La vita al ritmo della Parola – p. Amedeo Cencini

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Le sottolineature

È già una scrittura la semplice sottolineatura, come un primo passo d’un processo di personalizzazione cui mira la scrittura stessa. Sottolineando una parola o un versetto, o evidenziando una frase-chiave o un gesto del Signore narrato nel vangelo il lettore manifesta una particolare relazione con quella parola che come scintilla di luce – innesca a sua volta una serie di reazioni: per esempio l’interesse che quella parola suscita in lui, la concentrazione su di essa dell’attenzione orante per farla propria, la sosta meditativa di fronte a essa per scrutarla, scavarla, ruminarla, per scoprirvi un senso particolare e magari inedito e riconoscersi in essa, la preghiera vera e propria per lasciar sedimentare nel cuore quella parola e dialogare con essa.

Le sottolineature d’un testo indicano esattamente il tipo di lettura del credente, le zone d’attrazione e di maggior provocazione, il suo peculiare modo di appropriarsi di ciò che legge. Sono il segno della perso­nalizzazione della lettura. Per questo vanno usate con criterio, ovvero, non avrebbe senso sottolineare tutto o quasi, sarebbe segno d’una lettura piatta, che pone tutto allo stesso livello. C’è chi sottolinea templi­cemente, chi usa l’evidenziatore, magari con colori diversi (proprio a dire il diverso grado di significatività soggettiva di ciò che è letto), chi riproduce nel testo uno schemino riassuntivo servendosi d’immagini, di frecce, di simboli. Va tutto bene ciò che sta a esprimere un contatto reale, un dialogo iniziato e destinato poi a continuare, uno scambio che poi durerà tutta la giornata. Ovvio che queste sottolineature, comunque, potranno esser apportate anche al termine del giorno, riprendendo in mano il testo della medita­zione mattutina, a evidenziare un’attenzione o una comprensione forse nuove e sollecitate dagli eventi.

Insomma, la Bibbia o almeno il commentario quotidiano della Parola-del-giorno su cui si fa la riflessione mattutina, dovrebbe un po’ recare i segni della lettura o della lotta mattutina, dell’incontro o dello scontro d’ogni giorno con essa. Il libro della Scrittura diventa, allora, come la cosa più personale che uno possiede, ed è tale nella misura in cui uno se ne è appropriato e il testo è divenuto davvero un testo usato, fino a esser persino logorato dall’uso, segnato e sottolineato, a esprimere in qualche modo la pluralità dei sentimenti del credente verso di essa: l’amore, la paura, la venerazione, il fascino, e così pure le ispirazioni, le luci, i dubbi, gl’interrogativi del momento. Perché la Bibbia non è un testo da biblioteca, bello a vedersi, da conservare integro e intonso, intatto e incontaminato. A che servirebbe in tal modo? È testo ispirato solo se ispirante; è sacro solo se incarnato in vicende umane; è una pagina bella solo se è un campo di lavoro o di battaglia; è amico fedele e quotidiano solo se interlocutore abituale e franco.

La riflessione personale

Tanto meglio, in tal senso, se il lettore va oltre la semplice sottoli­neatura e registra in un modo o in un altro, in un suo testo a parte, le sensa­zioni e riflessioni che la Parola ha depositato e seminato nel suo cuore: dal semplice commento del brano all’orazione modulata su di essa, dal richiamo-rimprovero che sale dalla Parola e gli “trafigge il cuore” (cfr. At 2,37) al versetto da portarsi via durante la giornata (magari da scrivere su un foglietto a vista), dalla decisione presa a partire dalla Parola alla “traduzione” personale e applicazione creativa del dettato biblico, dall’in­tuizione soggettiva alla frase dell’autore spirituale, antico o moderno, che ne ha estratto in modo originale il senso. Il lettore che non vuole perdere tutto ciò diventa uno scrittore che si annota con cura questa ricchezza nel suo personale commentario alla Parola-del-giorno, per non smarrirne il frutto. Tale annotazione sarebbe ancora parte della lectio, come la sua parte finale, gesto orante che la conclude chiedendo a Colui che ha seminato la Parola, il dono di portarla a maturazione, perché si compia.

Forse qualcuno sorriderà o troverà la cosa eccessiva e artificiosa, ma in realtà cosa c’è di più logico e naturale del tenere una sorta di “diario della Parola-del-giorno”, come un resoconto quotidiano della propria lectio? Di fatto è un modo di custodire il dono del Signore, o di raccontarsi attraverso questa manna che ha nutrito e alimentato la vita, in cui giorno per giorno il discepolo s’è riconosciuto. Quella Parola ha scandito la sua vita e la sua crescita, formazione permanente è anche questo custodire il tesoro e riandare poi a esso per lasciarsi sempre più investire dalla potenza di quella Parola.

Semmai, è sconcertante pensare quanta Parola di Dio, seminata ogni dì nei nostri cuori, incontri terreno arido e sassoso, spine e rovi (cfr. Lc 8,4-15) e resti perciò incompiuta!

Scrivendo in vario modo la lectio, tra l’altro, si aiuta enormemente la lectio medesima, nel senso che non si corre il rischio di dimenticarla, di scordare (= staccare dal cuore) durante il giorno la Parola-del-giorno, di perdere nel tempo le ispirazioni e le luci ricevute durante la meditazione; magari lo scrivere la lectio può aiutare la preghiera della sera, particolarmente nel momento della verifica, e “solleva e libera dal peso del senso dell’inesprimibile e dell’ineffabile” (17), che a volte diventa anche alibi, comoda scusante che dispensa dalla fatica di dire in parole semplici la ricchezza della Parola.

In tal senso lo scrivere la lectio diventa esercizio tra i più salutari: abitua a raccontare la Parola, a se stessi anzitutto (e poi agli altri, e libera dalla illusione di chi pensa d’aver capito tutto, così tutto e così tanto da non poter né saper trovare le parole per dire quanto ha capito. E invece è esattamente il contrario: la Parola divina sopporta d’esser tradotta in parole umane. Chi non sa scrivere non solo non sa leggere, ma mostra d’aver capito poco di quel che in qualche modo ha letto; applicato al nostro contesto, chi non s’accontenta di parole umane, semplici e limitate, per dire il divino, s’illude forse d’esser un mistico che ha visto l’indicibile (e teme che la parola umana rovinerebbe la bellezza di quel che ha visto-sentito), ma in realtà, se non trova parole umane per comunicare l’esperi­enza, dimostra di non esser mai entrato in contatto con la Parola di Dio (18).

2.4         Lectio continua

Nei primi due paragrafi abbiamo indicato soprattutto il contenuto della nostra formazione quotidiana, nel terzo e soprattutto nei prossimi due indichiamo in particolare il metodo che ci porta allo stesso obiettivo formativo.

La lectio nella giornata

La lectio è continua quando segue in modo regolare il medesimo libro della Scrittura, senza interruzioni o salti di sorta. Ma non è questo il senso che noi attribuiamo ora all’espressione: la lectio è continua quando l’approccio meditativo mattutino alla Parola-del-giorno continua lungo la giornata. Ovvero, quando la Parola che ha aperto la giornata la accompagna nel suo svolgersi, d’istante in istante, fino a sera, in qualche modo compiendosi in essa. È per questo, in fondo, che la Parola è stata detta da Dio, non per una semplice consolazione spirituale del pio lettore, ma per incarnarsi nella storia, nella piccola storia di ciascuno di noi, e realizzare salvezza. Altrimenti siamo simili a quel terreno pietroso di cui Gesù dice, che ha accolto all’inizio con entusiasmo la Parola e fatto germogliare i semi, lasciandoli poi inaridire (cfr. Lc 8,6.13). Non basta la prima adesione mattutina.

La Parola fecondata dagli eventi

Quella Parola, allora, come dice il profeta (Is 55,10-11), non tornerà al Padre così come è uscita dalla sua bocca, bensì ricca di ciò che ha operato nel cuore del credente; ciò avverrà solo se la giornata del credente, e dunque la sua vita, la sua persona, i suoi affetti, le sue relazioni, persino i suoi fallimenti e delusioni, tutto, insomma, diventa come un grembo, come il grembo di Maria, che ogni giorno partorisce una parola sempre nuova di Dio.

È lo schema rigorosamente biblico della Parola fecondata dagli eventi. La Parola-del-giorno è seme divino, da Dio seminato nel terreno della nostra giornata: sarà solo l’incontro tra i due elementi che consentirà alla Parola di svelarsi pienamente, d’esser compresa in tutta la sua ricchezza, di compiersi in maniera sempre nuova e inedita per la salvezza. Quel compimento, o tutte quelle fasi che portano a esso, è la nostra formazione permanente ordinaria.

A che serve, infatti, una meditazione accurata e condotta secondo le moderne e classiche regole della lectio, se resta confinata in uno spazio rigoroso? A che pro meditare, passando ordinatamente e con certo sussie­go attraverso lectio, meditatio, oratio, contemplatio, discretio, se questo non continua poi lungo il giorno? Come si può parlare di unità di vita attorno alla Parola se il credente non trova il modo di proseguire durante le attività quotidiane il suo rapporto con quella Parola specifica? Sarebbe come uno che si nutre anche abbondantemente (della Parola), ma poi non fa movimento (= non fa circolare la Parola lungo la giornata). Ovvero c’è in noi una certa abbondanza di conoscenza della Scrittura, quasi un’obesità intellettuale, ma con scarso risvolto e coinvolgimento esistenziale; la Parola rimane sterile in un discepolo sterile, che magari non ricorderà nemmeno, durante il giorno, quale Parola gli ha dato l’avvio, e – quel ch’è peggio – non se ne darà alcuna pena, come fosse un ricordo non necessario. Quale esperienza potrà dire d’aver fatto, un discepolo dimenticone del genere, della Parola come roccia della vita, come lampada ai miei passi, come cibo che dà forza?

Credo che sia uno dei limiti dell’interpretazione odierna della lectio, che finisce per relegare l’incontro con la Parola a un momento della giornata, per quanto dignitosamente gestito. È tutto sommato un’interpretazione riduttiva e debole, che fa della lectio una pratica di pietà qualsiasi e non rispetta la centralità assoluta della Parola nella vita del discepolo, non solo in teoria o nella sua testa di studioso (quando va bene). In particolare nella vita così dinamica e complessa dell’apostolo oggi è fondamentale chiarire questo punto, nel quale consiste buona parte di quella che chiamiamo formazione permanente ordinaria e che è ciò che dà il ritmo al giorno.

Sarà certo indispensabile l’approccio mattutino con la Parola-del-giorno, ma senza pretendere d’esaurire in quel momento il rapporto con la Parola stessa. Quello è solo il primo approccio, destinato a segnare la giornata e continuare in maniera sempre più intensa e articolata nella giornata stessa. In che modo?

Con alcune attenzioni metodologiche riguardanti sia il momento specifico della meditazione che il seguito poi della giornata.

Custodire la Parola

Anzitutto, in concreto, dalla meditazione del mattino è importante che il lettore venga via con una Parola, un versetto, una scena o immagine precisa, qualcosa in cui sente concentrarsi il dono e l’appello del Signore per quella giornata. Dice infatti Bossuet che, quando si medita e si coglie una verità rilevante per la propria persona, è importante fermarsi e non passare da un pensiero all’ altro, da una verità all’altra: “Tenetene una, stringetela finché penetri in voi; legate a essa il vostro cuore, estraetene, per così dire, tutto il succo a forza di strizzarla con la vostra attenzione” (19). La meditazione mattutina è più il momento dell’accoglienza che non quello della comprensione, è il momento nel quale si lascia che la Parola o una parte d’essa entri nel proprio cuore, per esservi custodita e conservata lungo la giornata come un tesoro, anche se non è stata “capita” in tutto il suo senso (è l’ascolto verginale, di chi, come Maria, non fa alcuna violen­za alla Parola, neppure per capirla o per capirla subito, cfr. Lc 2,19.51).

Quella Parola così custodita assumerà sempre più un ruolo attivo nella vita del credente, diventerà suo custode: “Se conserverai e custodirai la Parola… in modo che scenda nel profondo della tua anima e si trasfonda nei tuoi affetti e nei tuoi costumi…, non c’è dubbio che tu pure sarai conservato da essa”, dice infatti san Bernardo. E qui inizia la lectio nella giornata o durante la giornata.

Rimanere nella Parola

Quella stessa Parola conservata-custodita dovrà concretamente durante il giorno diventare la radice d’ogni gesto e pensiero, affetto e desiderio, in modo che tutto nell’essere e nell’agire della persona trovi in essa la propria sorgente e forza, come fosse piantato in essa, esattamente come il tralcio che è unito alla vite (cfr. Gv 15), o come se il credente desse in ogni circostanza la parola a Gesù, fidandosi del vangelo e andando ben oltre il buon senso umano o le proprie esclusive congetture. Così nasce di fatto la familiarità profonda e appassionata con la Scrittura, mentre la Parola “rimane” nel cuore e nella mente; ed è proprio questo rapporto costante e vitale tra la Parola-del-giorno e il credente che dà luogo lentamente a quel processo d’incarnazione della Parola stessa nella vita del discepolo, processo che ne renderà sempre più comprensibile il mistero.

La formazione permanente è parte e frutto di questo processo, ed è già in atto a questo punto, rinnovando la mente e mantenendola giovane e creativa. Come ben dice Origene: “La nostra mente si rinnova, mediante l’esercizio della sapienza e la meditazione della Parola di Dio e la comprensione spirituale della sua legge, ed uno, nella misura in cui ogni giorno progredisce leggendo la Scrittura, nella misura in cui si accresce la sua conoscenza, sempre e quotidianamente si rinnova. Non so, però, se può rinnovarsi una mente che è pigra nei confronti delle Scritture divine e dell’esercizio proprio della comprensione spirituale, mediante cui possa non solo di comprendere ciò che è scritto, ma anche spiegarlo più chiaramente e rivelarlo con maggior precisione” (20).

Scommettere sulla Parola

Il passo successivo in tale cammino è il riferimento esplicito alla Parola-del-giorno quando c’è da prendere qualche decisione lungo la giornata. Ovvero si tratta di rendere la Parola che Dio ha in qualche modo consegnato al credente criterio di discernimento in generale e punto di riferimento specifico delle proprie scelte, piccole o grandi che siano; e noi sappiamo quante siano o quante potrebbero essere le scelte che riempiono un giorno. La Parola-del-giorno è compresa solo se e quando ogni progetto passa attraverso di essa, ne è filtrato e purificato nelle sue componenti impure, e solo quando quella stessa Parola diventa l’unico motivo, l’unico fondamento, l’unica spiegazione della decisione.

Anzi, lì nasce il credente, quando uno può dire, come Pietro quella volta sul lago: “Signore, questa scelta la faccio solo poggiandomi sulla tua Parola, non perché una certa logica umana potrebbe portarmi in questa direzione, ma perché mi pare che tu mi chieda questo attraverso quella Parola che ha aperto oggi la mia giornata; anzi, un certo criterio umano mi condurrebbe altrove, ma io voglio scommettere su quella Parola che m’hai donato, e proprio perché me l’hai donata oggi so che essa ha qualcosa da dire a questa mia giornata e può dar senso e vigore alle mie scelte, voglio credere che essa è vera e non inganna, voglio provare cosa diventa la mia vita costruita solo in verbo tuo”. Rigorosamente parlando, chi non ha mai fatto questo tipo di scommessa tratta la Parola come un libro interessante, come lo è un libro che parla di Marte e dell’ipotesi di vita su quel pianeta. Ovvero, chi non ha mai scommesso sulla Parola non è credente, tutt’al più è un’ipotesi di credente, anche piuttosto remota.