Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 2 Maggio 2021

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Nella parabola della vite e dei tralci, narrata da Gesù, il dato evidente è che se un tralcio non porta frutto viene tagliato, se invece porta frutto viene potato: un taglio avviene sempre! L’agricoltore – Dio Padre – comunque sia, taglia.

Il taglio è separazione, quasi certamente dolorosa, e, senza dubbio, può simboleggiare tutti gli eventi della vita che hanno comportato dolori, sofferenze, separazioni da persone, animali o cose.

In questa immagine dei due tralci, il primo tagliato, il secondo potato, possiamo identificare i due tipi di esistenza che possiamo vivere: una dolorosa, senza frutto, l’altra dolorosa ma feconda. Comunque vadano le cose la sofferenza non manca mai; non ci sono al mondo persone che non debbano affrontare le proprie difficoltà. L’attenzione va puntata non sull’eliminazione del dolore, che non può essere evitato, quanto piuttosto sul renderlo fecondo, affinché porti frutto.

In agricoltura, in genere, la potatura avviene dopo la prima o al massimo la seconda gemma – non oltre – perché niente dev’esserci oltre il frutto. Così dovremmo agire e così il Padre opera con noi: buttare via ciò che non porta frutto. Spessissimo nella vita difendiamo cose che non conducono da nessuna parte, insistiamo su cose che non hanno frutto; ci ostiniamo a guardare secondo la nostra sensazione di piacevolezza comodità, e non invece al frutto che portano. Pensiamo, ad esempio, ad una gravidanza da accogliere che, sempre più di frequente, viene invece rifiutata.

L’agricoltore comunque vadano le cose, taglia: il taglio è necessario perché la vita non è una corsa ad arraffare, ma a lasciare, spogliarsi, essenzializzarsi, a diventare sempre più asciutti nel Signore Gesù Cristo.

Noi abbiamo l’idea costante di avere poco: la verità è che abbiamo più di quanto servirebbe. Più si è ridotti, essenzializzati, più si è agili e scattanti nella vita. Crescendo nell’esperienza con Dio sappiamo che a tante cose Dio provvederà sempre, lì dove ne avremo bisogno.

È bene guardare e puntare alla meta nel cammino della vita, non alle cose che, volenti o nolenti, siamo costretti a lasciare. Siamo tralci attaccati a una vite, che può essere la vera vite oppure una delle tante false a cui ci attacchiamo per cercare disperatamente vita; ma essa non può darcela  se non sotto forma di tanti idoli a cui elemosiniamo vita svendendo la nostra.

«Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato» (Gv 15,3): è la parola di Dio, il suo verbo, lo strumento che taglia o pota. La parola di verità è potente, come si vede nella prima lettura, constatando come abbia disarcionato Saulo sulla via di Damasco, e poi abbia agito potentemente in lui.

La parola di verità spesso fa male: per tutti noi esistono verità che feriscono. Di fronte ad esse possiamo porci in due modi: accoglierle con umiltà e constatare la bontà dell’intenzione che le supporta (le verità scomode vengono pronunciate solo da chi ci ama veramente) oppure rifiutarle, spesso con violenza, privandoci così di quell’occasione di crescita che il Padre ci offre ogni volta che viene fatta verità.

Proviamo allora a leggere le difficoltà e sofferenze della nostra vita come momenti in cui il Padre cerca di fare verità, potando il tralcio che noi siamo.

La sapienza molto seria e profonda di questo vangelo ci insegna a liberarci o a lasciarci liberare da tutto ciò che non ci porta al cielo.

Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli