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don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 4 Febbraio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 5, 21-43

Lasciata la grotta di Betlemme col tempo di Natale, abbiamo iniziato a muovere i nostri dietro a Gesù, il  Dio con noi, l’Emmanuele. Lo abbiamo scorto lungo le rive del Giordano, mentre si faceva battezzare da Giovanni  Battista (domenica del Battesimo, 7 gennaio); abbiamo visto i primi discepoli seguire Gesù, dopo che Giovanni  Battista lo ha indicato quale «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (II domenica, 14 gennaio); abbiamo  incontrato Gesù lungo le rive del lago mentre rivolgeva l’invito ad alcuni pescatori a seguirLo (III domenica, 21  gennaio); infine, domenica scorsa, lo abbiamo visto nella Sinagoga di Cafarnao mentre insegnava, cogliendo lo  stupore dei presenti (IV domenica, 28 gennaio).

Oggi il vangelo c’invita a seguire Gesù nella casa di Pietro e Andrea,  dove guarisce la suocera di Pietro e opera molte guarigioni, segno tangibile della Sua potenza, perché Egli è il  Salvatore, Colui che è venuto a portare Vita e Speranza. Sono segni e gesti che spezzano la spirale della tragedia  dell’uomo di fronte alla sofferenza umana, presentato nel grido riflessivo di Giobbe di fronte alle difficoltà della vita:  morte dei figli e della moglie, la perdita delle ricchezze…: «A me sono toccati mesi d’illusione… Se mi corico… quando  mi alzerò?… un soffio è la mia vita» (v. 7). Un’amara e sofferta riflessione che si conclude con la parola «Ricordati…»,  svelando che non si tratta di un monologo, ma di un dialogo con Dio stesso. E con Dio, Giobbe troverà risposta anche  di fronte al soffrire (cfr Gb 42,5: «Ti conoscevo per sentito dire, oggi ti conosco perché ti ho incontrato/ho fatto  esperienza di Te»).  

Di fronte a questo grido e al grido di ogni uomo e di ogni donna di tutti i tempi, Dio ha risposto «facendosi  carne» in Gesù, che inizia il suo ministero proprio facendosi prossimo nei riguardi dei malati, dei poveri… fino a  portare in Croce il grido dell’umanità intera: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). La risposta a  questo grido sarà la risurrezione, speranza di vita eterna per ogni uomo. in Lui possiamo allora fare nostre le parole  del salmo odierno: «È bello cantare inni al nostro Dio… risana i cuori affranti e fascia le loro ferite… grande è il Signore  nella sua potenza… Egli sostiene i poveri…». 

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vv. 29: «In quel tempo, Gesù uscito dalla sinagoga, andò subito nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di  Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò  e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.  

Gesù esce dalla Sinagoga e si reca nella casa di Simone e Andrea. Fino a quel momento la Sinagoga era l’unico luogo  dove si poteva ascoltare la Parola di Dio. Gesù esce dalla Sinagoga e porta la Parola (se stesso) dentro la vita  quotidiana, nella casa. Dalla sinagoga, luogo del culto, alla casa, dove il culto si fa vita nella quotidianità o, se si vuole,  la vita quotidiana diventa culto. Se osserviamo meglio notiamo che Gesù ha compiuto alcuni passaggi: iniziando la  sua missione Gesù viene a visitare ogni luogo di vita e ricorda che ogni luogo di vita è da Lui visitato, in ogni luogo  Lui è presente. Non pone confini, filtri, dogane. Lui c’è.  

In casa incontra il dolore della suocera di Simone; potremmo dire che la gioia del Natale si fa presente in questa casa perché il Signore Gesù viene, si fa presenza nei riguardi di questa donna malata. Gesù la «tocca» con la sua mano, la  febbre sparisce e la donna si mette a servire. Il verbo utilizzato – si alzò – è lo stesso della risurrezione (cfr Mc 16,6).  Gesù è la «mano di Dio»: mano che crea (cfr Gn 1-2) e ricrea. Il prendere per mano ridona vita, risveglia, guarisce e  rivela la realtà: Dio ama. Tutto in un gesto, come nella parabola del Samaritano (cfr Lc 10): nessuna parola, solo un gesto.

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A ricordare a noi quanto valore possono avere i nostri gesti se animati dalla verità e dall’amore.  Gesù libera la donna, le dona una vita nuova, non più ripiegata su se stessa passa dalla malattia al servizio. Un  atteggiamento che ci aiuta a comprendere che quel procedere di Gesù nei riguardi della suocera di Simone riguarda  tutti noi, spesso ripiegati su noi stessi a causa della febbre dell’egoismo, del vittimismo di fronte le nostre fragilità e  incapacità.

Gesù porge anche a noi la sua mano e c’invita ad alzarci, a reagire, a convertirci (due domeniche fa), cioè  ci offre una nuova possibilità, una nuova opportunità. E una volta che ci lasceremo alzare in piedi, allora spetterà anche a noi porgere le nostre mani verso gli altri e accogliere le mani che ci verranno poste innanzi.

Vv. 32-34: Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città  era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non  permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano». 

Non appena il sole tramonta, quindi dopo il sabato (festa dello shabat: Es 31,13ss “Dovrete osservare i miei sabati, perché il sabato  è un segno tra me e voi… Chi lo profanerà sarà messo a morte… Il Signore ha fatto il cielo e la terra, ma nel settimo ha cessato e si è riposato”.  portano a Gesù i malati a tal punto che «tutta la città era davanti alla porta». Gesù si rivela così quale «medico» del  corpo e dell’anima. Lui guarisce quanti si affidano alle sue cure. E come un tempo, così anche oggi innanzi alla porta  del nostro cuore (cfr Ap 3,20) Gesù attende un nostro cenno per poter guarire la «folla» di ferite del corpo e dello  spirito che ci portiamo dentro. Basta poco, basta porgerGli la nostra mano e Lui stesso ci prenderà per mano e ci  rialzerà.  

vv. 35-39: «Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.  Ma Simone e quelli che erano con lui, si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: “Tutti ti cercano!”. Egli  disse loro: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”.  E andrò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni». 

Ed ecco l’ultima scena. Gesù ha lasciato la Sinagoga mentre tutti lo inneggiavano per quanto detto e fatto; ora lascia  la casa di Simone nonostante tutti lo stiano cercando. Di fronte al tentativo di «sequestrare» Gesù, Lui si ritira in  altro luogo; e così farà dopo la moltiplicazione dei pani: «Sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si  ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo» (Gv 6,15). 

A chi lo cerca Gesù dichiara che molti ancora sono coloro che attendo una Parola di speranza, gesti di amore e di  prossimità. E’ un invito rivolto anche a noi, perché è facile, direi comodo, sedersi sugli allori, servirsi delle situazioni  dove troviamo conforto nel nostro operare; questo rischia di farci abbracciare i nostri risultati, tanto da trasformarli  in idolo, più che Gesù e la missione che Lui stesso ci ha affidato. «Lasciare» è segno di distacco interiore, di libertà:  è un esercizio sul quale il Signore c’invita a misurarci e a educarci, perché chiede umiltà e molta disciplina.  

Il vangelo odierno dunque, inizia a preparare i discepoli a «stare dietro a Gesù», innanzitutto per «stare con Lui» e  poi, eventualmente, «per essere mandati» (cfr Mc 3,13-16). Prima ci è chiesto di lasciarsi guarire, poi di testimoniare  la gioia di essere guariti. Portare i malati da Gesù è segno che la gente cerchi «vita e salute», ma questo è solo la  superficie di una ricerca più profonda, quella della «salvezza».

Il grido di Giobbe, ascoltato nella prima lettura, è solo  il simbolo delle tante grida che s’innalzano verso il Cielo, e Gesù si presenta oggi come la risposta alle più intime  domande. A tal proposito tornano illuminanti le parole della beata Benedetta Bianchi Porro: «Sai, tempo fa cercavo  Dio, ma mi agitavo come in un vestito troppo stretto; ora va liscio. Se il Signore non fabbrica la casa…». In questo modo  Gesù mette in guardia i discepoli e oggi ciascuno di noi, nel ricercare «la risposta alle mie/nostre grida» nelle soluzioni del mondo, spesso capaci solo di confondere e anestetizzare il cuore attraverso l’abile tecnica del persuadere, del  confondere, dell’ingannare (cfr Gn 3).

Solo in Gesù c’è salvezza! (At 4,12). Solo Lui guarisce e salva (cfr Lc 17,11-19:  nove lebbrosi tornarono a casa guariti, uno solo salvato, perché aveva riconosciuto e ringraziato il Signore Gesù). In  fondo la «guarigione» più profonda è proprio la salvezza: «E’ più facile dire ti sono rimessi i peccati o dire alzati e  cammina…» (Mt 9,1-8). Gesù guarisce affinché si comprenda che Lui può salvare.  

A noi lasciarci prendere per mano dal Signore Gesù, riconoscere di essere malati e bisognosi di lasciarci rialzare,  perché «La vita non serve se non servi» (cfr papa Francesco). Siamo custodi gli uni degli altri e siamo chiamati a  fuggire dalla tentazione di disinteressarci degli altri (cfr Gn 4,9: Sono forse custode di mio fratello?). Gesù chiede  che quanto Lui fa con noi, poi noi impariamo a farlo agli altri: «Vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come  ho fatto io» (Gv 13,15). Un «fare» che nasce solo da uno «stare con Lui», perché non basta la «carità» se questa non  è accompagnata, sostenuta, animata dalla preghiera, dall’esperienza di comunione con Lui: «Quello che abbiamo  veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi» (1Gv 1,3).  

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Mc 1, 29-39 | don Andrea Vena 68 kb 5 downloads

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Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.

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