don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 18 Giugno 2023

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11a Domenica del Tempo Ordinario

Cristo non teme la fragilità

Mt 9,36-10,8

In quel tempo, Gesù, 36 vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38 Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

1 Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. 2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3 Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4 Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì. 5 Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7 Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

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Gesù «sentì compassione» per le folle “lacerate e gettate a terra”, dice letteralmente il testo greco. La divisione dell’uomo in se stesso e dai propri simili è la prima e più grave conseguenza del peccato; l’altra è la caduta, l’impossibilità di stare in piedi, da risorti, che sarebbe come il vivere nell’oltretomba. Cristo attribuisce tale condizione umana alla mancanza del pastore. I profeti Geremia ed Ezechiele avevano già lamentato l’esistenza di cattivi pastori che pascolavano se stessi sfruttando il gregge; un pastore che manca è la stessa cosa di un pastore malvagio, anzi forse peggio, perché il vuoto che rimane può essere riempito da falsi pastori o dall’anarchia del gregge. A quest’immagine pastorale viene subito associata una campestre per sottolineare la sovrabbondanza della «messe» e la scarsità degli «operai»; essa alluderebbe alla mietitura escatologica preparata su questa terra da un lavoro di semina generoso e costante: così come mancano buoni pastori, scarseggiano anche operai disposti a impegnarsi per il regno.

La prima risposta di Gesù a tale penuria è la preghiera. Che strano per noi! Dinanzi a un problema pratico siamo abituati a cercare ansiosamente una soluzione pratica. Ora, per Gesù la preghiera è la più pratica delle soluzioni. Essa ti porta ad arrestare l’affannoso girare a vuoto di chi non fa memoria della Provvidenza; ti costringe ad alzare lo sguardo, riconoscendo che per fortuna non tutto dipende da te; ti rammenta che il primo a tenerci che le cose vadano bene è il Signore stesso, laddove noi alle volte siamo lacerati dal dubbio sul suo reale interessamento al nostro bene.

Subito dopo il Maestro chiama a sé i Dodici, mostrando come «il signore della messe» abbia a cuore il suo popolo. Vengono infatti convocati gli operai del regno e attrezzati con «potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia». Non si può negare il problema del male; esso richiede delle risposte e non è vero che Dio non fa niente e che la Chiesa non ha strumenti per debellarlo. Ai discepoli viene conferito lo stesso potere di Cristo, che – non dimentichiamolo – è soprattutto quello dell’amore e del sacrificio di sé come armi potentissime contro il male. Oggi ancora si cercano mediatori sbagliati che possano esorcizzare il Maligno, col risultato che maghi, cartomanti e simili non fanno altro che sollecitare le forze negative contro la persona che si rivolge loro. Non dobbiamo neanche trascurare il potere di guarigione e consolazione che proviene in particolare dal sacramento dell’Unzione degli infermi, sapendo che la salvezza dell’anima, ossia la guarigione interiore, ha la priorità sul benessere esteriore.

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Matteo quindi elenca uno ad uno gli apostoli; una lista declamata con solennità, senza fretta, affinchè i nomi siano ascoltati bene: volti e storie di vita che vanno incisi sulla pietra, perché Gesù non si serve di comparse, ma di uomini ben individuati, i quali ci ricordano che, quando Dio chiama, sceglie la persona nella sua interezza, col suo bagaglio di santità e fragilità. Egli stabilisce una gerarchia, in quanto vi è per «primo, Simone, chiamato Pietro». È questa una preferenza? Per noi che viviamo di paragoni potrebbe apparire come un privilegio a scapito di altri, ma quando Dio sceglie qualcuno per una missione particolare non conferisce un privilegio, bensì chiede che questi diventi principio di benedizione per tutti. Notiamo due coppie di fratelli, non perché il vangelo sia appannaggio dei clan familiari, ma perché l’amore ricevuto si comunica anzitutto alle persone più vicine e il chiamato contagia chi gli sta accanto nell’avventura della fede. In questo gruppo rientra un peccatore pubblico come «Matteo il pubblicano», e addirittura viene menzionato Giuda il traditore. È evidente che Gesù non seleziona i migliori, i più acculturati, ma non lesina di annoverare trai suoi degli impresentabili i quali, tuttavia, per il fatto che si sono fidati di Lui, riconoscendogli un carisma inedito e rinunciano a tutto per seguirlo, sono adatti per il regno.

Essi devono rivolgersi anzitutto «alle pecore perdute della casa d’Israele», senza che ciò offuschi la portata universalistica del messaggio evangelico, che tuttavia inizia col poco, con le piccole cose fatte bene, le quali poi diventano testimonianze virtuose capaci di convertire i più lontani. Oltre che predicare, essi attesteranno la vicinanza del regno con segni e prodigi.

Quali oggi i segni del regno operati dai cristiani? Cominciamo dalla concretezza della preghiera, che ispirerà ulteriori opere.

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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