don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 10 Aprile 2022

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Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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Domenica delle Palme

A contatto con la croce, diventi sposa di Cristo

Immagino che un condannato a morte sia così angosciato da perdere già prima dell’esecuzione il contatto con la realtà; oppure il suo dramma può diventare talmente incontenibile da indurlo a gridare disperatamente il terrore della morte e il bisogno di vita. Niente di tutto questo in Gesù, che in ogni momento della sua passione cerca una relazione con coloro che ancora non comprendono il senso di quel sacrificio; nulla di ciò in Gesù, che non maledice la propria sorte né cerca un modo per scampare alla morte a qualsiasi prezzo. È costato tanto al Padre il dono del Figlio, ma la felicità di un genitore è vedere il figlio ubbidiente: nel dramma della Pasqua, Dio vive la gioia di sapere che il suo Verbo dice tutte le parole e compie le opere che Egli desiderava a favore dell’uomo.

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E il racconto della passione inizia proprio con il desiderio di Gesù di «mangiare questa Pasqua con voi». Il pane e il vino separati e offerti costituiscono il sacramento del corpo che muore versando sangue «per voi» e stabilisce così «la nuova alleanza». Cerca la comunione con i suoi il Maestro, con tenacia incrollabile, pur sapendo che nello stesso istante dell’offerta l’uomo lo tradisce. È questo uno degli aspetti paradossali della Pasqua: Gesù è con Giuda e Pietro, annuncia il loro tradimento, eppure li lascia fare, continua ad amarli fino alla fine, rimanendo saldo al suo posto, stando cioè «in mezzo a voi come colui che serve».

L’amore serve, facendo a volte finta di non vedere, superando la tentazione di pensare che il sacrificio sia reso vano dall’ingratitudine e dall’indifferenza; l’amore è animato dall’unica consapevolezza che «tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Gesù non è solo, ma per percepire la presenza del Padre era necessario che, «entrato nella lotta» del monte degli Ulivi, non staccasse mai mente e cuore da Dio. Pasqua è dunque mistero di comunione con il cielo e la terra, già pronta ad accogliere le «gocce di sudore che cadono» da quel corpo che si prepara a morire; corpo sofferente che tuttavia guarisce altri corpi, ricucendo l’orecchio del servo del sommo sacerdote tagliato da un discepolo.

A Pasqua, nel nome di Gesù, la Chiesa è chiamata a ricucire ogni strappo: ad offrire un rinnovato perdono a tutti coloro che per rabbia o disperazione hanno ceduto alla violenza; a chiedere perdono a quei figli che ha scandalizzato per la sua stessa infedeltà al vangelo. Le lacrime amare di Pietro che prende coscienza del rinnegamento devono essere le lacrime della Chiesa che lavano le colpe proprie e di tutta l’umanità e che inondano il mondo di un fiume di grazia da cui rinasce la vita. Come un frutto che dà il succo più dolce quando viene spremuto, Gesù è ora in balia dei soldati che «lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi». Anche il potere religioso e politico lo colpiscono con le armi dell’invidia e della menzogna, della codardia e della brutalità, ma pure in questo caso Cristo darà il miglior frutto di pazienza, verità e amore a Dio e agli uomini.

Da qui in avanti quel corpo martoriato incontrerà altri corpi e, come uno Sposo, li toccherà e si lascerà toccare da essi. L’amore infatti si concretizza nell’unione dei corpi e Gesù sul talamo della croce sposa tutti coloro che vengono a contatto con essa: Simone di Cirene, le donne di Gerusalemme, il malfattore accanto a Lui. Tre cifre di umanità rappresentative di ciascuno di noi: siamo Cirenei perché sappiamo ancora commuoverci per chi soffre, e in quei momenti diventiamo la sposa di Cristo; siamo popolo che piange, ma che ha bisogno di dare senso al dolore per evitare che ci schiacci, e in quei momenti diventiamo la sposa di Cristo; siamo malfattori che pagano per i loro errori ma nutriamo la speranza di rinascere, e in quei momenti diventiamo la sposa di Cristo!

Gesù sul Calvario è sottoposto alla più grande tentazione che possa capitare, quella di salvare se stesso in un modo diverso dal piano salvifico di Dio. Anzitutto è diabolico pensare di essere gli artefici della propria salvezza, la quale, essendo vita in pienezza, è un dono che si può solamente ricevere. Ancora, è diabolico pensare di trovare salvezza in un modo diverso dalla capacità di donarsi per amore. Se la salvezza è un dono, essa si realizza unicamente nel dono fino all’ultimo respiro: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

E se anche tu fossi quel condannato a morte? Se ti dicessero che stai per morire, che faresti? Ama! Gesù rende la passione luogo di comunione: chi ama soffrendo diventa sposa degna dello Sposo divino.

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