, capace di un parola di parresia che non vuole uccidere lโaltro, nรฉ minacciarlo, ma lo pone con libertร davanti alla sua veritร , perchรฉ assumendola possa riconoscere la possibilitร e la promessa di una conversione sempre possibile in cui il passato non sia un macigno che schiaccia lโoggi, immobilizzandolo, ma divenga occasione di consapevolezza e libertร , quella libertร che Gesรน ci dร , lui che non considerรฒ โrapinaโ la sua uguaglianza con Dio, ma svuotรฒ se stesso divenendo simile agli uomini. ร di questa umanitร che ci verrร chiesto conto nel nostro oggi, una umanitร capace di essere luce di pace e speranza per i nostri fratelli e sorelle tutti, unโumanitร che si carica del peso degli ultimi e dei sofferenti ben sapendo che, come scrive sorella Maria di Campello, โsolo portando il nostro peso piccolo o non piccolo possiamo avere speranza di aiutare i nostri cari a portare il loroโ.
Infine unโumanitร che si fa discepola di pubblicani e prostitute che ci precedono nel regno dei cieli, oggi diremo di migranti, zingari, omosessuali, transessuali, disabili, senzatetto, di tutti quelli che sono disprezzati, di quegli ultimi nella societร che sono anche gli autentici e primi interpreti del vangelo.
fratel Nimal
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