Fabrizio Morello – Commento al Vangelo del giorno, 8 Ottobre 2023

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Vigna e frutti.

Sono le parole ricorrenti di questa Domenica.

Le si rinvengono nella prima lettura ( Is 5, 1-7 ) e nel Vangelo.

In entrambi i testi troviamo, in primo luogo, un riferimento alla “ vigna “.

Il profeta Isaia descrive la “ cura “ che il Signore le dedica ( “ Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino “ ).

Ugualmente fa il Vangelo ( “ La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre “ ).

La “ vigna “ è quindi un qualcosa di prezioso, un qualcosa di cui il Signore si è preso cura con amore.

Essa viene consegnata a dei contadini i quali dovrebbero averne “ cura “ e produrre, da essa, “ frutti “.

Cio’ accade?

Nel testo di Isaia leggiamo che essa produsse “ acini acerbi “ e non l’ “ uva “ che si aspettava il Signore.

Nel Vangelo leggiamo invece che i contadini, per evitare al Signore di raccogliere “ i frutti “, uccisero tutti i servi inviati a tale scopo non esitando a fare lo stesso con il “ figlio del padrone “.

La vigna non produce cio’ che il Signore si aspettava ( “ Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi “ ) e, pertanto, il padrone “ la affida ad un altro popolo che la possa far fruttificare “.

Come risuonano attuali le parole di questi due testi.

Dio aveva affidato la sua vigna alla “ casa d’Israele “ in quanto “ gli abitanti di Giuda “
erano la sua “ piantagione preferita “.

Oggi affida a noi cristiani la sua vigna.

E noi, come ci stiamo comportando?

La stiamo “ curando “, la stiamo “ arando “, la stiamo “ zappando “ affinché produca frutti da mettere a disposizione del Regno o la stiamo rendendo un deserto, impedendole, pertanto, di fruttificare?

Io, in particolare, cosa so producendo? “ Uva matura “, buona da mangiare, o “ acini acerbi “, che hanno un sapore sgradevole?

Questi sono gli interrogativi che queste due pagine ci mettono dinanzi; sono domande forti, che ci devono indurre a riflettere su come stiamo svolgendo il nostro ruolo di “ contadini “.

E’ una buona occasione per fermarci un po’ a pensare e a chiederci quali frutti buoni la nostra esistenza ha fino ad oggi prodotto e provare ad elencarli, a scriverli su un foglio.

Se ci si dovesse accorgere che abbiamo prodotto piu’ “ acini  acerbi “ che “ frutti buoni “, credo che sia arrivato il momento di “ iniziare a concimare “ meglio la vigna, sgombrandola dai sassi, cioè dai nostri peccati, che non ci hanno consentito, fino ad oggi di prenderci adeguatamente cura di essa.

Sono l’amore, la pazienza, la compassione, la misericordia, i “ concimi “ che ci renderanno “ frutti buoni “, i quali hanno un’unica vocazione: quella di “ farsi mangiare “, quella di farsi cibo nutriente per i nostri fratelli, proprio come fece Gesu’, che si è fatto pane per tutti noi.

Forza, allora, iniziamo tutti a “ cambiare concime “ a noi stessi: non tarderemo a diventare “ frutti buoni “ da mangiare.

Sarà il compimento della missione che Dio ha assegnato a ciascuno di noi.

Buona Domenica e buona riflessione a tutti. 

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Mt 21, 33-43 | Fabrizio Morello 15 kb 5 downloads

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