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don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 31 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 20, 1-9

rocifissa al legno la mia fede ingenua, io stesso mi ritrovo a deridermi, come hanno fatto i soldati con te, in cosa credevo?

Davvero mi bastava averti eletto a ultimo degli eroi?

Davvero c’è stato un tempo in cui ho creduto che bastasse morire come hai fatto tu, benedicendo i nemici, per dare senso alla vita?

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Davvero il mio cuore ha pensato che anche se il tuo sepolcro fosse rimasto gravido del tuo cadavere io avrei ugualmente avuto fede? In che cosa?

In un poetico e fallimentare sogno di giustizia?

In una romantica idea di bene naufragata contro l’ingiustizia del sistema?

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Davvero mi bastava crederti un rivoluzionario e lasciare in sospeso lo scandalo della resurrezione?

Di certo fermarsi un passo prima dell’Annuncio rende più facile il dialogo con i sapienti, con gli intellettuali, con gli atei devoti. Fermarsi al Calvario e arruolarsi per sempre nell’esercito dell’Uomo giusto e incompreso e rifiutato, ridurti a emblema di tutti i crocifissi della terra non espone certo al ridicolo. Invece io voglio essere ridicolo, come i folli che per te hanno perso la testa, e dire che io ti sento qui, e vivo, adesso.

Ancora di più, che da quel sepolcro vuoto ho scoperto che la vita è già risorta e io devo solo respirarti tra gli accadimenti del mondo. Anche le ombre sono già risorte. Perfino il male. E i miei peccati. E la morte.

Io comprendo la Maddalena, comprendo il suo andare per sepolcri, perché Tu sei, vivo, e respiri, in questa terra, in questo spazio, nel perimetro vitale del mio passaggio su questo pianeta, dove avrebbe dovuto cercarti? Non si è persa in meditazioni la Maddalena, non ha regolato il respiro al ritmo di nessuna campana tibetana, non si è immersa negli incensi, non si è smarrita tra le pagine di nessun predicatore, è franata nella vita che aveva, nel dolore che viveva, nell’unico spazio a disposizione: il tuo cimitero. Perché tu ci vieni incontro qui, adesso, ovunque.

Tu respiri, qui, ora, adesso, che fuori diluvia un pianto ininterrotto e la legna crepita nella stufa e Dulcinea dorme ai miei piedi mentre io mi sforzo di credere che sia giusto scrivere ancora, e lanciare i miei messaggi in bottiglia nel mare dei social, a profili senza volto, scuoiandosi il cuore e rovesciando la mia intimità mentre vorrei solo rimanere zitto ad ascoltarti.

Io voglio essere ridicolo, forse è per questo che scrivo, come la Maddalena che dice di essere andata al sepolcro al mattino presto e di aver trovato una pietra pesante tolta dalla bocca della morte, e Tu non eri più lì. Può fare anche male questo annuncio, bisogna stare attenti, qualcuno può dirti che siamo violenti a voler imporre la resurrezione e che la fede è un dono per pochi. Invece non siamo violenti, siamo solo matti.

Credere è accettare la follia. È pagare il prezzo dell’esclusione, è dire che la vita non muore, che ogni istante deposto nel tempo è immediatamente raccolto dall’Eterna carezza del Padre. Che non ci resta che ridere e ringraziare, che tutto è già eterno, che amata è la vittima ma anche l’assassino, che risorta è la vita già qui, ora, che tutto continuamente risorge, che bastava imparare dal Cristo che altro non ha fatto che incarnarsi per riportare ogni cosa al padre. Credere è una follia, è essere davvero “fuori di sé”, perché ogni cosa è creata per deporsi fuori da sé: nell’Eterno. Credere è una follia perché è vivere togliendo le pietre pesanti dai sepolcri del visibile, e lasciare che ogni cosa torni a casa, che con il Risorto nulla di ciò che gli era stato consegnato è andato perduto.

Credere nella resurrezione è una follia, come dar credito a occhi innamorati, che dell’amore non ci si dovrebbe fidare, trasfigura il reale, fraintende speranza e realtà. Invece Pietro ci crede e anche l’altro discepolo. O comunque si fidano. Anche loro al sepolcro. Non basta ascoltare Maria Maddalena, fidarsi di lei, bisogna andarci al sepolcro, anzi entrarci. Insomma bisogna morire. I folli sono immagine di ciò che rimane dopo che si è persa la reputazione. Per questo i matti fan paura, perché sono come fantasmi, sono ciò che rimane dopo che è morto il nostro orgoglio.

I folli vedono un sudario ripiegato e sentono che anche quei teli sono risorti, i folli vedono la realtà e sentono che tutto canta e giura “non è qui”. I matti li vedi, ma non sono già più qui. Questo è vivere da risorti.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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