don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 11 Settembre 2022

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24a Domenica del Tempo Ordinario

L’Amore ti lascia libero

Un genitore può essere soddisfatto o deluso di un figlio. Nel primo caso gli attribuirà il riconoscimento che merita; nel secondo troverà un modo equilibrato per stimolarlo a far meglio tenendolo al riparo da ogni forma di scoraggiamento paralizzante. Nell’immaginario collettivo un padre non cambia mai, è sempre fedele all’amore per i figli, anche a rischio di non essere ripagato nell’anzianità di tutto il bene profuso nell’arco della vita; i figli invece rappresentano un’incognita e possono riservare sempre sorprese.

Il padre della parabola si trova dinanzi a due prese di posizione tanto sconcertanti quanto inattese. Presumiamo che egli abbia educato i figli col medesimo metro, stabilendo un dialogo schietto e trasfondendo loro i valori della condivisione, libertà e responsabilità. Colpisce anche il fatto che egli parli col cuore in mano, facendo trapelare la pienezza dei suoi sentimenti di gioia e tenerezza. In tal senso, risulta chiaro che questo padre è anche una madre, peraltro mai menzionata nel racconto; egli rappresenta la pienezza dell’essere genitore, come accade in quelle famiglie in cui, in assenza di uno dei due, l’altro coniuge funge da padre e madre insieme.

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A fronte di tanta sincerità e magnanimità, appare inspiegabile la presa di distanza dei figli dalla casa e dalla mentalità paterne, ma possiamo iscrivere tale scelta nel mistero della libertà umana e del desiderio di autonomia tipico dei giovani, che a un certo punto vogliono camminare con le proprie gambe, percependo come indebita ingerenza un consiglio non richiesto o addirittura la semplice presenza del genitore.

Ciò risulta evidente per il figlio minore, la cui pretesa dell’eredità spinge fino all’estremo il bisogno di autonomia, poiché presuppone che il padre sia come morto. «Pochi giorni dopo…raccolte tutte le sue cose», la partenza. Il dirigersi verso «un paese lontano» fa trapelare l’assenza di qualsiasi travaglio interiore; eppure se in quel frangente avesse dialogato col padre piuttosto che ascoltare solo la propria ‘pancia’, sarebbe potuto crescere senza farsi male.

Se sorprende il cambio di atteggiamento del ragazzo, espresso solo adesso ma probabilmente covato da tempo, ancor più strabiliante è l’inerzia del padre. Perché non ha fatto nulla per fermarlo? Eppure, considerata la sua esperienza di vita e la conoscenza del figlio, aveva sicuramente previsto che questi si sarebbe perso.

C’è una libertà umana insondabile, ma esiste anche una libertà divina altrettanto oscura per noi. Non che un genitore approvi la rovina dei figli, ma questo genitore celeste rispetta la libertà umana corrotta che addirittura considera Dio l’origine dei propri mali e perciò lo rinnega. Che tristezza vedere oggi tanta gente che tratta Dio da avversario della propria libertà: la parabola mostra proprio il contrario!

Eppure immaginiamo che il padre dissemini il sentiero del figlio, e persino il burrone nel quale precipita, di nostalgie, richiami, appelli alla conversione. Sono questi ultimi che inducono il giovane a tornare o la mancanza di pane? A giudicare dalle parole che il ragazzo rivolgerà al padre, in cui ripropone il monologo interiore formulato quando prese la decisone di rientrare, il suo cambiamento appare acerbo e interessato: difatti ripete tutto ma non le parole «trattami come uno dei tuoi salariati», poiché ha capito che il genitore lo ha già perdonato e non vuole abbassarsi al rango di servo, come prima aveva pensato. Il padre è disposto anche a farsi prendere in giro; non gli importa se il figlio ha le carte in regola, ma che si lasci guardare e amare da lui. Per questo quando lo vide da lontano «gli corse incontro» e colmò così la distanza che il figlio aveva creato.

Qui capiamo l’eccedenza della misericordia: certe fratture che noi creiamo sono per sé insanabili e solo per volere divino si ricompongono; il segno di tale guarigione è la dimensione della festa. È proprio in questa festa, organizzata personalmente dal padre, che il figlio maggiore non sa e non vuole entrare. Egli era rimasto col genitore, ma il suo cuore era lontano da lui. Distanti dal Padre, siamo preda dei peggiori sentimenti che distruggono la fraternità, come l’invidia.

Per chi ne è vittima, l’antidoto che Dio propone è sempre la gioia, perché Egli sa che i figli ribelli sono in realtà figli che chiedono amore. Il finale è aperto, nel senso che dalla parte umana l’esito della relazione col Signore e col prossimo rimane incerto, mentre dalla parte divina resterà sempre aperta la possibilità della riconciliazione piena e definitiva.

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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