don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 24 Aprile 2022

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Il mio, non il vostro

Seconda domenica di Pasqua C

Che lui arrivi mentre sono ancora chiuse le porte del nostro dolore. Che il Risorto sia vivo e presente esattamente nel cuore delle nostre miserie, che riesca a sorprendere la notte inventando un nuovo inizio. Che lui porti pace alle nostre paure, che non rinneghi il dolore delle ferite ma le trasformi in squarci di luce, che un respiro nuovo come una primavera inattesa scenda a forma di bacio a resuscitare cammini che sembravano insabbiati per sempre, che osi perfino la sfida del perdono e che noi addirittura gli si creda, anche se tutto questo sembra impossibile, alla fine si può, si può cedere e credere, si può sprofondare nella misericordia e allearsi ancora alla vita: si può.

La cosa davvero difficile è un’altra, la cosa che sembra davvero impossibile è come giustificare a chi non c’era la vita che ritorna. Come scagionare un sorriso a pochi giorni dal sepolcro? Come scusare i germogli di una vita nuova se la speranza è appena stata crocifissa e tutti l’hanno vista agonizzare e sprofondare nel sangue? Come non vergognarsi di amare ancora se il Suo corpo è stato massacrato e avvolto e sepolto? Come dire la resurrezione?

“Abbiamo visto il Signore!” dicono i discepoli a Tommaso, è vivo, l’abbiamo visto, la morte è stata sconfitta in prodigioso duello, questo proclamiamo senza sosta da duemila anni trasformando in festa il maestoso scandalo dell’amore, dissipando in augurio ciò che solo il Silenzio può custodire. E così io sto con Tommaso, starò sempre con lui. Vergognandomi per quando, come i primi discepoli, anche io ho creduto che bastasse raccontare per convincere, che dire la verità fosse già condividerla. Io sto con Tommaso perché sono stanco di chi non intuisce il dramma della morte e banalizza il lutto e non lascia il tempo al dolore. Io sto con Tommaso perché se perdi un padre, un marito, la moglie, un amico, un figlio… l’ultima cosa che ti serve è un vuoto annuncio pasquale. E se l’amore della tua vita non c’è più io, con Tommaso, ti costringerò a startene zitto e a non infastidirmi con le tue teorie sulla fede, ti obbligherò a tacere delle preghiere che ti fanno stare bene, della consolazione che ti abita il cuore, della sicurezza della tua fede che pare così sicura del paradiso ma che dimentica la compassione per chi ancora cammina su questa terra.

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Io starò sempre con Tommaso, perché sono stanco dei devoti che ripetono annunci pasquali ma sono incapaci di prossimità, di empatia, di condivisione. Io sto con Tommaso e vorrei gridare con lui che non mi importa niente se loro l’hanno visto, che sono io, e solo io, che ho bisogno di un percorso. Io e solo io devo arrivare a Lui. Solo quando sarà il mio Signore, il mio Dio. Il mio, non il vostro.

Il Risorto comprende.

Prima di tutto lui attende, otto giorni, dilata il tempo, prima di tutto silenzio, silenzio e poi ancora silenzio, a lasciare a Tommaso di ascoltare il suo dolore, di prendere contatto con il senso di colpa di essere un discepolo che non riesce a credere. Silenzio e tempo per prendere distanza dai discepoli e dalla loro mancanza di delicatezza. Che non esiste violenza maggiore di chi è troppo felice. Otto giorni, come ad ammettere che l’incontro sarà, che la resurrezione è possibile, che lo vedremo certo, ma sarà un giorno ottavo, un giorno eterno pieno e finale, e sarà oltre, oltre il ripetersi delle settimane. Nessun senso di colpa quindi, qui si crede e si sprofonda, qui si intuisce e si precipita, camminatori impacciati di questa lunga settimana che è la nostra vita: saranno lampi e poi baratri e non ci sarà dato d’essere mai troppo sicuri e occorrerà coltivare sempre l’umiltà e l’umanità, che la fede sarà comunque costantemente fragile e delicata, preziosa e vulnerabile, un balbettio. Fino al giorno ottavo, finalmente.

Intanto il Risorto appare, Tommaso è con i discepoli e il Vivente tocca il suo cuore e lo fa con una delicatezza commovente, se i primi discepoli gridavano la loro esperienza, la loro apparente sicurezza, Cristo invece parte da Tommaso. Intercetta i suoi dubbi e i suoi desideri, prende sul serio la sua vita. Ecco, questo più di tutto mi pare un passaggio essenziale: prendere sul serio la vita di fede di qualsiasi persona. Tommaso vuole mettere le dita nelle piaghe? Cristo parte da lì. Nessun giudizio, nessun senso di colpa, è il Risorto che si converte ai tempi dell’amico. Ai modi dell’amico.

“Non essere incredulo ma credente” e perfino questo può arrivare a dire Cristo, e Tommaso lo regge, è quasi un’imposizione, quasi un comando, se fossero stati i discepoli a pronunciare questa frase Tommaso non avrebbe creduto, invece cede, e non tanto perché vede il Risorto con i suoi occhi ma perché prima di credere è stato creduto. Cristo può chiedere a Tommaso di credergli perché per primo lui, il Maestro, ha creduto al modo del suo discepolo di cercarlo. Solo se siamo creduti possiamo credere, solo se abbiamo fatto l’esperienza di essere amati possiamo amare, la nostra sarà sempre e solo una risposta, timida, impacciata, ma comunque sempre e solo una risposta. Per rispondere abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda sul serio, che accetti di dimorare nei nostri dubbi, che condivida il dramma, che non abbia fretta di convincerci.

Starò sempre con Tommaso, uomo sospeso tra il vedere e il credere. Il Risorto dice che saranno beati quelli che non hanno visto eppure hanno creduto. Tommaso vede solo perché è stato creduto dal Maestro, è il credere che permette di vedere, non è vero il contrario. Per credere non occorre vedere, ma per vedere lampi di vita occorre credere: credere nelle persone, credere nei cammini, credere che gli errori possano svelare spazi di vita nuova, credere negli amori acerbi, credere nei ricordi, credere nei sogni, credere nelle vite, credere nelle parole, credere negli uomini e nelle donne che incontriamo quotidianamente, credere in sé stessi, credere nel perdono, credere nel passato, credere e dare fiducia ai semi per poter vedere i frutti (eventuali). E quindi reggere l’urto del tradimento, perché avverrà, solo chi crede può essere tradito, eppure non smettere. Decidere di non poter smettere. Come Cristo, crocifisso all’amore verso i suoi amici.

Saremo noi, a volte, i traditori dell’amore, quello sarà il momento più tragico. Arrivare a non smettere di credere neppure allora sarà davvero dura. Servirà qualcuno disposto a crederci ancora, a resuscitarci.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica