don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 4 Agosto 2022

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Singolare la geografia di Dio. Tutta da apprendere da parte nostra, convinti come siamo che solo alcuni siano i luoghi “di” Dio o le esperienze per “dire” Dio. Quanto avremmo bisogno di apprendere da Francesco d’Assisi quell’arte che immediatamente sa di ingenuità e che invece è altamente sapienziale, un’arte che lo portava a raccogliere tutte le scritte che trovava in giro perché – diceva – con ogni lettera è possibile riscrivere il nome di Dio. Ogni lettera, ogni aspetto di noi, ogni ambito della nostra vita, persino ogni brandello.

Cesarea di Filippo, dunque, luogo nient’affatto religioso. Addirittura l’antireligioso, all’estremo opposto di Gerusalemme. Non profuma certo d’incenso questo luogo, eppure era stato individuato da Gesù come luogo della fede dei Dodici. A buon diritto Paolo ha potuto esclamare: “Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!” Li aveva addirittura condotti lì perché la loro risposta non risentisse dei luoghi del consenso accordato comunque o del riconoscimento dato per una tradizione mai interrotta.

Cesarea è luogo di svolta: i discepoli sono chiamati a smettere le aspettative di un messia trionfante e misurarsi con un Gesù che persegue tutt’altra strada. Comprendiamo così perché siamo stati condotti anche noi a Cesarea: il messaggio del vangelo non si coniuga mai con l’ostentazione della potenza, mai a braccetto con i segni del potere. Sempre dietro l’angolo la tentazione satanica del potere.

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Luogo di frontiera, Cesarea, a dire che quello che lì stava per essere professato era anticipo della fede di tanti altri – i piccoli – che né per la carne né per il sangue ma per un dono dall’alto si sarebbero aperti ad accogliere il Vangelo. A Dio non si giunge per chissà quale itinerario della ricerca umana e tantomeno per una eventuale esperienza mistica raggiunta attraverso penitenze.

E noi qui incantati di fronte ad un Dio che sceglie secondo altre coordinate. Del resto un giorno Gesù lo aveva detto: “Ti benedico, Padre… perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno dei cieli e li hai nascosti ai sapienti e agli intelligenti”. Pietro è senz’altro un piccolo. Lo abbiamo visto condividere l’entusiasmo dei compagni la sera del bivacco sull’erba ma poi, subito dopo, sprofondare per la paura. Oggi lo contempliamo esprimere una professione di fede che non ha precedenti e tra non molte battute ricevere l’appellativo più infamante che possa esistere: torna dietro, satana. Un Pietro che oggi pensa secondo Dio e domani secondo gli uomini. Piccolo, Pietro. Non certo granitica la sua fede. La sera della cena lo ritroveremo ancora lasciarsi andare a una disponibilità senza riserve nei confronti del maestro (anche se tutti… io mai…) e pochi istanti più tardi, per ben tre volte, non riconoscere più quell’uomo.

Su questa pietra… Ne sei convinto, Signore? Sì, su questa pietra – non un’altra – edificherò la mia Chiesa. La sincerità della sua professione di fede – tu sei il Cristo… – e la promessa di Gesù a Pietro – su questa pietra… – non risparmierà Pietro dall’esperienza della fragilità. Mai esenti dalla contraddizione anche quando siamo capaci di fede sincera. Non è con pietre squadrate che il Signore edifica la sua Chiesa. Non con una fede esente da incrinature e dubbi.

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Non a caso, infatti, è a Pietro che viene conferita l’autorità sulla comunità dei discepoli. Alla fede sincera e al contempo fragile di Pietro e dei suoi compagni. Tocchiamo qui uno dei tratti paradossali dell’esperienza cristiana (soltanto?): la consapevolezza della propria personale fragilità è ciò che può permettere che l’essere costituiti in autorità non venga inteso come un potere da esercitare ma come motivo per esprimere una più larga misericordia di Dio. Piccoli, eppure costituiti basamento solido. Pietro è confermato a capo dei fratelli solo quando avrà superato la prova, quando, cioè, sarà diventato consapevole della sua personale fragilità.

La garanzia della possibilità di annunciare Gesù Cristo sta nell’umile confessione della piccolezza della propria fede e nell’accoglienza di un Dio che si compiace manifestarsi così e di essere accolto così.

A Pietro, nel primo conclave della storia, verrà chiesta soltanto la pienezza dell’amore. Non la professione della fede ma quella dell’amore (mi ami tu?). Nient’altro. Solo la pienezza dell’amore rende presente il volto di Dio di cui lui veniva costituito segno tra i fratelli. L’autorità che Gesù conferisce a Pietro è la custodia dei fratelli, far crescere i fratelli.

Su questa pietra… che è la mia vita, il Signore intende edificare la sua comunità. È grazie a persone come Pietro che non si fermano ad una lettura superficiale (quella dettata dalla carne e dal sangue) ma riescono ad aprirsi alle profondità nascoste negli accadimenti, che è dato edificare ciò che Dio desidera.

Autore: don Antonio Savone
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