La vita al ritmo della Parola – p. Amedeo Cencini

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Compiere la Parola

Quando invece c’è il coraggio di scommettere sulla Parola allora la Parola si compie e anche la nostra formazione si compie, ovvero diventa permanente nel giorno qualsiasi. Si compie la Parola per la sua forza intrinseca, come disse quella volta Gesù nella sinagoga di Nazaret (cfr. Lc 4,21); ma anche perché di fatto il credente la compie, le dà vita e sembian­ze umane, le dà visibilità e calore nella sua persona, le dà originalità e novità nell’imprevedibilità del proprio vivere quotidiano. Anzi, “uno diventa la Parola che ascolta (…). La assimila come latte” (21). La compie come in Maria si compirono i giorni del parto e diede alla luce Gesù.

Torniamo ancora per un attimo al mosaico dell’ Annunciazione di padre Rupnik: Maria vi è rappresentata con in mano un gomitolo di lana rossa appoggiato discretamente sul suo grembo, mentre il filo già in parte srotolato dal gomitolo giunge all’altra mano, la sinistra, tenuta aperta a significare l’assenso della Vergine. Il filo rosso che dal grembo di Maria va fino alla mano girando attorno alle dita indica che la decisione contenuta nel suo “sì”” è già un tessere la carne del Verbo. È il mistero dell’Incarnazione: mistero grande che può essere racchiuso nella misura piccola e limitata di ogni nostra giornata, di ogni nostra scelta!

La Parola-del-giorno è come il filo rosso che lega tra loro tutti gl’istanti della giornata, li connette tra loro dando unità alla vita e alla personalità del credente, ma è anche il filo rosso con cui ognuno di noi tesse la carne al Verbo nel grembo verginale della sua giornata, d’ogni sua giornata. Con gelosa vigilanza e pazienza testarda, con senso di responsabilità e cuore pensante. Senza pretendere che ogni giorno venga fuori chissà quale ricamo, o che ogni giorno vi sia chissà quale rivelazione e scoperta, ma semplicemente “accontentandosi” di realizzare la propria vita in coerenza con quella Parola o di compiere quella Parola nel tessuto della vita.

Detto in altre parole: la formazione diventa davvero permanente e “si compie”, nell’ordinarietà della vita, grazie al dono quotidiano e sempre nuovo della Parola, che trova terreno disponibile nel discepolo, nel suo impegno fattivo, nella serietà con cui accoglie la Parola ogni giorno, la conserva e la custodisce in sé come un tesoro, rimane in essa facendone la radice d’ogni espressione vitale, e il punto di riferimento d’ogni sua scelta. È come un tessere e ritessere il tessuto della vocazione con il filo della Parola. Così quella Parola si compie nella sua vita.

Formazione permanente nella dimensione ordinaria vuol dire in fondo passare dalla concezione antica della meditazione come preghiera del mattino a questa logica della Parola-del-giorno che abbraccia tutta la giornata. O, altrimenti detto, la formazione iniziale sta alla formazione permanente così come la lectio matutina sta alla lectio continua (nel senso che le stiamo dando noi ora).

2.5         Lectio vespertina (o nocturna)

E siamo alla fine della giornata. L’appuntamento con quella Parola che ha aperto la giornata e che è proseguito lungo la giornata stessa, non cessa ma continua ancora. Anzi, è sempre quella stessa Parola, che ha aperto la giornata, che ora la chiude. Logico che sia così, in teoria e in pratica.

Contemplazione grata

In altre parole, la lectio prosegue, prosegue con quella preghiera della sera che è posta al termine del giorno del discepolo. Potremmo addirittura dire che è più lectio quella della sera, che non quella del mattino. Perché? Perché al termine della giornata il credente ha di fronte a sé non solo la Parola, ma la Parola più gli eventi del giorno nei quali la Parola stessa s’è compiuta, dunque una Parola più chiara e comprensibile, più evidente nel suo significato, più bella da contemplare e magari anche più inquietante, più viva e vivente. È, in effetti, il momento della contemplazione. Di quella cognitio vespertina o visione nuova, serale, forse notturna, comunque conclusiva della giornata, in cui la luce s’oscura e il sole scompare, le voci tacciono e le tensioni s’allentano, ed è un’ altra la luce quieta che illumina gli occhi e rende mente e cuore capaci di intus-legere.

È la tipica contemplazione dell’apostolo, come contemplazione piena di gratitudine per quanto il Signore ha rivelato di sé, ma anche contemplazione ruspante, terra terra, intrisa di storia, di vicende umane anche complesse, di domande magari rimaste inevase, di ansie che si sono riversate nel cuore dell’ apostolo: tutto questo è riconsegnato a Dio o rimesso nelle sue grandi mani, al termine della giornata, perché il Padre si prenda cura dei suoi figli, in particolare di coloro che soffrono, sani le ferite e consoli i cuori affranti, intervenga ove l’apostolo ha constatato la propria incapacità o la sproporzione tra necessità e urgenza dei problemi e i suoi cinque pani e due pesci. Proprio per questo tutto ciò è ora lasciato aperto alla potenza della Parola e della Parola-del-giorno, è luogo misterioso di grazia, per una rivelazione ancora non del tutto chiara, per certi versi opaca, ma quanto basta perché l’apostolo vi scorga il seme del Regno che sta per venire, i germi di quella salvezza che si sta per compiere.

«Buona notte, mio Dio»

E allora può pregare con Simeone: “Ora lascia, Signore che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza” (Lc 2,29-30). Simeone pregò così al termine della sua lunga vita, dopo aver finalmente “visto” la salvezza; il discepolo della Parola prega così al ter­mine della sua giornata, di ogni giornata, perché ogni giorno vissuto alla luce della Parola è per lui giorno in cui si compie la salvezza. È la matura­zione e maturità della fede, favorita dall’intelligenza delle Scritture: gli occhi e tutti i sensi si sono resi attenti, cuore e mente sono sempre più “in­telligenti”, capaci di “leggere dentro” il mistero, la persona intera sempre più docibilis per lasciarsi formare ogni giorno dalla Parola-del-giorno.

E così il cantico del vecchio credente che saluta la vita diventa simile alla buonanotte che il credente di oggi rivolge a Dio con cuore gra­to; come la lectio matutina è il buongiorno di Dio, così la lectio vespertina o nocturna è la buonanotte del discepolo. La giornata è proprio finita, attraversata dalla Parola che s’è compiuta in essa. E l’animo è pieno di gioia, quella gioia serena e distesa che concilia il sonno, e prepara una nuova giornata, in cui un’ altra Parola si compirà.

Pace e distensione

L’apostolo che ha faticato tutta la giornata non potrebbe conclu­dere diversamente la sua giornata, non potrebbe trovare altra disten­sione al di fuori di quella che gli è offerta dal ritorno a quella Parola che ha aperto la giornata e che ora vede come dispiegarsi lungo la giornata medesima, raccogliendola e dandole un cuore e quasi illuminarsi così d’una luce nuova. Questo, ripeto, è distensivo, oltreché intrinsecamente formativo, perché profondamente rappacificante, armonico, divino e umano, lineare e coerente (e nulla è distensivo come la coerenza). L’apostolo che ha vissuto la fatica dell’annuncio evangelico ai piccoli e agli umili, ai lontani e a chi gli ha opposto resistenza ha bisogno di distensione, di distensione vera, del corpo e della mente; al termine della fatica quotidiana, ne ha diritto.

Nessuno dica, allora, che non fa la preghiera della sera perché è stanco, perché vorrebbe dire che non ha capito nulla della natura della stessa preghiera della sera, e perché sarebbe contraddittorio: proprio perché è stanco ha bisogno dell’ orazione della lectio vespertina e di quella pace profonda e rilassante che solo dalla Parola può venire (22).

E stia attento, semmai, a non cercare forme strane e improprie di distensione a fine-giornata (dando una sorta di libera uscita, più o meno trasgressiva, a certi impulsi e istinti, in modi irriflessi, o semplicemente cliccando e navigando), forme strane e improprie nel senso che, al di là dell’esser moralmente rilevanti, non sarebbero in linea con la sua identità e verità, e dunque sarebbero anche incapaci di dargli quel che lui cerca e che esse sembrano promettergli; esse non potrebbero mai assicurargli la vera distensione della mente e del cuore, ma tutt’al più solo qualche briciola di gratificazione dei sensi, subito bruciata da un retrogusto doloroso, ma pronta poi a ripresentarsi sempre più esigente e prepotente, fino a renderlo dipendente. Altro che distensione, qui nascono pian piano nuove schiavitù!

Ancora una volta, al di là della virtù o della fedeltà in senso morale, c’è poca intelligenza e molta stoltezza nella facilità e leggerezza con cui molti non s’accorgono di questi tranelli finendo per svendere dignità e libertà personale e per smarrire la pace interiore.

D’altro canto è pure importante che l’apostolo superi un’altra illu­sione o pretesa, prima intravista, quella dell’ onnipotenza, che spinge certuni a prolungare – più stoltamente che eroicamente – l’attività lavora­tiva, come se la salvezza dipendesse da loro e dovessero per forza risol­vere tutti i problemi di tutta la gente, col risultato prima o poi di scoppiare o di esaurirsi in breve tempo! Ancora una volta il contatto con la Parola-che-salva è esperienza proprio di quella redenzione che da essa solo può venire, è accettazione serena del proprio limite, è affidamento di tutto e di tutti, a cominciare dalle persone affidate, alla potenza della Parola, esat­tamente come faceva Paolo con coloro che non avrebbe più visto (cfr. At 20,32) e come dovrebbe fare ogni annunciatore e seminatore della Buona Novella, che non pretende di raccogliere, ma lascia che altri lo facciano.

Verifica di fronte alla Parola

Al tempo stesso la Parola dinanzi alla quale si conclude la giornata diventa anche verifica molto realistica, punto di riferimento per un esame di coscienza puntuale. Ed è del tutto logico e coerente con quanto abbiamo detto: la contemplazione della Parola che s’è compiuta negli eventi del giorno, renderà inevitabilmente più chiari ed evidenti quei momenti della giornata in cui alcuni atteggiamenti del discepolo non hanno consentito alla Parola, per quanto dipende dall’uomo, di compiersi e operare salvezza.

D’altronde è nella natura della Parola: non sei tu che la leggi e contempli, ma è essa che ti guarda, ti fissa, ti rivolge uno sguardo tenero e pure severo, ti accusa e ti ferisce, ti risana e salva, ti chiama e t’accarezza, ti trafigge il cuore. Per questo la Bibbia appartiene a chi la legge, perché ogni lettore sa che in un rotolo del libro c’è qualcosa scritto su di lui e per lui (cfr. Sal 40,8). E proprio questo, forse, sente e scopre ancor più nella preghiera della sera.

E così l’esame di coscienza assume importanza a partire anch’esso dalla Parola-del-giorno, perché può esser fatto solo dinanzi a essa, per cui non sarà mai ripetitivo e scontato (e poi finire per esser abbandonato come cosa non così importante), ma mi darà di conoscere sempre aspetti nuovi della mia povertà e debolezza. E così la conoscenza di me, del mio mondo interiore, cresce assieme alla conoscenza di Dio e della sua Parola. Mentre si realizza uno dei primi obiettivi della formazione permanente: la capacità di lettura della vita alla luce dell’intelligenza delle Scritture.

Ma soprattutto la vita del credente comincia ad avere il suo ritmo fondamentale.

AMEDEO CENCINI

Estratto da “LA VITA AL RITMO DELLA PAROLA.

Com2 lasciarsi plasmare dalla Scrittura” San Paolo 2008

NOTE

[1]        Vedi, in particolare, Il respiro della vita. La grazia della formazione permanente, Cinisello Balsamo 20022, e idem, L’albero della vita. Verso un modello di formazione iniziale e permanente, Cinisello Balsamo, 2005.

[2]        Non sono tre parole, ma un’unica parola, come stanno a dire i due trattini.

[3]        Ho approfondito l’argomento in A. Cencini, Il respiro, 56-74.

[4]        E forse potremmo aggiungere il ritmo stagionale, legato alle stagioni della vita, e se esiste un ritmo ordinario c’è pure il ritmo straordinario, connesso con certe situazioni critiche della vita (crisi, trasferimenti, cambi di ruolo, infermità d’una certa serietà…). In questa analisi ci fermeremo ai quattro ritmi classici appena menzionati.

[5]        Dall’Inno di Nona della Liturgia delle Ore.

[6]        Circa la docibilitas vedi A. Cencini, Il respiro, 34-39.

[7]        Sostanzialmente riprendo quanto esposto nel già citato volume La verità della vita, 312-328, ma con l’aggiunta di una caratteristica significativa.

[8]        Cfr. Benedetto XVI, Esortazione Apostolica postsinodale “Sacramentum caritatis”, Roma, 2007, 45; Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale “Vita consecrata”, Roma 1996, 6; 94; 101. Vedi anche in questa collana il volumetto di I. Gargano, La lectio divina nella vita dei credenti, Cinisello Balsamo 2008.

[9]        Ancor più in generale sembra lecito chiedersi: «Si pratica ancora la preghiera mentale? È sentita come un elemento portante d’una seria vita spirituale? …Ci sembra piuttosto che, di fatto, ci si contenti della preghiera vocale, magari liturgica…» (G. Mucci, È passata di moda la preghiera mentale?, in «La Civiltà Cattolica», 3761 [2007] 430).

[10]     Nuove vocazioni per una nuova Europa. Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, Roma, 5-10 maggio 1997, 26 a).

[11]     J. Guitton, 1/ lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e lavorano, Cinisello Balsamo 1996,89.

[12]     Cfr. L. Guccini, Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto,Capiago 2006,13-14.

[13]     Al IV convegno della chiesa italiana, celebrato a Verona, il monaco Mosconi ha stimolato soprattutto sacerdoti e consacrati a chiedersi, a quarant’anni dal Concilio: «Questo tempo – che per la Bibbia è il segno d’una intera generazione – quanto è stato inquietato e trasformato dalla Parola? Cosa ne abbiamo fatto della Parola?» (F. Mosconi, Meditazione, in «Avvenire», 18.X.2006, 10).

[14]     Sul senso del passaggio dall’ esperienza alla sapienza cfr. A. Cencini, La verità, 401-409.

[15]     J. Guitton, Il lavoro, 98.

[16]     Antonin-Dalmace Sertillanges, La vita intellettuale, Roma 1998, 182.

[17]     J. Guitton, Il lavaro, 98.

[18]     «Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il … Logos significa insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi» (Benedetto XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, in «L’Osservatore Romano», 14.IX.2006, 6), se dunque Logos significa capacità comunicativa, chi ne fa esperienza deve saper “comunicare” con parole il contatto con tale Parola.

[19]     J. Bossuet, Méditations sur l’Evangile, citato da G. Ravasi, Meditare e masticare, in «Avvenire», 17.V.1997, 1.

[20]     Origene, Commento alla Lettera ai Romani, a cura di F. Cocchini, Volume Il, Genova 1986, 95 (In epistulam ad Romanos IX, 1 commento a Rm 12, 1-2).

[21]     F. Mosconi, Meditazione,10.

[22]     Racconta la tradizione orale del mio Istituto (i Canossiani) che i nostri primi Padri, semplici fratelli che consumavano i giorni nell’umile lavoro dell’oratorio giovanile quotidiano, arrivavano stanchi morti alla fine delle loro giornate, ma non potevano rinunciare all’appuntamento serale-notturno con il Signore. Per non rischiare d’addormentarsi ricorrevano allora a questo singolare stratagemma: si bagnavano la nuca con un panno d’acqua fredda. Credo che la preghiera che usciva da quei cuori non fosse particolarmente elevata sul piano mistico, ma certo era preghiera che saliva gradita a Dio, tipica orazione di fine giornata dell’apostolo che ha speso tutte le energie per annunciare il Signore e che ora avverte l’esigenza insopprimibile di concludere il giorno laddove era cominciato, di raccontare al suo Signore la trama del giorno trascorso, di rimettere tutto nel suo cuore, per trovare pace nel suo abbraccio.