Commento al Vangelo del 17 agosto 2014 – Paolo Curtaz

Ventesima domenica durante l’anno

Is 56,1-7/Rm 11,13-15.29-32/Mt 15,21-28

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Cani e guru

Lo straniero ci inquieta, ci scomoda, ci preoccupa, ci inquieta.

Ogni straniero.

Ha abitudini diverse dalla nostra, parla una lingua incomprensibile, non conosciamo la sua cultura, le sue abitudini.

Certo: il concetto di “straniero”, oggi, è decisamente cambiato. Dalle mie parti, fino al dopoguerra, era straniero uno che veniva dalla vallata vicina. Poi lo divenne chi proveniva da una regione italiana. Poi da un paese europeo confinante. Ieri al supermercato ho incontrato un mio ex-alunno, un bravissimo ragazzo appassionato di agricoltura e di montagna, che mi ha presentato sua moglie, una brasiliana conosciuta in un progetto internazionale.

Davanti allo straniero possiamo compiere lo sforzo del confronto oppure della chiusura.

Come Israele.

Melograno

Israele si considerava un popolo eletto, scelto da Dio in mezzo agli altri popoli.

Alcuni aggiungevano: per svelare al mondo il vero volto di Dio.

I rabbini dicevano che in un giardino di alberi che non avevano prodotto alcun frutto, il padrone trovò un unico melograno, ma che questi era talmente dolce che, per merito suo, decise di salvare tutti gli alberi.

Ma questa particolarità, almeno nei primi secoli, si era trasformata in Israele in una chiusura ossessiva: nessuna alleanza con altri popoli era possibile, nessun matrimonio misto era autorizzato per non contaminare il popolo. fu l’esilio in Babilonia a cambiare prospettiva: gli ebrei prigionieri in quella terra videro che anche i pagani avevano dei valori morali e che le loro credenze religiose portavano in sé qualcosa di positivo che, addirittura, finì con l’influenzare l’evoluzione della fede ebraica.

Il profeta che incontriamo oggi nella prima lettura, uno dei tre che scrisse il rotolo di Isaia, è uno di coloro che superò la mentalità ristretta del popolo e profetizza: ogni pagano avrà accesso al tempio.

Anche ai tempi di Gesù la situazione era simile: da una parte una società meticcia era dominante in Israele, dall’altra forti spinte conservatrici arroccavano la fede ebraica su posizioni difensive.

I primi cristiani dovettero litigare non poco per capire quale fosse la volontà di Gesù: rivolgersi alle sole pecore di Israele, come anch’egli aveva fatto, o aprirsi ai pagani, come sembrava indicare una serie di suoi atteggiamenti?

Il confronto fu aspro ma, grazie allo Spirito, alla cocciutaggine di san Paolo e al buon senso, si capì che il cristianesimo era rivolto all’intera umanità.

Meno male!

Cagne

In questo contesto leggiamo oggi un imbarazzante vangelo in cui Gesù tratta duramente una donna cananea, non soltanto straniera, ma appartenente a uno dei popoli storicamente ostili agli ebrei. Gesù è sgradevole nel suo rifiuto, insultante: prima non le rivolge la parola, poi dice di essere venuto solo per il popolo di Israele, infine apostrofa la donna con il titolo dispregiativo di “cane”.

Mamma mia! Gesù è un gran maleducato? Un lunatico che non vuole essere disturbato?

Eppure alla risposta della cananea Gesù si scioglie, le rivolge un complimento che mai aveva rivolto ad un israelita! È grande la sua fede, grande perché ha superato la prova.

Conversioni

È come noi, la cananea.

Non è una discepola, non le importa molto di chi sia Gesù, di cosa faccia, di cosa parli.

Ha un grave problema e Gesù, dicono, potrebbe risolverlo. Cosa serve di più?

È insistente, come si fa con le divinità, con i guru. Rispettosa e zuccherosa, per blandire, per convincere.

Come facciamo noi quando, tiepidi e scostanti, ci troviamo di fronte ad un grave problema e, subito, diventiamo fervorosi: sgraniamo rosari, promettiamo pellegrinaggi, accendiamo ceri votivi per convincere la distratta divinità ad occuparsi di noi.

Ed è lì, in quel momento, che Dio tace.

Perché mai dovrebbe occuparsi di noi? Deve prima occuparsi dei suoi figli! Dei suoi discepoli!

La provocazione di Gesù è un pieno schiaffo alla cananea.

E lei che fa?

Io mi sarei offeso, me ne sarei andato bestemmiando e maledicendo quell’arrogante profeta.

La donna no, riflette.

Ha ragione, certo. È proprio un cane nel chiedere un favore senza farsi mai vedere.

Ha ragione, il Maestro. Ma a volte anche i cani possono leccare le briciole che cadono dalla tavola dei figli.

Sorride, ora, Gesù.

Questa donna ha capito.

La Parola di oggi ci insegna che Dio vuole dei figli, dei discepoli, non dei devoti che ricorrono a lui solo quando sono in difficoltà! Il nostro Do non è un potente guru da blandire, ma un pastore che sa dove condurci!

La Parola di oggi ci guarisce dalle derive xenofobe che aleggiano nella nostra Europa e nella nostra Italia e rimette le cose al proprio ordine; problema non facile da affrontare, certo, ma che va comunque dibattuto dal punto di vista della Scrittura: tutti siamo stranieri davanti a Dio.

E chi sa che la nostra testimonianza di fedeltà e di pazienza, come lo è quella di Israele, come lo è quella di Gesù, non diventi per il fratello non credente stimolo alla riflessione e all’accoglienza del Rabbì che ci ha cambiato il cuore.

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