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don Claudio Bolognesi – Commento al Vangelo del 21 Aprile 2024

Domenica 21 Aprile 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 10, 11-18

Che l’immagine biblica del “Buon Pastore” oggi piaccia solo ai preti è un dato di fatto. Basta fare una piccola ricerca, una “guggolata” e si trovano un sacco d’immagini ma tutte antiche. Affreschi di catacombe, mosaici… Nel campo della musica qualcuno ci prova con il salmo 23, “il Signore è il mio pastore”.

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Ma anche qui siamo sul vecchiotto. Perché? Oggi dire a uno che è una ”pecora” equivale ad offenderlo. Un famoso critico d’arte è diventato ancor più famoso urlandolo in tv. Ai Tuoi tempi, per gli Ebrei la cosa era diversa. Il Dio-pastore raccontato da Isaia (Is 40,11) è una figura dolcissima. Il pastore-servo di Dio, nuovo Davide annunciato dal profeta Ezechiele è la quintessenza della giustizia, del prendersi cura.

Qui sta il primo snodo fondamentale del vangelo di questa domenica. L’annuncio della Tua vicinanza, del fatto che Ti prendi cura di noi. Quello che oggi noi esprimeremmo parlando di un Dio-Madre,  Tu lo dici contrapponendo il pastore al mercenario.

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Colui che ama a chi riduce i rapporti ad un mercato. Il suo interesse, mettersi in salvo, vale più di qualsiasi altra cosa. Rafforzi l’idea con ciò che succede quando arriva il lupo: il pastore scappa – quello che fanno in 10,5 le pecore davanti ad un estraneo -, il lupo le rapisce e le disperde.

Il verbo “rapire” il vangelo di Giovanni lo usa solo in un’altra occasione, al capitolo 6 (Gv 6,15), quando dopo la moltiplicazione dei pani racconta che vogliono – non si sa chi – “rapirti/prenderti” per farti Re. Allo stesso modo il verbo “disperdere” lo usa solo al capitolo 16 (Gv 16,32) quando di fronte ai discepoli che dicono di avere finalmente capito tutto e possono credere che sei uscito da Dio, profetizzi che saranno dispersi ognuno per suo conto e che Ti lasceranno solo.

Il potere, la presunzione che portano alla solitudine, alla perdita della fede … Questo è ciò da cui ci salvi. Combatterli è il Tuo compito di Buon Pastore. C’è un secondo tema che affiora prepotentemente ad una lettura paziente. Tu “dai”, “deponi” la Tua vita. In questo capitolo il verbo ritorna cinque volte. Era il vino buono ad essere deposto sulla tavola di Cana.

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Il corpo dell’amico Lazzaro ad esserlo nel sepolcro così come verrà fatto con il Tuo. Quella vita che durante la grande preghiera dei capitoli 13-17 racconti che darai e che Tu solo sei in grado di far sì che anche noi impariamo a donare. Un utilizzo particolare del verbo “deporre” riguarda le Tue vesti, che durante l’ultima cena deponi per indossare il grembiule con il quale laverai i piedi degli apostoli.

Quelle vesti poi le riprenderai. Così questo vangelo racconta che fai con la Tua vita. Quelle stesse vesti Ti verranno “prese” e divise in quattro parti dei soldati sotto la croce. Ciò che doni per amore, servendo, noi da sempre cerchiamo di prendercelo con la forza, con la spada. Eppure anche quelle vesti, simbolo del dono della Tua vita, prese e divise tra i soldati, Tu le riprenderai, perché questo è il comando ricevuto dal Padre.

Perché Lui Ti ha affidato anche le altre pecore, quelle che non fanno parte di questo recinto. A questo punto si apre un terzo tema fondamentale che per noi abituati a considerarci Tuo gregge, per quanto riottoso e recalcitrante, affascinato dalla possibilità di smarrirci, è un po’ più misterioso. Chi sono queste altre pecore? Da dove provengono se non sono da questo recinto?

Potremmo dare facili risposte a senso, ma forse è un capitolo che dobbiamo studiare ancora molto. Eppure Tu dici che Ti ascolteranno, che diventeranno un solo gregge, un solo pastore (Ti sei dimenticato il “con”?). Se il primo gregge erano gli Ebrei e queste altre siamo noi, ok. Se il primo siamo noi, come ci verrebbe da pensare, allora il discorso si fa decisamente curioso.

don Claudio Bolognesi

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