don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 6 Febbraio 2022

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Cristo ha gli occhi di un pesce

“Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la Parola di Dio…”

Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la Parola di Dio, mentre si moltiplicavano incontri, predicazioni, sinodi e gruppi. Mentre la curiositĂ  rende tutto un evento, mentre ci si scandalizza per provocazioni altrui, mentre tutto ingorga in chiacchiera, un Simone qualsiasi rimane: periferico e distratto.

Che si parli di Dio, che sia Cristo in persona a predicare, che la folla si accalchi per non perdere nemmeno una sillaba, a lui non interessa. Lui rimane, marginale, a lavare le reti, segno inequivocabile della decisione di proseguire inalterata la sua vita. Che si sia preso tanto oppure niente, che ci siano pesci oppure no, la rete occorre comunque lavarla, rattopparla, renderla pronta per un nuovo tentativo. Un Simone qualsiasi non ha tempo di fare ressa, misura la propria solitudine, non sembra ne faccia dramma, disinteressato degli eventi apocalittici ripulisce la vita quotidiana per renderla capace di strappare sopravvivenza dal lago che insieme rimane possibilitĂ  e condanna.

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La chiamata del Cristo non cade mai tra i primi banchi di una chiesa, non premia i piĂą attenti, diffida dei migliori, nessuno spazio per la meritocrazia. Un Simone qualsiasi chiuso nei problemi di ogni giorno, impigliato nella sua stessa rete rimane, ma con la dignitĂ  di uno che non ha tempo e voglia di lasciarsi affascinare da scorciatoie religiose.

Gesù da predicatore-pescatore intanto si ritrova pesce assediato dalla rete della curiosità, è in pericolo. Rischiano di soffocarlo contro l’argine del lago. Ne impediscono il cammino. E così pare che la vocazione, o la chiamata, o semplicemente la vita nella sua verità sia sempre e solo incontro tra solitudini. Gesù cerca Simone. Il gruppo fa subito paura. Follia la folla che scompone la singolarità in branco.

Così è lui a pregare, Cristo prega e non Simone. Dio prega, non l’uomo. Gesù prega Simone di fargli spazio. Simone è come stupito e risvegliato. Se il pescatore alza gli occhi dalla rete è solo perché conosce gli occhi di chi è braccato, di chi vuole fuggire. Cristo ha gli occhi di un pesce prima di essere catturato. La rete rimane a riva, la barca si scosta da terra, Simone mette Dio al sicuro. La fede inizia sempre così, ci si riconosce nella paura dalla morte, c’è complicità tra chiamato e chiamante, e forse nemmeno si capisce bene chi chiama e chi è chiamato. Dio che prega di essere messo in salvo è passaggio da far tremare i polsi. Simone esaudisce, il miracolo, all’inizio è suo. Fare spazio.

“Fecero così e presero una grande quantità di pesci”

Dei pesci non importa niente a nessuno. Possiamo continuare a lucrare sulla presunta obbedienza di Simone. Possiamo elogiarne l’obbedienza, ipotizzarne il fascino che il Maestro aveva saputo operare in lui, possiamo teorizzare della fede del pescatore ma quello che succede non è altro che una condivisione di destini. Cristo rende Simone come lui, si sono riconosciuti e ora Cristo replica l’assedio di cui è stato vittima, i pesci come la folla, sono invasione, occorre mettersi in salvo per non sprofondare, per non farsi addomesticare. Se il Vangelo viene fagocitato dalla rete dell’indistinto non rimane che predicazione ammiccante e consolatoria. Quello che la gente vuole. Riempimento facile. Satura di pesci la barca come prima il predicatore era saturo di folla, impauriti, a fiato corto, Cristo e Simone bramano la stessa libertà.

Dei pesci, della loro quantità, non importa niente a nessuno, saranno abbandonati al loro destino di lì a qualche istante, quello che emerge chiaramente è la prossimità di destini tra Cristo e Simone, i due solitari condividono la stessa paura, essere schiacciati dagli eventi, essere fagocitati dalla folla, essere catturati dalle reti del mondo.

Le parti si invertono, ora è Cristo a salvare Simone. A strapparlo dall’assedio, a proporgli un cammino di solitudine. Questa è la fede. Affare di solitudini che si incontrano, terrore di capitolare nel branco, opposizione al rischio di veder trasformata la Parola in mangime. Il resto del testo, e forse di tutto il Vangelo, è una fuga in avanti, uno scivolare via dalle reti del possesso, perfino dalla rete della morte. E non è un caso che tutto possa cominciare con il movimento di Simone che è un gesto uguale e contrario rispetto a quello della folla: si allontana.

“Signore allontanati da me perché sono un peccatore”

Simone cede, si inginocchia, frana e spinge lontano Cristo, crea uno spazio, un vuoto. Lo chiama peccato, serve a creare un deserto, è la distanza utile a non soffocare. Cristo e Simone ora possono camminare senza togliersi il respiro, il peccato vero di Simone verrà dopo, più avanti, quando anche lui tenterà di prendere nella sua rete il Messia, quando crederà di possederlo, quando la sua eccessiva sicurezza lo porterà a dettare le mosse per la salvezza, peccato vero è quello di cercare di catturare il Mistero.

La folla, i pesci, le barche, tutto rimane ancorato a quel lembo di lago che stava per arpionare l’inizio. Si parte come in volo, liberi di una libertà che espone, in perenne fuga dalla folla, che tre anni dopo farà ressa a Gerusalemme per chiedere una condanna a morte. In fuga da ogni sistema, da una religione che riempie e ingombra, ci si crocifiggerà ad ali spiegate, inchiodati all’unica vocazione possibile, quella di non lasciarsi mai masticare dalle sabbie mobili delle paure umane, fossero anche devote e sacralizzate.

Il miracolo è Cristo che viene a pregarci di fargli spazio nelle nostre solitudini, che condivide le nostre stesse paure, che espone ad un volo pericoloso ed estremo. Il miracolo è il volo ed è comprensibile solo da chi ha sperimentato la paura di finire trascinato a riva dalla rete, il miracolo non è la pesca miracolosa ma che due pesci, guardandosi, siano riusciti a fuggire.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica