Commento al Vangelo di domenica 4 marzo 2018 – ElleDiCi

IL «PERCHÈ» DEI COMANDAMENTI

I comandamenti

Cominciamo dalle cose più note e più semplici (o almeno, che si credono tali): i comandamenti di Dio. La 1ª lettura ne dà l’elenco. E un testo antichissimo, ma sempre valido e attuale. Gesù vi si richiama espressamente (Mc 10,19 par.). Anche oggi dobbiamo riconoscere e adorare il Dio unico, rispettare il suo nome, santificare il giorno a lui consacrato, rispettare i genitori, evitare l’omicidio, l’adulterio, il furto, la bugia, i desideri cattivi.

C’è chi considera retriva la Chiesa, in primo luogo la gerarchia, perché continua a insegnare i comandamenti e a denunciare come peccato la violazione dei precetti di Dio. Ma la Chiesa non può far diversamente dai profeti dell’Antico Testamento, che non si stancavano di alzare la voce contro gli adoratori degli idoli, i profanatori del sabato, gli oppressori dei deboli; da Giovanni il Battezzatore, che rinfacciava a Erode la sua condotta di adultero scandaloso; da Paolo, che dichiara: «Né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). Tuttavia il cristiano non può fermarsi alla lettera dei dieci comanda-menti. Gesù non abolisce la legge, ma, confermandola, la perfeziona. Non condanna solo chi uccide, ma chi si adira contro il fratello, chi lo disprezza e lo insulta. Non solo chi commette adulterio, ma «chiunque guarda una donna per desiderarla» (cf Mt 5,18.21-22.27-28). Tutti i comandamenti sono da osservare, ma è necessario soprattutto confrontarci con il comandamento dell’amore, nel quale tutti i comandamenti si riassumono e trovano compimento (cf Rm 13,8-11). Al dottore della legge che lo interroga: «Qual è il più grande comandamento della legge?», Gesù non risponde citando qualcuno dei dieci elencati nell’Esodo, ma il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo e soggiunge: «Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,34-40).

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Se non si dà il primato all’amore può capitare a noi quello che è capitato al fariseo, che osservava non solo i dieci comandamenti ma le prescrizioni più minute della tradizione, eppure non ottenne con la sua preghiera presuntuosa la grazia del Signore (cf Lc 18,10-14). «Ama, e fa’ quel che vuoi!». Ma ama veramente: ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo come te stesso, ama come ci ha amati Gesù (cf Gv 13,34; 15,12).

Dalla fede l’amore

Mi ha fatto pensare l’osservazione udita, in un’adunanza, dalla bocca d’un operaio: «Nelle prediche, negli scritti, i vescovi e i preti ci dicono continuamente: dovete fare questo e quest’altro, non fare questo e quest’altro… Ma noi vorremmo che ci aiutassero a capire il perché di quello che dobbiamo fare e non fare». Ora vogliamo domandarci: i comandamenti hanno un perché?

Una prima risposta è nel testo dell’Esodo, all’inizio della 1ª lettura: «lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù». E, poco dopo, ancora: «Io, il Signore, sono il tuo Dio». Agli Ebrei Dio ricordava la sua signoria suprema sul popolo che aveva scelto come suo, ricordava i benefizi di cui l’aveva colmato, in primo luogo la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. A noi Dio ricorda che egli è nostro Padre, che, come è stato ripetuto prima della lettura del Vangelo, «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; chi crede in lui ha la vita eterna». Con quelle parole misteriose, che i Giudei non capirono: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», Gesù alludeva, come nota l’evangelista, alla morte che l’attendeva, prova suprema del suo amore per noi: «Mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). L’osservanza dei comandamenti è la risposta, nei fatti, all’amore di Dio e la prova del nostro amore per lui: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15).

Perché osservare i comandamenti? Perché ci sono stati dati per il nostro bene, come ci assicura il salmo responsoriale: «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima… Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi». Ma queste ragioni che ho accennato valgono se c’è la fede.

«Credettero nel suo nome»

Per osservare i comandamenti, per amare, bisogna credere: con quella fede «che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6).
Serve ben poco ripetere «Devi, non devi», se chi ascolta non vede la ragione del precetto o del divieto (non dico che quando se ne vede la ragione l’adempimento del dovere sia assicurato… ). Di qui la necessità, mai abbastanza ribadita, d’una catechesi appropriata che valga a formare la coscienza e renderla sensibile alla voce del dovere. Una catechesi che abbia per centro, come quella di Paolo, «Cristo crocifisso… potenza e sapienza di Dio», non la sapienza degli uomini.

Scandalo e stoltezza

Ma Paolo, fedele alla sua missione di predicare Cristo crocifisso, non si cullava nell’attesa di facili successi. La sua predicazione si rivolgeva sia agli Ebrei, la gente della sua stirpe, sia ai Greci, cioè ai popoli pagani di cui pure non ignorava la cultura e la mentalità, ma i risultati erano modesti. Nell’un campo e nell’altro l’annunzio di Cristo crocifisso urtava contro ostacoli che solo a fatica, e non sempre, riusciva a superare.
Gli Ebrei chiedevano i miracoli: come quelli che a Gesù, quando cacciava i mercanti dal tempio, domandavano: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». E come Gesù rispondeva, in linguaggio cifrato, alludendo alla morte che l’attendeva e alla risurrezione, così Paolo ora parla apertamente di Gesù crocifisso; in questa stessa lettera proclamerà poi la sua risurrezione. Ma immaginare che il Figlio di Dio, l’Onnipotente, l’Eterno, potesse morire era cosa scandalosa ed empia. Di fronte ai Greci, orgogliosi d’una tradizione di pensiero filosofico, d’arte e di eloquenza, in cui vantavano il primato, era difficile che Paolo, «profano nell’arte del parlare» (2 Cor 11,6), non sfigurasse e che quanto diceva non suonasse «stoltezza», mentre essi cercavano «sapienza». L’apostolo ne aveva fatto pochi anni prima un’esperienza bruciante, quando il suo discorso agli Ateniesi, condotto con impegno e non senza dotti richiami al loro mondo culturale, era stato accolto con scetticismo e addirittura con derisione, pur conquistando alla fede un piccolo gruppo. Commenta san Giovanni Crisostomo: «Credere in uno che fu crocifisso e seppellito ed essere ben certo che proprio lui è risuscitato e siede lassù, non è frutto di sapienti ragionamenti, ma di fede. Gli apostoli non sono venuti armati di sapienza, ma di fede». Anzi, la saggezza umana può costituire un ostacolo alla fede quando non sia accompagnata dall’umiltà.

La parola di Paolo è sempre attuale, e oggi più che in un passato non lontano. Basta pensare ai mezzi di comunicazione sociale per renderci conto dell’atteggiamento della grandissima parte del mondo d’oggi. Mi riferisco specialmente agli ambienti che contribuiscono a formare la mentalità verso la Chiesa che annunzia Cristo crocifisso. Per molti è cosa pacifica che i cattolici sono cittadini di serie B, gente fuori del tempo, arroccata su posizioni retrive e schiava di tabù che la cultura moderna ha largamente superato. Non dico che la Chiesa, che noi non abbiamo una grave responsabilità quando nel nostro an-nunzio siamo lontani dalla forza e dalla coerenza di Paolo, ma è pur vero che il messaggio suscita anche oggi scandalo, è anche oggi rigettato come stoltezza. A parte le deficienze degli uomini, è il Vangelo stesso che si presenta come un paradosso e una sfida quando pretende di distruggere «i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo» (2 Cor 10,5).

Dio aveva già proclamato per bocca del profeta: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie: oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre, i miei pensieri sovrastano i vostri» (Is 55,8-9). E allora dovremo ritirarci e tacere, già sapendo che non saremo ascoltati? Risponde ancora Paolo: «Le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze» (2 Cor 10,3-4). Perché «ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini». Forti della «debolezza» di Dio, non esiteremo a presentare integralmente il suo messaggio; cercheremo prima di tutto di accettarlo noi stessi con umiltà, con amore.

Cioè, non semplicemente con un atto di fede teorica, ma con l’impegno sincero e costante di attuare questo messaggio nella vita d’ogni giorno, a livello sia individuale che sociale. Per rifarci al tema della «Quaresima di fraternità», cercheremo di prendere sul serio e di portare ciascuno di noi il proprio contributo per attuare la parola di Paolo VI: «Oggi, è suonata l’ora perché si prenda una decisione energica e senza scappatoie in questa stessa direzione. Forse, quel che il senso della solidarietà o piuttosto un’elementare giustizia sociale (la quale non consiste solamente nel “non rubare”, ma anche nel saper dividere) non hanno ancora ottenuto, finiranno per imporlo i pericoli dell’ora presente?».

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
della Terza Domenica di Quaresima – Anno B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 4 Marzo 2018 anche qui.

Gv 2, 13-25
Dal Vangelo secondo Giovanni
13Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 17I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 23Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 04 – 10 Marzo 2018
  • Tempo di Quaresima III
  • Colore Viola
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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