don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 13 Marzo 2022

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Cosa dice la Parola/Gesù

Mercoledì delle ceneri ci ha ricordato che siamo “polvere e che polvere torneremo”, ossia che siamo creature fragili, sempre bisognose di “conversione”. “Polvere”, certo, ma creature amate dal Padre che non ci molla, tanto che in Gesù ci ama… da morire. Ma non solo: Dio, ricorda san Paolo “trasfigura questo misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,2, si tratta della II lettura della Messa odierna). Quindi non dobbiamo rassegnarci, anzi! Anche se questo voltarsi verso Dio, che è la conversione, chiede lotta, chiede il coraggio di rinunciare a voltarsi verso le cose del “diavolo”, come ci è stato ricordato nella I domenica di Quaresima.

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Potremmo dire che il cammino della vita – riprodotto “in scala”, in miniatura, nei 40 giorni della Quaresima – è una continua lotta-tentazione per scegliere tra la proposta di Dio e la proposta alternativa del diavolo, sempre pronto a illudere e deludere! Il coraggio, la forza sono possibili solo se c’è una “ragione grande, forte, bella” per la quale merita lottare e restare fedeli a Dio. Questa proposta è Gesù stesso che ha già vinto il peccato e la morte e ci ha aperto le porte del Cielo, dove ora ci attende. Di questa Gloria, Gesù ha anticipato la bellezza ai suoi discepoli – e oggi a noi – nell’esperienza della Trasfigurazione. Questa Meta, questo orizzonte è, o almeno dovrebbe essere, la ragione ultima delle nostre scelte. Impariamo da Abramo, nostro padre nella fede, che la liturgia ci indica come testimone (I lettura): egli “Credette, e Dio glielo accreditò come giustizia” (Gn 15,6). Grazie alla fede di Abramo, al suo “si”, Dio ha potuto operare cose grandi. Abramo si è fidato della promessa di Dio: avrai una discendenza (v. 5), una della Terra (v. 7), un popolo (v. 18). Ma è passato attraverso la dura prova del sacrificio del figlio Isacco, che Dio non permetterà proprio all’ultimo momento: si trattava di una prova per vedere fino a che punto Abramo era pronto a mettere in discussione le sue certezze umane, compreso il figlio che Dio stesso gli aveva donato. Abramo dimostrò che Dio era per lui “luce e salvezza”, testo che la liturgia ha scelto come salmo di risposta: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore? …Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi…”. A noi dunque guardare coloro “che si comportano secondo l’esempio” che san Paolo stesso ci dà – ricorda la II lettura – perché saranno questi amici di Dio ad aiutarci a raggiungere “la nostra cittadinanza che è nei cieli… da dove aspettiamo come Salvatore Gesù”. Dopo questa premessa e inquadratura, accostiamoci al testo del vangelo odierno.

“In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo è salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi esser qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Appena la voce cessò, resto Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

L’evangelista Luca incastona il testo della trasfigurazione di Gesù tra due annunci di Passione: 9,22 e 9,43-45. Gesù sta svelando ai suoi discepoli che si sta dirigendo a Gerusalemme, dove lo attende la morte. Con l’evento della Trasfigurazione, desidera quasi rassicurare i discepoli, suggerendo loro di non lasciarsi intimorire quando sarà “tanto sfigurato per esser d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo” (Isaia, 52,14). Importante è restare aggrappati a questo volto luminoso, e in Lui fondare ogni speranza, fa capire Gesù.

Il primo tassello che ci aiuta a comprendere il testo è il contesto all’interno del quale si situa l’episodio della trasfigurazione, cioè quello della preghiera: “Salì sul monte a pregare”. Qui il Padre ascolta il Figlio, il Figlio ascolta Elia e Mosè, i discepoli ascoltano il Padre che invita ad “ascoltare” il Figlio in cammino verso Gerusalemme. Gesù c’insegna che si va verso Gerusalemme, verso la Meta della vita, imparando ad “ascoltare Dio” e ad “ascoltarsi”. Gesù entra nella “preghiera” che è uno stare a tu per tu col Padre del cielo; è l’esperienza che Egli vive ogni qual volta deve dire il suo “amen” alla volontà del Padre (cfr la scelta dei Dodici apostoli, 6,12; 9,18 prima della confessione di Pietro; nell’orto degli ulivi, 22,39-46; sulla croce 23,34.46). In fondo è, o dovrebbe essere così, la preghiera di ogni credente: il Padre sa ciò di cui abbiamo bisogno (cf. Mt 6,8) e ciò che abbiamo nel cuore, e la preghiera serve perché noi stessi ne prendiamo coscienza, per imparare a dire, come Abramo, il nostro incondizionato “si”. In questo modo la preghiera diventa un lasciarsi plasmare e trasformare dall’Amato, da Dio. In fondo non sono le situazioni che cambiano, ma il nostro cuore – colmo dell’amore di Dio – ci aiuta a guardare agli eventi della vita in modo nuovo, con lo sguardo dello spirito delle beatitudini. La preghiera, rendendoci più docili alla volontà del Padre, purifica i desideri, illumina i pensieri, accompagna le azioni permettendoci di voltare le spalle all’allettante proposta del diavolo!

“Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”.

Gesù appare “altro”, le sue vesti raggianti luce, scintillanti. I discepoli contemplano il cambiamento del suo aspetto, la sua forma “altra”, la sua “trasfigurazione”, anche se i loro occhi non comprendevano (esperienza che avverrà anche dopo la risurrezione: all’apparire di Gesù risorto, “i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”, cfr Lc 24,16. L’uomo Gesù, che i tre discepoli avevano accettato di seguire dopo aver lasciato le barche, ha un’identità “altra” da quanto pensavano; ha un’identità non ancora rivelata a tutti, e che solo ora – a loro tre – Gesù rivela per un istante, comunque in modo sufficiente a trasformare la loro fede in Lui. Pur non comprendendo, i tre intuirono – solo alla luce della risurrezione capiranno in pieno che quell’uomo era il Figlio di Dio e “in lui abitava corporalmente la pienezza della divinità” (Col 2,9). In quell’Avvenimento della Trasfigurazione Gesù suggerisce anche a noi qualcosa: ci dice che anche noi non siamo semplicemente quello che mostriamo, quanto appariamo a noi stessi o agli altri. Siamo “altro”. E Lui è venuto per aiutarci a “scovare questo altro” che c’è in ciascuno di noi.

Volendo usare un’immagine, noi siamo il blocco di marmo nel quale l’artista già vede l’opera finita. Così Dio già vede in noi, creature fragili e spesso ripiegate su se stesse, il capolavoro che diventeremo perché lo siamo già dentro di noi. Potremmo dire che Dio ha un sogno su ciascuno di noi, e questo sogno chiede di essere abbracciato prima che essere capito: ci sarà sempre una zona d’ombra nella nostra comprensione, ma questo non deve ostacolare l’abbracciare il mistero della vita così come Dio lo ha pensato per noi. Dico di più: non solo Dio ha un sogno su di noi, ma noi stessi siamo il sogno di Dio. Un sogno che va abbracciato e cammin facendo sarà compreso: questa è garanzia di felicità. Di vita trasfigurata.

Gesù dialoga con “Elia e Mosè”, i rappresentanti più alti dei profeti e della Legge. Un modo per dire che quanto i profeti hanno annunciato e la Legge ha custodito converge ora in Gesù: Lui è l’Atteso delle genti, colui che è sceso in terra per aiutarci a tornare al cielo. Lungo questo cammino, però, Gesù incrocerà la via Crucis. Come il popolo d’Israele ha vissuto il suo “esodo” camminando per quarant’anni nel deserto – tra prove, ripensamenti e tentazioni per giungere alla Terra promessa, così Gesù ha vissuto il suo “esodo” pur di tracciarci la via per giungere alla Terra promessa, la Gerusalemme del cielo. L’evangelista Luca cita di proposito il termine “esodo” per rimarcare questa esperienza: “Elia e Mosè parlavano con Gesù del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme” (cfr 31).

In questo dialogo di Gesù con Elia e Mosè vorrei cogliere anche un altro messaggio. Per confrontarsi su temi importanti, decisivi… Gesù cerca “amici” di spessore, potremmo dire garantiti, e li trova nella Bibbia, in coloro che hanno svolto al meglio il progetto che il Padre aveva loro affidato. Esperienza che rimanda a san Paolo, dove nella II lettura di oggi, scrive: “Fatevi miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete ricevuto” (Fil 3,17; “Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio amore” Sal 16,3/versione precedente della Bibbia). Domenica scorsa, infatti, ci era stato ricordato che la strada del diavolo è lastricata di buone intenzioni (tutte a parole) e che non è sempre facile capire e scegliere da quale parte stare, a chi dare retta: ci sono “amici” che aiutano a camminare verso la conquista della cittadinanza del cielo, ma c’è altresì chi – ricorda sempre Paolo – “molti che si comportano da nemici della Croce, i quali avranno come sorte la perdizione” (cfr v. 18). La preghiera per Gesù è porta aperta verso il Cielo: così per Lui, così dovrebbe essere per noi. E’ l’esperienza che permette di lasciarsi illuminare dalla Luce di Dio per saper vivere secondo il vangelo. Come Gesù, anche noi siamo così invitati a coltivare questo tempo, a vivere questa esperienza di amicizia con il Signore Gesù e con quanti la Chiesa – Madre e Maestra – ci indica quali “Amici e modelli di vita”, cioè i santi, a cominciare da colei che ha pronunciato il “si” più bello e importante della storia, la Vergine Maria. Nella preghiera – dialogo d’amore con il Signore impariamo così a discernere, a distinguere la voce che viene dal Padre da quella che viene dagli stolti; e se impariamo ad “ascoltare” il Figlio Gesù – come chiede il Padre – Lui stesso saprà aiutarci a distinguere la Voce dalle voci e vivere nella libertà dei figli di Dio.

«Pietro disse: “Maestro, è bello per noi esser qui. Facciamo tre capanne”… Egli non sapeva quello che diceva». I discepoli non comprendono fino in fondo quanto sta avvenendo, eppure l’esperienza è talmente bella che porta Pietro ad esclamare: “E’ bello per noi esser qui”. Si tratta di uno splendore che suscita la nostalgia di quella bellezza con cui ciascuno è stato segnato nell’atto creativo e che in Adamo ed Eva è stata rovinata: “E Dio vide che era una cosa molto bella” (Gn 1,31).

“Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura”.

La narrazione continua, quasi al rallentatore. Dettaglio dopo dettaglio. L’esperienza della nube (cfr Es 24,18) suscita paura nei discepoli, anticipo di quella paura che sperimenteranno quando entreranno, con Gesù, nella nube della passione e della morte. Gesù vi entra oggi e vi entrerà al momento della Passione, perché unico modo per vincere la paura della sofferenza e della morte è vincerle dall’interno. Vi entra, affinché quanti vi entreranno non si sentano più soli e abbandonati. Non c’è nube, non c’è fatica, difficoltà, dolore, sofferenza… che Gesù non abiti per noi e con noi: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati…Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35-36).

E dalla nube, una voce: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”.

I discepoli non vedono nulla, ma sentono la voce del Padre, ascoltano Dio senza morire (cfr Es 33,20) proprio come Mosè aveva insegnato ai figli di Israele: “Il Signore vi parlò dal fuoco e voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura; vi era soltanto una voce!” (Dt 4,12). “Ecco il mio Servo, il mio Eletto” (Is 42,1). Ora la voce di Dio è il volto stesso di Gesù, la sua persona. Il grande comando “Ascolta, Israele!” (Shema‘ Jisra’el: Dt 6,4) diventa: “Ascoltate il Figlio, l’Eletto di Dio, ascoltate lui!”.

L’esperienza della trasfigurazione, ci ricorda che il cammino della quaresima – e quindi della vita è tutto proteso verso questa luce, questa Meta: una spinta di incoraggiamento a non arrenderci perché il Signore Gesù è il solo che – trasfigurato – può trasfigurare ogni nostra esperienza di vita, anche la nube delle tenebre. In Lui e con Lui tutto viene trasfigurato, tutto acquista una luce nuova: luce di speranza e di fiducia, luce di pace e di gioia come tanti santi ci hanno testimoniato anche nei momenti più atroci. Scrive la beata Benedetta: «Nel mio Calvario non sono disperata. Io so, che in fondo alla via, Gesù mi aspetta. Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora, ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è Amore, Fedeltà, Gioia, Fortezza…In questi ultimi giorni sono peggiorata di salute. Spero perciò che la “chiamata” non si faccia attendere!… Sono molto stanca, quasi da non sentire più parole in bocca, ma mi sento spiritualmente ancora in piedi nell’attesa di rispondere il “Presente” ad un suo cenno… Ho già sentito la Sua voce: la voce dello Sposo!… Lui, che è in me, mi guiderà alla Sua volontà, fino in fondo».

La trasfigurazione si offre a noi come “anticipo pasquale”, come esperienza di incoraggiamento per non perderci d’animo di fronte alle lotte e alle tentazioni che inevitabilmente incontriamo (I domenica di quaresima); per non abbatterci di fronte alla fragilità che ci contraddistingue (ceneri). Gesù ha vinto. E ci attende. È avvolto dalla nube, ma la sua voce possiamo ascoltarla se impariamo a “salire il monte”, a ritirarci nella preghiera, se impariamo ad ascoltare il cuore e, nel cuore, ascoltare la voce dello Spirito. Come scrisse un autore ignoto del XIV secolo, Dio è “Nube della non conoscenza”, assenza della sapienza umana: non possiamo afferrarlo con i nostri concetti, ma accoglierlo col nostro amore. Entrare nella “nube” è entrare nella “paura” perché sappiamo che non possiamo gestire noi questa esperienza. Lasciamoci perciò plasmare da Lui, nostro Artista. Voce che ci vuole parlare, che vuole dirci che, anche se fragili e deboli, Lui continua a credere in noi, sempre, perché siamo e restiamo figli. L’inganno di Genesi 3 che ci fa credere che Dio non crede in noi, è stato sconfitto da Gesù. Ora si tratta di non accondiscendere alla terza tentazione, quella delle “idee” dove il diavolo tenta in ogni modo di ingannarci, illudendoci che c’è una realtà diversa. L’amore di Dio è ormai inchiodato alla croce: quelle braccia aperte resteranno sempre aperte per noi, per accoglierci nel suo amore e guidarci alla terra promessa, quella del Cielo.

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Capolavoro di Dio

Signore Dio,

viviamo in un tempo

in cui ognuno di noi insegue i propri sogni. Eppure,

quando pensiamo di averli raggiunti, sentiamo ancora sete di altro.

Di Te.

Signore Dio,

Tu solo mi conosci come nessun altro,

Tu solo scruti i meandri della coscienza e da Artista, vedi già il capolavoro

che c’è dentro la mia fragile storia. Aiutami a tirar fuori,

anche attraverso le nubi dei miei dubbi, il capolavoro che c’è in me,

quello che Tu, Signore Dio, attendi di vedere svelato in tutta la sua bellezza.

E sarà vita trasfigurata.

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Il commento al Vangelo di domenica 13 marzo 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.