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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 28 Gennaio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 1, 21-28

Il dominio che libera, la ferita che sana
IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – Lectio divina

Dal libro del Deuterònomio Dt 18,15-20

Susciterò un profeta e gli porrò in bocca le mie parole.

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto.

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Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”.

Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”».

L’istituzione del profetismo

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Quando gli Israeliti arrivarono al Sinai (Oreb) assistettero alla teofania di YHWH che si rese manifesta attraverso i segni naturali del tuono e del fulmine (cf. Es 20,19-21 e Dt 5, 23-28). La reazione del popolo fu quella propria di chi vive l’esperienza della fede. Non la paura ma il timore di Dio suggerisce agli Israeliti di chiedere un mediatore. Il timore di Dio nasce dalla consapevolezza della propria indegnità che incontra la grandezza di Dio.

Cosciente del proprio limite creaturale, Israele comprende anche che non reggerebbe al confronto con Dio. Mosè viene chiamato da Dio per essere il suo portavoce verso il popolo. L’iniziativa di Dio mostra la sua benevolenza nei confronti degli Israeliti. Mosè non è depositario di segreti che conserva per sé, ma ha accesso all’intimità con Dio perché tutti possano conoscere il Suo cuore, assaporare la Sua sapienza e ricevere la luce della Sua Parola.

Mosè è il prototipo del Profeta che è l’uomo della Parola. Come Mosè fu scelto e chiamato da Dio per essere profeta e accompagnatore del popolo nell’attuazione della Parola, così lo è il profeta che sorge dopo Mosè, affinché anche le generazioni successive possano conoscere la Parola di Dio per metterla in pratica. Il Profeta è il segno della premura di Dio verso gli uomini perché egli si prede cura di loro mediante il dono della Sua parola, che giunge ad essi mediante la profezia.

Come la monarchia, anche il profetismo è un’istituzione divina per venire incontro alle necessità del popolo. Si richiede umiltà e obbedienza sia al profeta che al popolo a cui è inviato; umiltà perché si deve aver presente costantemente che Dio ha il primato e obbedienza perché solo la Parola di Dio è vera.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 7,32-35

La vergine si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa.

Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!

Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.

Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.

La verginità, speranza del vero amore

La verginità è innanzitutto una disposizione del cuore verso Dio verso il quale sono orientati gli affetti e i pensieri. Il piacere a Dio significa nient’altro che corrispondere al suo amore che è gratuito e senza condizioni: Si ama Dio per quello che è e non per quello che potrebbe dare.

La santità di Dio consiste nel suo amore puro e oblativo che esclude ogni forma di possessività e ritorsione. Il desiderio di piacere a Dio spinge alla speranza di vivere in piena comunione con Lui, imitandolo nell’amore e nella giustizia verso gli altri.

L’amore propriamente umano tende invece alla conquista dell’altro attraverso la tecnica della compiacenza che facilmente si corrompe in ricatto e ritorsione quando il dono non viene contraccambiato.

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 1,21-28

Insegnava loro come uno che ha autorità.

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.

Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.

Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».

La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

LECTIO

Dopo l’entrata in scena ufficiale di Gesù con la proclamazione del vangelo di Dio e la chiamata dei primi discepoli, l’evangelista Marco presenta il primo giorno della sua missione che coincide con il sabato. Il narratore si è premurato di offrire al lettore il contenuto essenziale dell’insegnamento di Gesù: «Il regno di Dio si è fatto vicino». Tale prossimità si è mostrata nella scelta e nella chiamata dei primi discepoli i quali sono stati raggiunti da Gesù nel loro contesto di vita.

La scena che inaugura la giornata di Cafarnao è ambientata nella sinagoga di questa città sulle sponde del Mar di Galilea dove erano stati «pescati» i quattro pescatori divenuti discepoli di Gesù. Nella sinagoga Gesù insegnava come ogni Israelita poteva prendere la parola durante la liturgia, anche se non era un «esperto della Legge». Gesù è un semplice laico che non ha particolari incarichi o funzioni religiose, eppure vive l’appartenenza alla comunità ebraica ascoltando con gli altri la Parola di Dio e offrendo ai fratelli la sua parola. Non lo fa in forza di un titolo di studio e la sua autorità non gli deriva da una funzione che svolge. Tuttavia, il suo parlare non solo ha il sapore di un insegnamento, ma è anche autorevole. Chi lo ascolta si sente toccato nella carne, non apprende solo una nuova idea, ma la sua parola fa sentire Dio veramente vicino. Non è una parola calata dall’alto o una verità astratta, ma è esperienza nella quale ci si sente accolti nelle paure, compresi nelle debolezze, interpretati nei propri bisogni, accompagnati nelle speranze. Per questo la parola di Gesù suscita stupore. L’interesse nasce dalla consapevolezza di essere destinatari di una benevola attenzione alla propria persona e al vissuto personale di ciascuno.

Tra coloro che entrano in contatto con Gesù e ascoltano il suo insegnamento c’è un uomo posseduto da uno spirito impuro. Precedentemente abbiamo visto entrare in scena lo Spirito Santo che consacra Gesù come profeta di Dio e lo spinge verso il deserto dove viene tentato dal diavolo. Marco, a differenza di Luca e Matteo, non specifica la tipologia della tentazione. Tuttavia, nella sinagoga di Cafarnao al lettore viene fornito un esempio. La missione di Gesù, guidata dallo Spirito Santo, consiste nel farsi prossimo ad ogni uomo e al tempo stesso nell’andare contro le forze del male per sottrarlo al loro potere. La Parola di Gesù è una chiamata alla libertà dalle forze del male che tengono in pugno l’uomo rendendolo schiavo del peccato. La forza malefica è espressa dal gridare. La presenza di Gesù fa venir fuori la rabbia e la paura che sono emozioni tipiche di chi è sotto una pesante pressione. Le parole dello spirito impuro rivelano l’odio e il disprezzo nei confronti di Gesù. Il diavolo sa che Gesù è il «santo di Dio» ma rifiuta ogni relazione con lui convinto che è venuto per rovinarlo. Da una parte il demonio possiede la esatta conoscenza di Dio, ma dall’altra rimane legato ad una sua visione distorta di Lui. Per Satana Dio non è colui che ama e salva, ma quello che vorrebbe competere con lui per il possesso dell’uomo e per questo lo odia. Satana vuole esercitare il potere per sottomettere, Dio invece comanda per salvare. La logica del possesso s’insinua nella mente dell’uomo e anche dei discepoli, come mostra l’episodio nel quale Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù due posti di rilievo nel momento in cui bisognerà gestire il potere. In quella occasione Gesù ricorderà a tutti gli apostoli, compresi quelli che si erano indignati del gioco di anticipo dei loro due compagni, che il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la vita in riscatto per tutti.

Le parole dello spirito impuro tradiscono il disprezzo che satana ha per l’umanità di Gesù. Domandando «cosa abbiamo in comune tra noi, Gesù nazareno» sottolinea il fatto che egli si ritenga superiore all’uomo per il fatto di essere spirito. Benché «spirituale» è impuro perché si pone nei confronti di Gesù come avversario della sua missione. Egli ha un potere, quello della conoscenza della verità; infatti afferma di sapere che l’uomo di Nazaret è il realtà il santo di Dio.

In mezzo alle grida sguaiate di chi accusa, minaccia, insulta o inveisce, Gesù dice una parola secca ma perentoria. Intima allo spirito impuro di tacere e uscire da quell’uomo. Il comando è severo perché Gesù combatte con l’arma della parola per ristabilire su quell’uomo il suo diritto. Gesù non scende a patti o non cerca di dare spiegazioni per convincere, ma ordina con decisione per ristabilire la giustizia. Gesù si comporta da giudice che non condanna e punisce o manda in rovina, ma che riscatta ridonando la libertà e la dignità alla vittima del male. Si tratta di una lotta che si combatte con le armi della parola. La parola di Gesù libera, quella del demonio mortifica.

Lo stupore di chi assiste rivela la consapevolezza che ci si trova davanti ad una parola nuova. La «torah» di Gesù è il vangelo di Dio. La novità consiste nell’essere liberati non dai nemici esterni, ma dalle grinfie del nemico che ci possiede dall’interno. È dalla parola e dal modo con cui si comunica che si evince se si è posseduti dallo spirito impuro e se si appartiene allo Spirito di Dio, se si è stretti tra le maglie della rete di satana oppure si è rivestiti della potenza dello Spirito Santo.

MEDITATIO

Il dominio che libera, la ferita che sana

Al fiume Giordano Gesù, battezzato nell’acqua, riceve lo Spirito Santo e la Parola di Dio che lo consacra suo profeta. Nel battesimo si realizza quello che è detto nel libro del Deuteronomio che leggiamo come prima lettura (Dt 18, 15s). Mosè, colui che è stato salvato dalle acque, è scelto da Dio in mezzo ai suoi fratelli per portare loro il suo messaggio. Mosè è il profeta di Dio e come tale guida il popolo lungo il cammino dell’esodo, itinerario di fede attraverso il quale passare dalla schiavitù al servizio, dall’essere prigionieri del peccato ad essere liberi figli di Dio e fratelli tra loro. Mosè non è un profeta come quello degli altri popoli che preannunciavano il futuro o che, con riti magici, determinava la fortuna o la disgrazia. I gesti e le parole di Mosè sono suggeriti da Dio. Quando gli Israeliti ascoltano il loro profeta essi si fidano di Dio, ma quando mormorano contro di lui, si ribellano al Signore e rifiutano il suo aiuto. Gesù è il profeta promesso che, come Mosè, dice le parole di Dio. È una parola di amore, come quella che Gesù ascolta dal cielo: «Tu sei mio Figlio!». Si tratta di una dichiarazione d’amore con la quale Dio rivela la sua volontà di essere per noi Padre e il suo desiderio che noi siamo per Lui figli. Ogni qualvolta apriamo il nostro cuore ad ascoltare la parola di Dio, lo Spirito parla dentro di noi. La Parola di Gesù ci dona lo Spirito Santo. San Paolo dice che non abbiamo ricevuto «uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma … lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio» (Rm 8, 15-16).

Gesù, andando per le strade ad annunciare il Vangelo di Dio, rende vicino Dio che, attraverso il Figlio, si mostra a noi come Padre. Ecco da dove viene l’autorevolezza dell’insegnamento di Gesù percepita dalla gente, dai poveri soprattutto che si riuniscono attorno a lui per essere sanati. La parola di Gesù è autorevole perché possiede in sé la forza dello Spirito di Dio che combatte e sconfigge lo spirito del male.

Gesù non viene per combattere contro l’uomo, ma a suo favore contro il maligno che lo tiene intrappolato. Come quell’uomo nella sinagoga, anche noi, possiamo condurre una vita che appare tranquilla e normale, ma essere schiavi della mentalità propria del mondo dominato dalla logica del maligno. Indifferenza, diffidenza e supponenza sono le caratteristiche delle parole dello spirito impuro. L’indifferenza è ciò che crea distanze e zone di sicurezza per non essere «toccati» interiormente. L’indifferenza ci fa vivere in uno mondo tutto nostro che ci fa essere sensibili solo ai nostri interessi che quando vengono intaccati ci fanno scattare come molle. La diffidenza è il contrario della fiducia. Ci fa vedere nemici anche in chi ci vuole bene. La supponenza è la presunzione che il nostro modo di vedere e giudicare sia tutta e la sola verità.

Gesù ci propone un cammino di liberazione che, cambiandoci interiormente, possa farci diventare profeti dell’amore di Dio. Abitati dallo Spirito possiamo sconfiggere il male che ci blocca e fare un cammino educativo che non solo ci faccia uscire dai labirinti del peccato, ma che faccia uscire da noi la parte più bella, quella che più assomiglia a Dio.

La nostra preoccupazione non sia quella di compiacere gli altri per conquistarli e poter esercitare su di loro una certa influenza, ma siamo chiamati a occuparci della nostra interiorità affinché essa possa sempre più essere plasmata dallo Spirito. Non dobbiamo preoccuparci di apparire ma di essere, non dobbiamo preoccuparci del giudizio degli altri e neanche di quello di Dio, ma occuparci della nostra vita e delle cose del mondo per orientarle tutte verso Dio. Ogni cosa che facciamo, la facciamo per Dio, rispondendo con le parole e con i fatti alla sua chiamata: «Voglio essere tuo figlio, Abbà, Padre»

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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