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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 21 Gennaio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 1, 14-20

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Dal libro del profeta Giona (Gio 3,1-5.10)

I Niniviti si convertirono dalla loro condotta malvagia.

Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore.

Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta».

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I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli.

Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

L’obbedienza che inverte il senso del destino

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Dopo essere stato salvato dal mare in tempesta, Giona è chiamato una seconda volta per assolvere alla missione di predicare la conversione alla grande città di Ninive. Non sappiamo con quanta convinzione l’abbia fatto, ma si è fidato più della parola di Dio che della sua intuizione. Le parole di Giona hanno fatto breccia nel cuore dei Niniviti per l’obbedienza di Giona.

Non c’è nulla di più credibile dell’amore obbediente che supera tutti i limiti umani, soprattutto il proprio egoismo. Dove l’umano ragionamento vede solo muri la speranza di Dio intravede opportunità nelle fessure dalle quali far passare il messaggio della salvezza. L’umanamente impossibile diviene possibile grazie a Dio che si serve di strumenti spesso “difettosi” per fare cose grandi.

I Niniviti in Giona vedono un rappresentante di Dio che non sta con la spada in mano ma fa di tutto per salvare perché si sentono amati, prima ancora che giudicati. Il destino dell’uomo, che sembra segnato dal peccato e destinato alla morte, viene invertito orientandosi verso un orizzonte di vita che è conforme al sogno di Dio creatore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1Cor 7,29-31)

Passa la figura di questo mondo.

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

Kairos

Nel cap. 7 Paolo non fa una trattazione completa del matrimonio e della verginità ma presumibilmente risponde a delle domande su questioni specifiche. Tratta delle persone sposate, cioè della coppia cristiana e del matrimonio tra un cristiano e un pagano, e di quelle non sposate, ovvero delle vergini, dei fidanzai e delle vedove. Il principio generale che suggerisce l’apostolo è che ciascuno rimanga nella condizione nella quale si trovava quando è diventato cristiano.

Tuttavia, non si tratta di una regola rigida ma di un principio che può guidare il discernimento della volontà di Dio sulla propria vita. Matrimonio e verginità non sono contrapposti tra loro ma complementari. L’amore sponsale è il fine dei vergini e la verginità è un valore importante per tutti gli sposi e i fidanzati.

La sponsalità e la verginità sono infatti le caratteristiche dell’amore di Dio che dimostra e comunica all’uomo mediante Gesù Cristo. L’amore oblativo, casto e fecondo, è il tesoro più grande e il fine ultimo di ogni vita umana.

Perciò Paolo, lungi dall’esigere l’indifferenza circa le realtà terrene, invita caldamente a evitare che ci si ingolfi in esse dimenticando il loro carattere strumentale e il valore relativo in rapporto a Cristo e al suo regno che sta instaurando.

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 1,14-20

Convertitevi e credete al Vangelo.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Lectio

Dopo l’esperienza mistica al fiume Giordano durante il battesimo e quella nel deserto, tentato da Satana, Gesù ritorna nella sua Galilea. Da lì inizia la sua missione evangelizzatrice che coincide con la conclusione di quella del Battista quando viene messo in carcere. La detenzione del profeta, preludio della sua morte, segna il definitivo passaggio dall’annuncio al compimento. Come Giovanni anche Gesù proclama. Il Battista proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati mentre Gesù proclama il vangelo di Dio. Giovanni battezzava nel deserto, Gesù percorre le vie della Galilea. Il precursore annuncia la venuta futura del «più forte» che avrebbe battezzato nello Spirito Santo; Colui che è stato «unto» di Spirito Santo e ha ascoltato la voce del Padre proclama il vangelo di Dio.

Il Vangelo non è innanzitutto una produzione letteraria di Marco, ma è un evento rivelato dalle parole di Gesù. L’evangelista, come un esperto giornalista sintetizza il messaggio che Gesù offriva camminando per le strade della Galilea. Proprio perché Gesù è il Figlio di Dio, come ha attestato Marco nel prologo e ha confermato la voce dal cielo, egli proclama il vangelo di Dio che è al contempo il «suo» vangelo. Gesù, infatti, proclamando il vangelo di Dio Lo rende udibile per tutti come lui ha potuto ascoltare la Sua voce.

Il vangelo di Gesù, fatto di parole e gesti, non solo annuncia l’evento ma lo realizza. Attraverso la sua azione Dio porta a compimento il tempo dell’attesa e si fa prossimo ad ogni uomo. Non avviene come per il Battista, verso il quale andava molta a folla da lui a farsi battezzare confessando i loro peccati. Con Gesù è Dio che va incontro agli uomini e li cerca; percorre le loro strade per invitarli a far parte del suo regno. Con Gesù Dio si fa presente, nel senso temporale, spaziale e spirituale. In senso temporale Gesù rende contemporaneo ad ogni uomo e chi lo accoglie sperimenta che il tempo che vive non è solo una sequenza di istanti ma ogni ora, sia della gioia che del dolore, sia del successo che del fallimento, è il momento a lui favorevole per la salvezza, o come direbbe s. Paolo, per la riconciliazione (Cf. 2Cor 6, 2s). In senso spaziale Dio si fa prossimo ad ogni uomo creando un contatto fisico che, da un lato smentisce il preconcetto per il quale la miseria umana sia l’esecuzione della condanna divina, dall’altra rivela che è il medico misericordia lo spinge a cercare il malato per guarirlo. La presenza spirituale è quella che si percepisce ascoltando la parola di Gesù, autorevole perché ha la forza di realizzare la liberazione che annuncia.

Il regno di Dio non è una struttura istituzionale o gerarchica, ma indica il fine e il modo con il quale Dio viene verso gli uomini. Nella storia Dio si è fatto conoscere come re mediante coloro che ha scelto e inviato per prendersi cura del suo popolo. La figura del pastore per molto tempo ha incarnato la missione del re. Questa tradizione è legata anche alla geografia e in maniera particolare al territorio montuoso della Giudea la cui economia era prevalentemente pastorale. Marco nel prologo ha citato il profeta Isaia che nel capitolo 40,3 accenna ad una voce che grida di preparare nel deserto la via al Signore. Andando più avanti nell’oracolo lo stesso profeta si rivolge al messaggero di buone notizie, all’evangelizzatore, perché alzando la voce annunci: «Ecco il vostro Dio!… Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri» (Is 40, 9.11). Da questi testi comprendiamo che Gesù si sta presentando come il regno di Dio, ossia come colui che raccoglie in unità.

All’annuncio fa seguito l’invito che nella sua perentorietà non ha nulla di minaccioso ma esprime la stringente necessità di dare una risposta pronta e immediata. Convertirsi e credere nel vangelo sono due atteggiamenti strettamente collegati tra loro in un rapporto circolare. La conversione e il credere nel vangelo non sono atti puntuali. Gesù invita a iniziare un percorso di fede che forma, trasforma e conforma.

La scena successiva al sommario con cui Marco riassume il vangelo di Gesù esplicita il senso di questo invito che nasce da un incontro. Se l’oracolo profetico di Isaia parlava dei monti della Giudea e usava l’immagine classica del pastore, Gesù, che parte dalla periferica Galilea, mostra che il regno di Dio non si manifesta nei centri di potere, ma ancora una volta da quei luoghi marginali e di confine in cui più forte è la possibilità di contaminazione.

Meditatio

La Parola cambia la vita per essere uomini in cammino e non di passaggio.

Sulla bocca di Gesù risuona il vangelo di Dio. Non è un annuncio di sventura, ma di gioia. Confrontando il messaggio di Giona (I lettura), con quello di Gesù, notiamo delle differenze, la prima delle quali riguarda il tempo dei verbi. Giona indica un futuro oscuro la cui prospettiva è la condanna e la distruzione, Gesù invece punta sull’indicativo presente per rivelare l’attualità e la contemporaneità dell’azione di Dio. Nel primo caso l’accento è posto sulla denuncia, nel secondo caso sull’annuncio. Sono entrambi messaggi che nascono dal cuore di Dio che, come dice Ezechiele, non vuole la morte del peccatore che «si converta e viva» (Ez 33,11). I due messaggi non si contrappongono ma si completano. Giona ricorda, in modo certamente molto drammatico ma realistico, che il tempo della nostra vita è misurato. Il numero quaranta indica il tempo della vita terrena che inizia con il concepimento e termina con la morte. Il senso del suo messaggio non sta nel ricordare che tutto è destinato a finire ma nell’avvertire che la morte può regnare nella nostra vita anche prima che giunga l’ultimo giorno della esistenza. Infatti, la vita donata da Dio ha avvio con il dono del corpo nella sua dimensione biologica ma non si esaurisce in essa. C’è la “figura” visibile del mondo che passa, ma c’è una “sostanza” invisibile, propriamente divina, che è destinata a durare per sempre.

I Niniviti ascoltano il messaggio di Dio, lo prendono in considerazione e fanno penitenza iniziando un cammino di conversione. La Parola di Dio non è di condanna, anche se questa è l’intenzione di Giona. Gli uomini di Ninive accolgono la parola profetica quale parola di Dio che li invita a cambiare rotta per trasformare il male in bene. Il fine della conversione è la trasformazione del male in bene. Questa non è solamente un’opera umana, ma il frutto dell’azione di Dio e dell’uomo insieme. È appunto questo il cuore del messaggio evangelico di Gesù che si fa prossimo all’uomo per annunciargli l’eterno amore di Dio e la sua vocazione all’immortalità. Il Libro della Sapienza, replicando ad una visione materialistica ed edonistica della vita per la quale essa va vissuta sfruttando ogni occasione per godere, afferma invece che Dio ama il mondo e ha creato l’uomo per l’immortalità (Sap 2,23). Essa non consiste nel non morire fisicamente ma nel vivere da vivente e non da mortale, ossia secondo Dio e non secondo il mondo. Siamo creati non per morire, ma per vivere e vivere significa amare, ossia vivere facendoci dono per gli altri.

Il Vangelo di Gesù è una parola di speranza che, a differenza delle altre, realizza quello che dice. La speranza non si coniuga al futuro ma al presente. Gesù afferma che Dio oggi sta dando senso compiuto al nostro tempo e che ora chiama attorno a sé per formare la sua famiglia. Con Gesù la nostra speranza non ha il nome di cose da possedere, ruoli da svolgere, titoli da vantare, ma si realizza in quella esperienza di vita che si chiama fraternità.

Gesù, con il suo vangelo, ci apre prospettive di vita nuova. Il Vangelo ci mette in moto, ci spinge verso quella speranza di famiglia che Dio stesso mette nel cuore. Con Gesù siamo uomini in cammino, non solamente di passaggio in questo mondo. Invitando a seguirlo ci offre la possibilità di cambiare modo di vivere.

Chi accoglie la parola di Gesù lo segue su una strada che ci rende più poveri, per lasciarci arricchire da Lui. L’esercizio della penitenza serve a liberarci da tutto ciò che ci blocca e ci frena facendoci chiudere in noi stessi e nel piccolo mondo che costruiamo attorno a noi. La rinuncia non è fine a sé stessa, ma è il rifiuto di ciò che alimenta una falsa speranza per intraprendere un viaggio della vera libertà. Il cammino della fede dietro Gesù, man mano che si progredisce nella conoscenza intima con Lui, ci permette di liberarci dai legami affettivi non sani e di costruire rapporti fraterni impregnati di vera amicizia e carità. La conversione è un cammino di formazione, trasformazione e conformazione. La parola di Gesù fa sì che Dio abiti in noi. La trasformazione consiste non in un cambiamento esteriore o apparente, ma nel cuore. Il cammino della fede è l’itinerario di vita, accompagnati da Gesù e dalla Chiesa, attraverso cui ogni persona matura come uomo e donna che non vivono per sé stessi ma diventano eternamente generativi.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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