Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 15 Maggio 2022

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L’impronta dell’amore

L’immagine dell’uscita di Giuda dal cenacolo, con cui si apre la pagina evangelica di questa domenica, offre lo sfondo dell’insegnamento di Gesù. È l’ora delle tenebre, del tradimento, dell’apparente trionfo del male, l’ora in cui si corre veloce verso il dramma della croce. Eppure, mentre tutto sembra andare a rotoli, verso la disfatta, il Maestro parla di gloria, annuncia la sua glorificazione che viene dal Padre. La prospettiva con cui Dio legge la storia è sempre rovesciata rispetto al nostro modo di vedere: ciò che agli occhi degli uomini sembra una sconfitta e un insuccesso, ai suoi occhi è una vittoria e un trionfo.

La Pasqua di Gesù, mistero di lacrime, di sofferenza, ma anche di glorificazione, offre una chiave di lettura nuova e differente a tutti i drammi nel mondo. Avendo assunto su di sé il dolore del mondo, Gesù lo cambia in gioia e rende i suoi discepoli di ogni tempo, compresi noi, partecipi di questa stessa gioia soprannaturale, di cui siamo destinatari e annunciatori. Ne siamo veramente consapevoli? Gesù, nell’appressarsi all’ora suprema del Golgota, ha donato ai suoi il comandamento nuovo, come un testamento spirituale sempre vivo e attuale. Tutto ciò che Cristo ha realizzato con la sua Pasqua è novità assoluta, come Lui stesso ripete nel libro dell’Apocalisse di San Giovanni: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose!” (Ap 21,5).

Tutta la Bibbia si può interpretare, sin dall’Antico Testamento, come una grande lettera d’amore, scritta da Dio all’umanità, di cui Gesù rappresenta il cuore, portandola a compimento in una prospettiva nuova. Prima di Gesù la misura dell’amore verso i fratelli era data dall’amore che ciascuno è chiamato ad esercitare verso se stesso. La novità ora sta nel cambio di questa misura: il punto di riferimento non è più l’amore verso se stessi, ma l’amore di Cristo. Perché Lui ci ha amati per primi, in maniera totale e gratuita, allora noi stessi – come suoi discepoli – siamo chiamati ad incarnare in noi la stessa dinamica del suo amore. Esso non può realizzarsi in una prospettiva semplicemente terrena, perché è un dono che ci precede per grazia.

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L’amore con cui siamo chiamati ad amarci è lo stesso amore che riceviamo gratuitamente da Cristo, mediante il suo Spirito. Questo è possibile soltanto per il mistero della sua Risurrezione e il dono dello Spirito Santo, come ci ricorda San Paolo: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). Questo amore, che viene dal cielo, è l’impronta di Cristo in noi ed è il segno distintivo dell’essere suoi discepoli. Spesso nella nostra vita spirituale, come anche nel nostro agire ecclesiale, siamo troppo concentrati sulle nostre capacità e sulle “cose da fare”, dimenticando che alla base di tutto vi è un dono di grazia, quello dell’amore gratuito di Cristo che si riversa nei nostri cuori e che siamo chiamati a condividere con i fratelli in un modo estremamente semplice e immediato, senza complessità e sovrastrutture.

Come discepoli siamo consapevoli che è questo il cuore del nostro appartenere a Cristo e che solo in questo possiamo realmente dare testimonianza? Quando gli altri guardano al nostro essere, agire e parlare, possono vedere l’impronta dell’amore di Gesù in noi? Quanta strada abbiamo da percorrere!


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