don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 10 Febbraio 2023

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Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) – Santa Scolastica

Gen 3,1-8   Sal 31  

Dal libro della Gènesi Gen 3,1-8

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Sareste come Dio, conoscendo il bene e il male.

Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». 

Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

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Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.

L’inganno del Maligno

Adamo ed Eva erano nudi e non provavano vergogna perché essi si guardavano nello stesso modo con cui Dio li ammirava, cioè con uno sguardo d’amore puro. La conoscenza era ricerca e scoperta del bene che è nell’altro e desiderio di crescere aiutandosi reciprocamente a superare i propri limiti. Vivere l’amore di coppia aiuta anche a coltivare la fede, ovvero il rapporto di amore con Dio, accettando i confini del proprio agire nello stesso modo in cui Dio ha posto dei limiti al suo. L’amore non è annullamento delle differenze e confusione ma rispetto e armonizzazione delle diversità. Entra in scena il serpente che rappresenta il Maligno con la sua carica di astuzia messa in campo per difendersi da Dio e dall’uomo. Il Maligno è la diffidenza fatta persona il cui linguaggio, intriso di gelosia e di invidia, trae in inganno. La strategia del Maligno è quella di fingersi curioso insinuando il dubbio che mira ad incrinare il rapporto di fiducia instaurato tra Dio e l’uomo. La parola di Dio viene modificata dal serpente in modo che venga ridotta solamente a divieto. La replica della donna riporta al comando originario rispettato più per paura di morire che per rispetto. La paura è un freno inibitorio che il serpente cerca di togliere alludendo alla vera conoscenza di Dio. Il serpente trasferisce in Dio la sua invidia e lo dipinge come uno geloso delle sue prerogative. Quando la donna abbandona il punto di vista di Dio per assumere quello del serpente cambia anche il modo di vedere il frutto della conoscenza del bene e del male. Il bene da dono ricevuto dalle mani di Dio, che gradualmente guida alla conoscenza del bene e del male, diventa qualcosa da conquistare strappandolo dalle mani di Dio per venirne in possesso. Dio, riconosciuto, amato e onorato come padre e madre, diventa agli occhi della donna, che si lascia, sedurre dal Maligno, un despota da cui emanciparsi per prendere il suo posto. La radice del peccato sta nella perversione del pensiero e del modo di vedere. Da servi della Parola diventano schiavi della paura. Come tali si nascondono prima l’uno all’altro e poi si allontanano anche da Dio.

La comunione con Dio genera la libertà e la fraternità mentre il peccato produce divisione, alimenta la paura e arma le strategie di difesa.

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,31-37

Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

La compagnia della Parola guarisce la solitudine del cuore

La malattia che colpisce la facoltà dell’udito e della parola rende la persona incapace di una sana relazione con gli altri. Il sordomuto è una persona fondamentalmente sola anche se ha attorno a sé persone che si prendono cura di lui. C’è una solitudine che è assenza di comunicazione e c’è la solitudine che invece è la condizione per una comunicazione piena e profonda, perché intima, capace di operare una nuova creazione.

Il sordomuto è condotto da Gesù perché egli possa guarirlo imponendo la mano. Gesù però compie dei gesti che vanno al di là delle attese di chi gli ha presentato il malato. Innanzitutto, il sordomuto è ritirato dalla folla verso un luogo in disparte come Gesù aveva suggerito ai discepoli per permettere loro di riposare dopo le fatiche della missione. Andare loro soli in un luogo in disparte non significa isolarsi ma entrare in un rapporto di comunione più profonda. Parlando alla donna siro fenicia Gesù aveva detto che il pane dei figli non va gettato ai cagnolini e lei di rimando aveva affermato che quando il pane dei figli viene spezzato cadono le briciole e anche i cagnolini ne mangiano. L’immagine del pane richiama il senso della compagnia che guarisce dalla malattia che condanna alla solitudine. Spezzare e nutrirsi della Parola di Dio permette di uscire dalla solitudine dell’egoismo ed essere capaci di relazioni autentiche nelle quali sperimentare la bellezza della compagnia nello Spirito. 

I gesti di Gesù non sono atti magici, ma è ciò che avviene quando ci lasciamo nutrire dalla Parola di Dio. Le dita nelle orecchie e la saliva sulla bocca sembrano alludere alla profezia che annuncia il tempo del Messia il quale effonde dalla sua bocca lo Spirito Santo. È lo stesso Spirito Santo che fa uscire gli uomini dai sepolcri e che, entrando nei cuori, scrive la legge di Dio dentro di loro costituendoli profeti.

Lo Spirito di Dio non ha confini geografici e non si lascia chiudere in schemi ideologici; tuttavia, esso non può liberare se dal di dentro non gli apriamo il cuore permettendogli di toccarci interiormente e guarirci. L’intimità spirituale con Dio ci libera dalla solitudine in cui ci chiude il peccato.

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna