don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 30 Gennaio 2022

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Cosa dice la Parola/Gesù

Continua il nostro cammino alla Scuola di Gesù come ci è proposto dalla Liturgia. Il testo odierno del vangelo riprende lì dove si era interrotto domenica scorsa. All’espressione di Gesù pronunciata nella Sinagoga di Nazaret “Oggi si è compiuta la Parola che avete udita” – segue oggi la dura reazione degli uditori. Segno che fin dall’inizio del ministero di Gesù, la Parola è “tagliente” (cfr Eb 4,12). Si spiega così perché la liturgia ha scelto come I lettura la vocazione del profeta Geremia, concentrando l’attenzione lì dove Dio dice a Geremia: “Tu stringi la veste ai fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò: non spaventarti di fronte a loro… oggi io faccio di te come una città fortificata… Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”. Forte di questa certezza il salmista può cantare: “La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza… Sii tu la mia roccia… sei tu la mia speranza, la mia fiducia… proclamo le tue meraviglie”. Con questa chiave di lettura, entriamo dunque nel testo del vangelo.

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vv. 21-22: «In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: “Oggi è si compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”.

Domenica scorsa il vangelo ci ha presentato gli inizi della vita pubblica di Gesù, contrassegnati dal segno della consolazione, annunciata dai profeti, attesa da tutte le genti, essa si compie nella vita del Signore Gesù, nel suo essere consacrato dal Padre per portare a tutti l’annuncio della grazia (cfr Lc 4,1421). Nel vangelo di oggi, che è la prosecuzione di domenica scorsa, troviamo la reazione della gente: tenuto conto che Gesù si trova a Nazaret, la “gente” non sono i lontani, quanto i suoi, quelli di casa, quelli che lo conoscono, che lo hanno visto crescere. «Non è costui il figlio di Giuseppe, il figlio del falegname?». E così Gesù fin da questo suo primo atto pubblico si rivela quale «segno che viene contraddetto e che svela i pensieri profondi di molti cuori» (Lc 2,34-35), come aveva profetizzato il vecchio Simeone su di lui quando, quaranta giorni dopo la nascita, egli era stato presentato al tempio (2 febbraio, festa). “Non è costui il figlio di Giuseppe?”: la gente rifiuta il vangelo perché ad annunciarlo è il “figlio di Giuseppe”! Troppo normale! Due domeniche fa il vangelo ci aiutava a comprendere che Dio non chiede cose straordinarie, ma parte dalle “anfore” che siamo e abbiamo; escludere l’ovvietà o la normalità è escludere dalla nostra vita “l’Oggi” nel quale la Parola si realizza.

vv. 23-27: «Ma egli rispondeva loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. Poi aggiunse: “In verità io vi dico: “nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: vi erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia se non a una vedova di Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato se non Naaman il Siro”.

E proprio perché non si ferma alle impressioni superficiali degli uomini, la Parola/Gesù svela i pensieri dei loro cuori, la non-accoglienza proprio nella sua città, tra i suoi, a casa sua (cf. Gv 1,11)! Ma come suo stile, quando gli si chiede dei segni ma gli si nega la fede, Gesù si rifiuta (cfr Mt 12,38; 13,58ss): egli infatti sa che il “segno” può confermare la fede, ma non fondarla (Gv 11,46). Così, attingendo dalla Scrittura, mostra ai suoi concittadini che non sta accadendo nulla di nuovo, ma si rinnova quello che è sempre accaduto a tutti i profeti. È accaduto a Elia, ascoltato solo da una vedova straniera, una fenicia di Sarepta di Sidone (cf. 1Re 17); è accaduto a Eliseo, il successore di Elia, che poté operare la guarigione dalla lebbra solo a favore di un pagano, Naaman il Siro (cf. 2Re 5). Sì, i profeti hanno sempre trovato accoglienza e ascolto non tra i credenti di Israele, bensì tra i non credenti provenienti dalle genti. Dio, quando il suo popolo viene meno, apre nuove vie, anche con i pagani.

vv. 28-30: All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Dall’iniziale stupore si passa all’accusa fino alla “santa” collera. Elementi che ritroveremo tutti durante il suo processo: si fa Dio! Ma Gesù, come il profeta Geremia – prima lettura – sa di dover assolvere a un compito che non è quello di accontentare la gente, ma di annunciare la salvezza alle genti, mettendo in conto che queste “gli faranno guerra” (I lettura). Gesù, «passando in mezzo a loro riprende il suo cammino», va avanti per la sua strada: «Ascoltino o non ascoltino, un profeta si trova in mezzo a loro» (Ez 2,5)…

Cosa dice a me oggi la Parola/Gesù

La prima catechesi pubblica di Gesù si scontra con la durezza dei cuori dei suoi concittadini. Al dono della Parola i suoi rispondono con “cuori ribelli”. Ma dal fallimento della sua predicazione Gesù non trae motivo di sconforto o delusione, anzi. Scorge in tale evento la conferma della sua identità: è un profeta e, come nella chiamata di Geremia, è consapevole di dover obbedire a Dio e non agli uomini, forte della certezza che Dio Padre è e resterà con Lui: “Io sarò con te per salvarti”. Lo è stato con Geremia, lo è stato con Gesù e ora Gesù lo è con me e ciascuno di noi. Ai “Servi della Parola” (domenica scorsa), il Signore è e resterà sempre a fianco. Questa è la ragione ultime della gioia e della serenità che contraddistingue chi crede in Gesù. C’è una missione affidata a me e ciascuno di noi e chiede di essere svolta qui ed ora, “oggi”, non perché ce la siamo scelta, ma perché il Signore mi e ci ha chiamati a questo (cfr Amos 7,14: “Non ero profeta né figlio di profeta: ero un pastore…il Signore mi prese e mi disse: va, profetizza). Non perché siamo più o meno bravi, ma perché così ha voluto lui (con questa logica ha chiamato Matteo il pubblicano, non ha aspettato che si convertisse, ma lo ha chiamato affinché stando con Lui imparasse a cambiare).

Ma andiamo con ordine. Prima di essere un discepolo che segue, devo essere un ascoltatore chiamato a credere. Perché anch’io, anche noi, rischiamo talvolta o spesso di essere come gli abitanti di Nazaret: di pretendere dei “segni” per credere, anziché credere per vedere che tutto è segno di Dio. Anche noi rischiamo di scartare la normalità della vita, che è il segno più grande e bello che Dio ci offre ogni giorno, e ricercare continuamente i fatti straordinari! Ma Dio si serve dell’anfora di questa vita, non di altro (cfr due domeniche fa).

Se ci pensiamo bene, siamo strani! Se la Parola è troppo a portata di mano – “E’ il figlio di Giuseppe” – non crediamo perché è troppo “come noi”. Se la Parola è impegnativa, non ci va bene perché non ce la facciamo. E in questo modo, viviamo come sempre! Invece dobbiamo lasciarci trafiggere dalla Parola: “Mi hai sedotto, Signore, e mi sono lasciato sedurre” (Ger 20,7). Questo è lo stile con il quale iniziare questo tempo ordinario della liturgia e, ripeto, della vita. È nel “qui ed ora” che Dio mi parla: questa vita concreta è “l’Oggi” nel quale la Parola si realizza in Gesù e in ciascuno di noi se glielo permettiamo. Non devo né nascondermi perché è troppo grande, né sottovalutarla perché troppo “banale”. Dio sa come raggiungermi, spetta a me e a ciascuno di noi decidere di accoglierla: “Io sto alla porta: se uno mi apre io entro…” (Ap 3,20). L’unica cosa è fidarsi del Signore Gesù, della sua Parola di salvezza. Si tratta di lasciarci curare il cuore da Gesù, di far sì che la sua grazia sciolga le “ribellioni” di autonomia che ci portiamo dentro, frutto del peccato originale (Gn 3): questa continua e perenne presunzione di voler fare da soli, di voler esser dio!

Solo un cuore puro, rinnovato dall’amore, sarà capace di aprirsi alla novità; sarà capace di scorgere in ogni “attimo della vita” i segni di Dio, perché tutto è segno per chi ama Dio. E qui si spiega perché Gesù ci ha invitato a diventare come bambini, a farsi piccoli, perché a loro è annunciata la buona novella (Lc 4: 18 mi ha inviato ad evangelizzare i poveri). Questi sono i poveri del Vangelo, capaci di fare spazio alla novità, senza pregiudizi. Sono i piccoli, i poveri i privilegiati, perché capaci di lasciarsi curare, come gli abitanti dei villaggi di Galilea che accolsero Gesù, al contrario degli abitanti di Nazareth.

Gesù è venuto per me, per ciascuno di noi per guarire il peccato del cuore, quel peccato che rende incapaci di credere e riconoscere che Dio mi ama. Ci ama. E pur di curarci, Dio si fatto Uomo, si è fatto carne in Gesù. Dobbiamo lasciarci curare, lasciarci amare perché questo è l’unico modo per seguirlo con libertà di spirito. Senza tentennamenti. Senza vergogna, senza il timore di perdere gli amici pur di restare fedeli all’Amico e alla missione da Lui ricevuta. Con coraggio e gioia. Il coraggio di sapere che Lui è al mio e nostro fianco, è la gioia di sapersi e sentirsi amati dall’Amore eterno. Ed è quanto faranno i primi pescatori: Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni… che sarà il vangelo di domenica prossima.

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Colletta (anno C)

Signore Dio nostro, che hai ispirato i profeti perché annunciassero senza timore la tua parola di giustizia, fa’ che i credenti in te non arrossiscano del Vangelo, ma lo annuncino con coraggio senza temere l’inimicizia del mondo.

Io rispondo così

Signore Gesù, nel tuo ministero

anche Tu hai incontrato fatiche e resistenze, critiche e ostacoli.

Non ti sei fermato né rassegnato,

ma forte della fiducia nel Padre tuo,

hai continuato, fedele, la tua missione,

camminando lungo le vie del tuo tempo.

Signore, col battesimo

mi hai chiamato e affidato il compito di narrare le tue meraviglie

in questo particolare mio tempo storico. Ricolmo del tuo Spirito,

aiutami ad arrampicarmi lungo i sentieri della storia per raccontare con gioia e coraggio

la tua Parola,

forte della certezza che Tu, mio Signore, sarai sempre con me per proteggermi.

Tu, mia salvezza e mia gioia.


Il commento al Vangelo di domenica 30 Gennaio 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.