Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 25 Dicembre 2022

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Matto è chi spera che la nostra ragione Possa trascorrer l’infinita via Che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti umana gente al quia Che se potuto aveste veder tutto Mestier non era parturir Maria” (Dante Alighieri, Purgatorio, III).

Queste splendide parole del Sommo Poeta sono un’ottima introduzione per la riflessione di questo Santo Natale. L’ incarnazione del Figlio di Dio è, infatti, un grande mistero, non afferrabile dalla ragione umana, esattamente al pari di quello della Santissima Trinità. Come non sarebbe possibile con la sola ragione umana comprendere il senso di un’unica sostanza divina uguale e distinta in tre persone, così allo stesso modo non si potrebbe comprendere il senso dell’unione fra la natura divina e la natura umana nel grembo di Maria, senza la speciale rivelazione di Dio, che accanto al piano della semplice ragione, esige l’adesione umile e ferma della fede.

Dio si è fatto uomo per rivelare se stesso all’uomo e realizzare una nuova Alleanza con lui, colmando l’abisso tra il cielo e la terra, tra l’infinito e il finito, tra il tutto e il frammento. Nel mistero del Natale, unendosi all’umanità nel Verbo fatto carne, Dio manifesta il suo interesse per l’umanità e per ciascuno di noi. Egli decide di abitare le trame della nostra storia umana scegliendo una volta per sempre la strada della piccolezza e della fragilità. Leggendo la pagina evangelica del racconto della nascita di Gesù, secondo la redazione di Luca, ci colpisce sempre di nuovo come la storia dell’Impero e della Palestina del I secolo divenga l’ambito della realizzazione del piano di Dio.

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Questo accade anche nella nostra vita. Dio non è lontano dalla nostra esistenza e dal nostro tempo, ma usa questi come luoghi in cui operare e salvare. L’agire di Dio si intreccia con la grande storia dell’umanità, ma avviene con la semplicità di un bambino che nasce. Colui che è generato prima del tempo Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, viene alla luce nel tempo da una madre vergine, una fanciulla debole e sconosciuta. Colui che i cieli non possono contenere, l’Absolutus, colui che non ha i vincoli dello spazio e del tempo, viene avvolto in fasce, prigioniero della fragilità e della piccolezza. L’incontenibile si lascia contenere in una mangiatoia.

Colui che dall’eternità abitava i padiglioni inaccessibili del cielo, non trova posto neppure in un alloggio umano, ma si fa compagno delle bestie. Leggendo il brano, si percepisce come i paradossi continuino. Non sono i potenti, i ricchi e quelli che stanno sul pezzo, ad essere i primi destinatari dell’annuncio del Natale, ma i pastori, accampati in quella valle per badare alle greggi: essi sono gli ultimi, i disprezzati e reietti, coloro che stanno più con le bestie che con gli uomini. Eppure Dio li sceglie e vuole loro come primi testimoni della sua Venuta. Di fronte a questo Mistero ineffabile, siamo anche noi disposti ad accogliere questo modo di fare di Dio? Siamo capaci di lasciarci sorprendere dal suo modo di fare paradossale e irrituale?

Dio ci supera sempre! La nascita di Cristo è per noi oggi, in questo mondo segnato da violenze e contraddizioni, un segno di salvezza e speranza, che ci aiuta a rinnovare il nostro desiderio di luce e di compimento. Il regista della storia è sempre Lui, che ha scelto la nostra umanità come luogo per rivelarsi e salvarci.

Buon Natale a tutti!

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