Oggi decido il mio rapporto con Cristo
Siamo giunti allโultima domenica dellโanno liturgico, la quale nei tempi recenti (per lโesattezza dal 1925, ad opera di Pio XI) รจ stata istituita come โSolennitร di Nostro Signore Gesรน Cristo Re dellโuniversoโ: festa di colui che reintesterร in sรฉ tutte le realtร create, che si mostrerร โRe dei re e Signore dei signoriโ (Ap 19,16) e che nel giudizio finale emetterร la parola ultima sul bene e sul male della storia, inaugurando โcieli nuovi e terra nuovaโ (Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1).
Lโordo liturgico prevede un brano del Vangelo secondo Matteo, la conclusione del discorso escatologico (cf. Mt 24-25), pronunciato da Gesรน a Gerusalemme nei giorni precedenti la sua passione e morte. Al cuore del lungo discorso riguardante la fine dei tempi, Gesรน ha annunciato la venuta del Figlio dellโuomo, la sua parusia gloriosa: prima comparirร nel cielo il segno del Figlio dellโuomo, la croce, poi tutti vedranno lo stesso Figlio dellโuomo veniente nella potenza e nella gloria sulle nubi del cielo, attorniato da angeli inviati a radunare gli eletti da tutti confini della terra. Sarร un avvento di dimensione cosmica, un evento che sโimporrร a tutto lโuniverso e che provocherร nelle genti della terra un sentimento di accusa verso di sรฉ per il male compiuto, fino a battersi il petto. Ognuno contemplerร questo Veniente nella gloria, trafitto, perchรฉ egli attirerร a se gli occhi di tutti (cf. Gv 19,37; Ap 1,7).
Dopo questo annuncio (cf. Mt 24,4-44), Gesรน consegna un ammonimento (cf. Mt 24,37-44) e tre parabole sulla vigilanza e sulla responsabilitร da assumere di fronte alla sua venuta gloriosa (cf. Mt 24,45-25,30). Infine, chiude il discorso con il brano che oggi meditiamo, testo difficilmente catalogabile allโinterno dei generi letterari: รจ un racconto che sembra una parabola, ma non lo รจ pienamente; non รจ neppure unโallegoria; รจ piuttosto un racconto esemplare, la descrizione profetica di un quadro apocalittico. Aprendo il cuore e chiedendo allo Spirito santo di operare nella nostra intelligenza, cerchiamo ora di cogliere in queste parole di Gesรน dove stia per noi, qui e ora, il Vangelo, la buona notizia.
โQuando il Figlio dellโuomo verrร nella sua gloria, e tutti gli angeli con luiโฆโ. Sรฌ, allโorizzonte della storia cโรจ la venuta del Figlio dellโuomo, il Veniente da Dio, preesistente alla creazione del mondo presso Dio, che nellโumiltร รจ venuto nel mondo e ha annunciato il Regno in azioni e parole, che ora va verso la passione e morte, ma che verrร nella gloria alla fine della storia per un decreto estrinseco alla storia stessa, in obbedienza alla volontร del Padre, Signore e Creatore del cielo e della terra.
Quando verrร nella gloria, apparirร con tutti i suoi angeli, creature a noi invisibili. Cosรฌ avveniva, secondo lโAntico Testamento, la manifestazione, lโepifania del Dio vivente: quando Dio appare, รจ attorniato dalle sue schiere di messaggeri (cf. Dt 33,2) e dai suoi santi (cf. Zc 14,5). ร loย jom โAdonaj, โil giorno del Signoreโ (cf. Am 5,18.20; Is 2,12; Sof 1,7, ecc.) preannunciato dai profeti, nel quale si manifesterร il Veniente, incaricato di emettere il giudizio su tutta la storia. Egli ha le sembianze di un โumanoโ (ben enosh,ย hyiรฒs toรป anthrรณpou), ed essendo giudice va a sedersi sul trono della gloria, il trono sul quale il Signore regna (cf. Sal 9,5.8; 11,4, ecc.).
La visione รจ grandiosa: davanti a lui saranno riunite tutte le genti della terra, di ogni luogo e di ogni tempo, tutta lโumanitร ! Si tratterร innanzitutto di operare una separazione, di fare un discernimento tra gli umani, allo stesso modo con cui un pastore deve separare le pecore dalle capre. Se la zizzania era cresciuta insieme al grano, ora la si deve separare da esso (cf. Mt 13,24-30.36-43); se la rete aveva catturato pesci buoni e pesci cattivi, รจ venuto il momento di fare la cernita, trattenendo quelli buoni e gettando nel mare i cattivi (cf. Mt 13,47-50).
Questa operazione che il Figlio dellโuomo farร come pastore, รจ sempre stata annunciata ed รจ necessaria affinchรฉ lโultima parola sul male e sul bene operato dagli umani nella storia sia di Dio: parola definitiva, parola di giustizia, che contiene in sรฉ la misericordia ma che รจ nel contempo un giudizio. Guai se il cristiano dimenticasse questa realtร che lo attende, dโaltronde confessata nel Credo: โDi nuovo verrร , nella gloria, per giudicare (venturus est โฆ iudicare) i vivi e i morti e il suo Regno non avrร fineโ.
Davanti a questo Re universale, che ammette o esclude dal suo regno, vi รจ lโoikoumรฉne, il mondo intero, lโumanitร , i cristiani e i figli di Israele: tutti, veramente tutti! Nello stesso tempo, si avverte che il giudizio รจ dato a ogni persona, uomo e donna, perchรฉ il Re โrenderร a ciascuno secondo le sue azioniโ (Mt 16,27; cf. Sal 62,13). Ecco allora la seconda scena, quella del giudizio vero e proprio, costituita da un dittico che presenta elementi paralleli: una doppia sentenza emessa sullโumanitร , la prima positiva, la seconda negativa. Che cosa considera il Re seduto sul trono della gloria, per formulare il giudizio? Ciรฒ รจ molto interessante, e credo che poco ci si sia interrogati sulla scelta dei capi di approvazione o di accusa scelti e proclamati da Gesรน.
Non si tratta di questioni che riguardano la fragilitร degli umani, il loro aver compiuto il male in quanto attratti da passioni umane. Non che questi non siano stati peccati, ma in vista della salvezza o della perdizione non appaiono come cause di vita o di morte eterna. Non sono neppure elencati i peccati contro Dio, quali la bestemmia o la mancata osservanza del sabato (di tradizioni religiose). Le colpe che causano lโesclusione o lโingresso nel Regno sono invece quelle concernenti i rapporti, le relazioni tra gli umani, in particolare in riferimento alla situazione di bisogno o di disgrazia: la fame, la sete, lโemarginazione dello straniero, la nuditร , la malattia, la prigionia. Rispetto a queste situazioni, come si sono comportati gli umani? Sulla risposta a tale interrogativo si fonda la benedizione o la maledizione.
Questo Re dellโuniverso puรฒ dunque dire: โVenite, benedetti del Padre mio, ricevete in ereditร il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perchรฉ ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmiโ. Qui si gioca la salvezza: nella relazione concreta con ogni altro essere umano. Sulla terra avviene giร il โprocessoโ, quando di fronte a chi รจ nel bisogno facciamo qualcosa, quello che possiamo e sappiamo fare, oppure non facciamo nulla, perchรฉ passiamo oltre ignorando il suo grido di aiuto.
Alla fine, nel giudizio, ci sarร solo la sentenza. Non nel culto, non nella liturgia ci si salva, ma nella relazione tra corpi, nel volto contro volto, mano nella mano, carne che tocca la carneโฆ Lโamore che Gesรน richiede non รจ astratto, non รจ fatto di intenzioni e sentimenti, non รจ solo โpreghiera perโ: รจ azione, comportamento, concreta responsabilitร . Se la liturgia, la preghiera e i sacramenti non ci conducono a questo, allora sono sterili e inutili, in quanto sono finalizzati allโamore, al vivere nellโamore, allโamare persino il nemico, il non amabile (cf. Mt 5,43-48).
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Ma questa sentenza del Re, stupisce e meraviglia coloro ai quali viene rivolta. Per questo essi reagiscono con una domanda: โQuando mai, Signore, abbiamo fatto questo e questโaltro?โ. Lo stupore dei giusti รจ altamente significativo: questi benedetti non sanno di essere stati misericordiosi anche verso Gesรน! Ed รจ fondamentale non saperlo, perchรฉ Gesรน, come Dio, รจ presenza nascosta, elusiva: se non lo si riconosce, si compie lโazione in piena gratuitร , senza pensare di aver fatto unโopera meritoria che Dio ricompenserร in quanto rivolta al Figlio dellโuomo. La malvagitร o la bontร dellโazione compiuta nascono dal modo in cui si vive la relazione con il fratello o la sorella, e non in riferimento al Dio che non si vede.
Su ciรฒ sono sempre istruttive le parole della Prima lettera di Giovanni: โNessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e lโamore di lui รจ compiuto in noi โฆ Se uno dice: โIo amo Dioโ e odia suo fratello, รจ un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non puรฒ amare Dio che non vedeโ (1Gv 4,12.20). Sรฌ, tra queste persone davanti al Re ve ne sono alcuni che non conoscono Gesรน, che mai hanno sentito parlare di lui: sia i suoi discepoli, sia quanti sono estranei al cristianesimo, tutti sono giudicati in base alla relazione con i piรน piccoli (oi elรกchistoi), fratelli e sorelle di Gesรน, il piccolo e il povero per eccellenza.
Al termine di questo ascolto, mi ardono gli orecchi, perchรฉ in quanto ascoltatore e lettore sono costretto a constatare quante volte ho compiuto omissioni, cioรจ non ho fatto il bene: i peccati di omissione sono i capi di accusa contro di noi nel giorno del giudizio. Benedizione per chi ha saputo prendersi cura, con la sua carne, della carne dei fratelli e delle sorelle; maledizione per chi รจ passato oltre, magari bisbigliando preghiere, ma non vedendo, non riconoscendo, non avvicinandosi allโaltro che era nel bisogno.
Questa pagina รจ un grande insegnamento per chi pensa di poter amare il Dio che non si vede senza amare il bisognoso che si vedeโฆ Eppure noi cristiani โ confessiamolo โ non siamo tra i benedetti: cโรจ chi ha fame allโentrata dei supermercati, e noi gli diamo solo le monete che appesantiscono le nostre tasche; cโรจ chi รจ straniero, e noi pensiamo a lui dando qualcosa di superfluo alla Caritas, magari per il pasto di Natale, ma mai lo invitiamo alla nostra tavola, a casa nostra, perchรฉ questo ci provoca troppo disagio; cโรจ chi รจ nudo, e tuttโal piรน gli diamo un abito da noi consumato, che riteniamo indegno di stare nei nostri armadi pieni; cโรจ chi รจ in carcere, e noi neanche ci sogniamo di andarlo a trovare, perchรฉ non lo conosciamo e perchรฉ pensiamo che se lโรจ meritata. Quanto siamo ipocriti! Il giudizio del Re lo mostrerร .
Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi