Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 3 Aprile 2022

494

DOMENICA «DEL PERDONO DELL’ADULTERA»

V di Quaresima C

Il cammino della Divina Misericordia continua anche questa Domenica; la nuova colletta sintetizza il messaggio della liturgia della Parola ricordandoci che cambiare vita e abitudini è possibile, è un dono che Cristo ci offre:

Dio di bontà,

che rinnovi in Cristo tutte le cose,

davanti a te sta la nostra miseria:

tu che hai mandato il tuo unico Figlio unigenito

non per condannare, ma per salvare il mondo,

perdona ogni nostra colpa

e fa che rifiorisca nel nostro cuore

il canto della gratitudine e della gioia.

Per il nostro Signore…

Domenica scorsa la liturgia della parola ci ha svelato il volto materno dell’amore di Dio nella commovente parabola del padre misericordioso, oggi l’Evangelo di Giovanni ci presenta Gesù nella concreta azione di dare possibilità di vita nuova. Nell’Evangelo di oggi la parabola diventa storia vera; nei gesti di Gesù si passa dalla parola in parabola alla parola vita.

Più volte abbiamo ricordato come la liturgia della Quaresima non sia soltanto un grande momento penitenziale dell’anno cristiano. La Quaresima non è solo contrizione, non è solo evocazione di un peccato che umilia l’uomo, non è solo distruzione di un passato infame; è anche e soprattutto speranza gioiosa di liberazione, è perdono fonte di pace, è tensione verso un futuro diverso.

Proprio come suggerisce, nella prima lettura liturgica, il cosiddetto Secondo Isaia, profeta anonimo del ritorno di Israele dall’esilio di babilonia (IV sec. a.C.) la cui opera è stata raccolta nel libro del famoso Isaia (cc. 40-55) : «Non ricordate più le cose passate; ecco io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (43,18-19).

Più volte Gesù ha parlato del mistero arcano della misericordia del Padre: oggi ci rivela tale mistero nel gesto concreto di un amore liberante.

Veramente grandi cose opera il Signore per noi, perdona ogni nostra colpa e fa rifiorire nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia (cfr. Salmo responsoriale e colletta).

Problemi critici storico-letterari

Il racconto dell’adultera, preso dall’Evangelo di Giovanni, definito una «perla sperduta della tradizione antica», solleva problemi di non facile interpretazione, non solo dal punto di vista del suo contenuto, ma anche da quello della critica testuale e letteraria.

  1. La pagina con ogni probabilità è stata aggiunta in seguito all’Evangelo di Gv da una mano posteriore; infatti è assente nei più importanti codici antichi degli Evangeli. Fino al IV sec. il racconto è ignorato dai Padri della Chiesa, come Origene, Ireneo (130-207), Tertulliano, Cipriano, Crisostomo (347-407), mentre è accolto nel canone da Agostino (354-430), Girolamo, Ambrogio (339-397) e lo si trova nel codice D o di Beza (secoli V-VI). Il fatto, tuttavia, che parecchi codici antichi degli Evangeli non riportino per nulla la pericope, forse può dipendere, oltre che dalla tradizione fluttuante, anche da ragioni di carattere pastorale-pedagogico. Gli studiosi ritengono che la ragione fosse la prassi penitenziale rigida della Chiesa delle origini, specie riguardo ai tre peccati gravi dell’idolatria, dell’omicidio, dell’adulterio. Infatti il comportamento indulgente e misericordioso di Gesù nei riguardi della donna accusata di adulterio così com’è evidenziato nell’ episodio, poteva indurre a sminuire la gravità di questo peccato.
  2. L’opinione comune tra gli esegeti non riconosce (per ragioni stilistiche e dottrinali) il testo come giovanneo; non mancano però voci contrarie e dissenzienti. Il racconto fu inserito in un momento successivo alla prima stesura dell’Evangelo, anche se certamente librano si fonda su una solida tradizione storica ed è in armonia con le narrazioni e le parabole dell’evangelista Luca, a causa della centralità del tema della misericordia (cfr. Lc 7,36-50). L’ambiente di origine è quello giudeo-cristiano; il genere letterario è fra il racconto biografico e l’apoftegma (da apophténgomai = io dichiaro apertamente; motto breve ed arguto; massima memorabile). Il linguaggio e la descrizione dei personaggi avvicinano il racconto ai sinottici.

Prescindendo però dal fatto che il brano interrompe il discorso di Gesù, in occasione della festa delle Capanne (cc. 7-8, che stiamo leggendo nel feriale), il testo è in linea con la teologia giovannea e serve a commentare egregiamente quanto il 4° evangelista ha già detto: «Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17).

L’inserimento poi dell’episodio a cavallo tra i cc. 7 e 8 sembra sia stato motivato dal testo di Gv 8,15: «Io non giudico nessuno, e se giudico, il mio giudizio è vero» e da altri testi, riguardanti il tema del giudizio presente in questi capitoli (cfr. 7,2431; 8,15-16.26.50) .

La storicità dell’episodio biografico non è, però, contestabile; anzi, l’evento può essere considerato come una testimonianza molto viva ed autentica del Gesù della storia e del suo costante atteggiamento verso peccatori ed emarginati.

Analisi strutturale

Dando uno sguardo d’insieme all’episodio, possiamo dividere il nostro testo in tre parti:

  • ambientazione della scena (7,53-8,2),
  • accusa degli scribi e dei farisei contro l’adultera (8,3-9),
  • dialogo tra Gesù e la donna con sentenza di assoluzione (8,10-11).

Tra il passo iniziale e quello finale possiamo notare una corrispondenza, che è data dall’ammaestramento di Gesù (8,2) e dalla sentenza di perdono (8,11).

Abbiamo, in questo modo, un’inclusione tematica di carattere sintetico, perché le espressioni finali, con le quali Gesù pronunzia un giudizio di misericordia e non di condanna, mostrano il contenuto della dottrina del Maestro: egli insegna il perdono di Dio ed esorta a non peccare più.

Nella drammatica scena centrale (8,3-9) rileviamo innanzi tutto l’inclusione formata dalle espressioni iniziali (v. 3) e quelle finali (v. 9), nelle quali si parla della donna che sta in mezzo, davanti al Maestro.

Ecco i testi in sinossi:

Gli conducono una donna… e, postala nel mezzo (8,3), Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo (8,9).

Si osservi la corrispondenza tra la denuncia dell’adulterio della donna da parte dei farisei (8,4) e la sentenza di Gesù sullo stato di peccato degli accusatori (8,7b).

Notiamo anche il parallelismo sinonimico tra il comando della legge di lapidare le adultere (8,5) e la frase del Maestro di scagliare la prima pietra sulla peccatrice (8,7c). In modo analogo è evidente la corrispondenza tra 8,6c e 8,8, come appare dai testi posti in sinossi:

Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra (8,6)

E chinatosi di nuovo, scriveva per terra (8,8).

In base a questi elementi letterari possiamo strutturare il brano dell’adultera perdonata secondo lo schema allegato in seguito.

Esaminiamo il brano

7,53-8,2 – i versetti introduttivi, come vedremo di seguito, non contengono nessun elemento esclusivamente giovanneo; anzi la descrizione appare di carattere sinottico e più specificatamente lucano.

«tornarono ciascuno a casa sua»: La scena riferita in Gv 7 si era conclusa con la discussione tra Nicodemo e i capi sulla dignità messianica di Gesù. Il v. 53 del c. 7 contiene la notizia descrittiva sullo scioglimento dell’assemblea dei sommi sacerdoti e dei farisei; ognuno se ne andò a casa sua.

«Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi»: Mente i sinottici narrano che Gesù con i discepoli è andato più di una volta su questo colle, anzi il terzo evangelista c’informa che questa era un’abitudine del Maestro, soprattutto nell’ultima settimana della vita di Gesù (cfr. Lc 21,37; 22,39 At 1,12), nell’Evangelo di Gv non si parla altrove del monte degli Ulivi.

«all’alba si recò di nuovo nel tempio»: la notizia che Gesù era mattiniero e si levava prima dell’alba, trova riscontro in Mc 1,35; mentre l’osservazione che Gesù insegnava nel tempio, si trova spesso nel 4° Evangelo, anche se non è ignota ai sinottici (cfr. Gv 7,14.28; 8,20; 18,20; Mc 12,35; 14,49; Lc 19,47; 20,1; 21,37).

«tutto il popolo andava da lui»: questa notizia ricorre frequentemente soprattutto in Luca (cfr. 4,42; 5,15; 8,4; 14,25; 19,48; 21,38).

«sedutosi, li ammaestrava»: in modo analogo Luca annota più di una volta che il Maestro insegnava seduto (cfr. Lc 4,20; 5,3) mentre il Cristo giovanneo ammaestrava in piedi (cfr. Gv 7,28.37).

3-9 – Negli Evangeli non ricorrono altri casi del genere. In Lc 7,37ss è narrata la conversione della pubblica peccatrice, che piange le sue colpe ai piedi di Gesù, ma questo brano può considerarsi solo vagamente simile a quello narrato in Giovanni. Le analogie tra i due racconti appaiono molto tenui: la donna di Gv 8,3ss è stata colta in flagrante adulterio, mentre la peccatrice di Lc 7,37ss era ina prostituta. Invece nella storia di Susanna (Dn 13) troviamo molti paralleli con il brano dell’adultera perdonata.

«scribi e farisei»: questa dizione è tipica dei sinottici, in particolare di Matteo che la usa 7 volte, di cui 4 nel discorso polemico contro di loro (cfr. Mt 23), mentre negli scritti giovannei, gli scribi sono ignorati del tutto, se si eccettua questo passo. Il 4° Evangelista parla spesso dei giudei e dei farisei, ma non conosce gli scribi, i sadducei e gli erodiani.

«una donna»: la maggior parte degli esegeti pensa si tratti di una donna sposata; solo alcuni pensano, ma senza solidi fondamenti, che fosse una fidanzata (cfr. Dt 22,23-24 dove le fidanzate adultere sono condannate alla lapidazione).

«sorpresa in adulterio»: L’adulterio nella cultura giudaica, come negli ordinamenti sociali dei più antichi codici legislativi (cfr. ad es. codice di Ammurabi), era considerato una colpa da punire severamente specie nei riguardi della donna, vista come proprietà del marito. La donna sposata, infatti, è la garante dell’integrità familiare e della stirpe e l’adulterio violava, oltre al proprio matrimonio, tutto questo. L’uomo, invece, commetteva adulterio solo quando si univa con una donna sposata o con una fidanzata di un altro uomo (il fidanzamento era il primo atto del matrimonio), perché ciò ledeva la sfera dei diritti di proprietà dell’altro. Nel caso di una fanciulla vergine, che non fosse cioè fidanzata, era possibile un accomodamento meno sanguinario (Dt 22,28-29).

La legge mosaica appare molto esplicita nella condanna degli adulteri: essi devono essere messi a morte, anche se non è determinato quale genere di morte: la lapidazione o strangolamento o rogo o spada (cfr. Lv 20,10; Dt 22,22). Solo per la fidanzata infedele è prevista la pena della lapidazione (cfr. Dt 22,23-24); in Ez 16,38-40 si parla della lapidazione e della morte di spada per la sposa adultera; il targum dello pseudo-Jonathan in Lv 20,10 prevede lo strangolamento per l’adulterio con una donna sposata e la lapidazione per l’adulterio con una fidanzata.

Nel decalogo l’adulterio è punito sia nell’atto che nel desiderio (cfr. Es 20,13.17; Dt 5,18.21).

Nella legge ebraica la condanna assoluta dell’adulterio e il richiamo alla fedeltà totale della donna fin dall’antica alleanza sono stati sempre posti in relazione al patto dell’alleanza, tanto che la fedeltà coniugale della donna nel mondo giudaico simboleggia la fedeltà che Dio si aspetta dal suo popolo eletto.

I profeti spesso presentano l’alleanza di amore fedele che unisce l’uomo a Dio sotto il simbolo di un matrimonio indissolubile (cfr. Os 2,21-22; Is 54,5-6). L’infedeltà di Israele all’alleanza con Dio è, infatti, biasimata dai profeti come un adulterio e una prostituzione (cfr. Os 4,10; Ez 23,43-45; Is 57,3).

«postala in mezzo»: gli esegeti non sono in grado di stabilire se il processo contro la donna sia già avvenuto, e quindi gli scribi e i farisei stiano conducendo l’adultera fuori della città per lapidarla, oppure se la stiano accompagnando in tribunale. In merito l’evangelista non dice nulla in modo esplicito, quindi si possono proporre solo ipotesi: probabilmente non era stato pronunciato il giudizio ufficiale del tribunale religioso. Bisogna tener presente che dal 30 d.C. era stato tolto al sinedrio lo «jus gladii» (cfr. Gv 18,31).

«Tu che ne dici?»: l’interrogativo posto a Gesù dagli scribi e dai farisei è volutamente insidioso; costoro vogliono far cadere il Maestro in un tranello, costringendolo ad esprimersi contro la Torà o contro l’adultera. Lo stesso Evangelista al v. 6 mette in evidenza le intenzioni malevoli di quei giudei.

Nel 4° Evangelo non sono riportati altri casi simili, mentre nei sinottici sono frequenti (cfr. Mc 8,11 e par.; 10,2 e par.; 12,13 e par.). Se Gesù si comporta con misericordia tradisce la legge, che egli stesso aveva detto di non voler abrogare ma compiere; se segue la legge e la severità, dando corso alla lapidazione, perde quell’alone di mitezza e di bontà che tanto affascina la gente, oltre che trasgredire il diritto romano che vietava ai giudei di condannare a morte, passando così per un rivoluzionario.

«si mise a scrivere col dito per terra»: Gesù però non abbocca, non proferisce parola e col dito scrive per terra. Oual è il senso di quel gesto? Fiumi di inchiostro sono stati versati per sapere che cosa Gesù abbia scritto; tra le diverse soluzioni, talora molto ingegnose, ma poco probabili ne ricordiamo due:

  1. secondo alcuni, fra i quali S. Girolamo, Gesù voleva ricordare simbolicamente Ger 17,13, dove si dice che i nomi dei peccatori sono destinati alla morte;
  2. altri pensano all’usanza romana, secondo cui il presidente del tribunale scriveva per sé la sentenza, prima di pronunciarla. Non pretendiamo tuttavia di voler leggere nel testo sacro ciò che non si trova; l’Evangelista non dice nulla sul contenuto della scrittura di Gesù.

Non è improbabile però che Gesù, con il gesto di scrivere, abbia voluto manifestare il suo desiderio di non intervenire (8,15) o mostrare la sua imperturbabilità e l’indignazione per l’ipocrisia così evidente.

Un gesto profetico quindi che si riferirebbe non ai peccati, ma ai peccatori.

«chi è senza peccato scagli per primo la pietra»: la folla preme convinta di aver incastrato Gesù e allora questi “alzato il capo dà la risposta”. Questa inattesa risposta, degna del Figlio di Dio per la saggezza, la semplicità e la profondità, mette nel sacco i nemici del Maestro, togliendo loro ogni arma per condannare sia l’adultera che Gesù.

L’espressione «scagli per primo una pietra» riecheggia il versetto di Dt 17,7 (e Dt 13,10), dove si ordina che i testimoni oculari devono dare inizio all’esecuzione della condanna a morte e poi tutto il popolo.

La legge è rispettata, ma non a opera dei prevaricatori della legge; questa è la voce della giustizia. Quale uomo infatti è senza colpa? Paolo dichiara che tutti sono sotto il dominio del peccato, non c’è nessuno giusto, nemmeno uno (Rm 3,9s); Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza (Rm 11,32) e nel peccato (Gal 3,22).

«scagli»: attivo imperativo aoristo positivo: ordina di dare inizio ad un’azione nuova.

«Rimase solo Gesù con la donna»: nella sua brevità questo v. è di una ricchezza e bellezza estrema.

Basti il commento lapidario di S. Agostino: «Relicti sunt duo, misera et misericordia» (Tractatus 33,5: CCL 36,309). Il dettaglio sui più anziani forse vuol insinuare che costoro erano più assennati e quindi capirono per primi la lezione del Maestro. Forse non è del tutto fuori posto l’insinuazione alquanto salace che, col crescere degli anni, si accumulano anche i peccati. Qui però potremmo avere anche un’eco della storia di Susanna, nella quale gli anziani che tentarono di sedurre la donna sono presentati come uomini perversi, invecchiati nel male, pieni di peccati e di iniquità.

10-11 – Rimasto solo con la peccatrice, Gesù si alza in in piedi e con bontà fa notare alla donna che nessuno degli accusatori l’ha condannata. Strapazzata dalla folla e incapace di reagire è tranquillizzata da Gesù che cerca di mettere quell’infelice a suo agio e disporla a comprendere la sua colpa.

«Neppure io ti condanno»: Gesù avrebbe potuto condannare l’adultera, perché egli è l’unico uomo senza peccato; però preferisce assolverla. Il Maestro in questo caso si mostra come il Dio che non vuole la morte del peccatore, ma desidera la sua conversione, affinché possa vivere felice (cf. Ez 18,23; 33,1 l; Sap 11,23.26; Sal 103,8.13-14). In realtà Gesù è il Figlio dell’uomo venuto per salvare ciò che era perduto (cf. Lc 15,24.32; 19,10 ).

«Va…»: imperativo presente negativo: ordina di non continuare un’ azione già iniziata; non tanto di peccare quanto commettere questo peccato. L’esortazione del maestro a non peccare più in Giovanni è già stata rivolta all’infermo guarito presso la piscina di Betzatà (Gv 544).

Il silenzio del testo sui sentimenti della donna non soltanto mette in evidenza la gratuità dell’assoluzione da parte del Signore, ma lascia tutto lo spazio all’azione salvatrice di Gesù. La conversione è proprio questo taglio netto col passato e nell’incamminarsi sulla nuova via.

Dio, ancora una volta, si pronuncia a favore della vita dei suoi figli; per questo ognuno di noi, come scrive Paolo, può «dimentico del passato e proteso verso il futuro, correre verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (II Lett).