Commento al Vangelo del 28 Aprile 2019 – d. Giacomo Falco Brini

CONFIDA IN ME

Misericordia Divina. Mistero insondabile, imperscrutabile, imprevedibile, insuperabile. Giovanni Paolo II ha ufficialmente istituito questa festa il 20 aprile del 2000; in realtà ha obbedito a una precisa volontà divina che si è manifestata facendosi largo nella vita di una suora polacca, S.Faustina Kowalska, cui ha affidato tante altre rivelazioni. Il desiderio del Signore che si celebrasse la festa della Misericordia Divina nella 2a domenica di Pasqua è legato all’immagine, ormai diffusa in tutto il mondo, che rappresenta il Signore Gesù così come un giorno si è manifestato alla suora. Anche il dipinto dell’immagine è stato esplicitamente richiesto da Gesù. Poi, come ogni altro dono celeste, tutto è passato nel tesoro della Chiesa solo a caro prezzo. S.Faustina e il suo messaggio hanno dovuto soffrire molto prima che passassero nella vita ecclesiale quale veritiera esperienza di Dio.

Troviamo annotata per la prima volta l’espressione di questa volontà divina nel Diario di S.Faustina, precisamente nel febbraio 1931, quando viveva nel convento di Plock. “Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l’immagine, che farai dipingere con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia” (Gesù a Santa Faustina Kowalska, Diario, Q.I, 49). Negli anni successivi  Gesù è ritornato a fare questa richiesta a Sr.Faustina addirittura in 14 successive apparizioni, definendo con precisione il giorno della festa nel calendario liturgico della Chiesa, la causa e lo scopo della sua istituzione, il modo di prepararla e di celebrarla, come pure le grazie ad essa legate. E’ evidente che il Signore stesso vuole che la Chiesa ricordi il profondo legame tra l’opera redentiva dell’umanità da Lui compiuta e il suo Amore Misericordioso.

Il vangelo della 2a domenica di Pasqua sta a fondamento di questo legame. L’incertezza dei discepoli dopo i primi resoconti visivi sulla tomba vuota viene lacerata dalla presenza di Gesù Risorto che, in mezzo ad essi, comunica la pace mentre offre la visione delle sue stigmate (Gv 20,19-20). Il dono dello Spirito sigilla la missione a loro affidata e imperniata sulla Divina Misericordia: essi sono uomini perdonati, possono pertanto perdonare a loro volta nel suo nome, poiché sono  chiamati a condividere con ogni uomo l’indicibile esperienza di questo amore (Gv 20,21-23). Se Gesù presenta subito il perdono dei peccati come chiave della missione, significa che dovrà essere al centro della loro opera evangelizzatrice: qualora infatti annunciassero il volto di un Dio che non fosse Amore e Misericordia, tradirebbero la propria vocazione e missione.

Perciò credo si debba ringraziare Tommaso, assente dal gruppo degli apostoli alla prima apparizione di Gesù (Gv 20,24). Leggo la sua assenza come espressione ancora più chiara dell’incertezza/incredulità che regnava in tutti riguardo al Signore sparito dalla tomba. Incertezza e incredulità che emergono con forza quando i suoi fratelli gli raccontano di aver visto il Signore. Tommaso non riesce a fidarsi della loro sola testimonianza. Il suo reclamo è puntuale: se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo (Gv 20,25). Che poi, forse vuol dire più o meno questo: “a voi ha fatto vedere le mani e il fianco? Perché allora non posso vederli anch’io? Voglio vedere con i miei occhi e toccare con le mie mani come sia possibile che dei segni di morte siano adesso segni di vita”. Già, hai ragione Tommaso, proprio qui sta il problema. Come è possibile che le terribili ferite inferte al Signore dal nostro peccato siano diventate fonte di luce, gioia, pace e benedizione? Questa è veramente una questione di fede!

Gesù viene incontro alla debolezza di Tommaso, debolezza non diversa da quelli degli altri discepoli e dalla nostra. La posta in palio è troppo importante, ne va dell’immagine di Dio che anche Tommaso dovrà annunciare, quindi gli ripresenta mani e fianco invitandolo a guardare e toccare, ovvero a credere (Gv 20,26-27). Tommaso crolla in ginocchio esclamando: mio Signore e mio Dio! (Gv 20,28) Il discepolo si è convinto: il suo maestro crocifisso è vivo, le sue piaghe sono il timbro comprovante che è la stessa persona! Quelle ferite non lo hanno cambiato, Gesù gli parla ancora con amore! Ma aggiunge: perché mi hai veduto hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto (Gv 20,29) Il Signore proclama la beatitudine di tutti coloro che credono alle sue parole senza vedere, ci siamo dentro anche noi! Tuttavia, sempre fedele a sé stesso e a noi, nelle rivelazioni a Sr.Faustina Kowalska, ancora una volta, viene incontro alla debolezza della nostra fede. In quell’immagine fatta dipingere per suo volere continua a cercare l’uomo, conferma di volergli usare a tutti i costi misericordia, anzi, offre la sua misericordia come ultima ancora di salvezza, anche se la condizione dell’uomo fosse apparentemente irrimediabile: «II peccatore non tema di avvicinarsi a Me. Anche se la sua anima fosse come un cadavere in piena putrefazione, se umanamente non ci fosse più rimedio, non è così davanti a Dio. Io sono tutto Amore e Misericordia. Nessun peccatore, fosse pure in un abisso di abiezione, mai esaurirà la Mia Misericordia, poiché più vi si attinge, più aumenta. Il peccatore, anche se i suoi peccati fossero neri come la notte, rivolgendosi alla Mia Misericordia, Mi glorifica e onora la Mia Passione». (Gesù a Santa Faustina Kowalska, Diario, Q.V, 1448)

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