Commento al Vangelo del 13 dicembre 2015 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 13 dicembre 2015, terza domenica di Avvento, a cura di Paolo Curtaz.

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Terza Domenica di Avvento

[ads2] Lc 3, 10-18
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 13 – 19 Dicembre 2015
  • Tempo di Avvento III, Colore viola
  • Lezionario: Ciclo C, Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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Cambiamenti

È un avvento strano, bella scoperta.

Sottotono, forse. Stordito, da un certo punto di vista.

Viviamo come in una bolla, ormai assuefatti dalle tante notizie che arrivano dai quotidiani. Dobbiamo vivere come sempre, ci dicono i nostri governanti. Sì, giusto, abbastanza. Ma intanto la gente si arrangia, annulla viaggi, ci pensa due volte prima di partecipare ad un concerto.

E il Natale, qui?

Domenica scorsa cercavo di proporre a me e a voi una cosa semplice: lasciare che sia la Parola ad interrogarci, ad illuminare, non le parole del mondo, tante, alcune azzeccate, ma molte di più quelle aggressive, urlate, giudicanti, inutili.

Prendere sul serio la Parola, una volta tanto.

Ce lo ha dimostrato Francesco che è andato dalle sue pecore ferite in Africa, senza paura dei lupi, non temerario od arrogante ma consapevole della verità del Vangelo. A parlare di pace, di giustizia, di solidarietà a gente che vive nella paura perenne e nella povertà.

Insomma: prendiamolo sul serio questo Natale.

Se ci sarà un inutile regalo in meno, qualche decibel di emozione in meno, e qualche istante di autenticità in più, di anima, di verità, di compassione, allora anche questa follia che è il terrorismo ci avrà richiamato alle cose vere, autentiche. E quei valori che diciamo di voler difendere non si ridurranno a voler prendere un mojito in santa pace, cosa legittima, ma a credere che l’uomo è più di quel che produce, di quel che consuma, di quel che odia.

Difficile? Vero.

Ma si può gioire ugualmente, sul serio.

Sofonia e Paolo

Oggi è la domenica della gioia.

Perché la liturgia alza lo sguardo, gioisce per la venuta di questo Dio che non si stanca dell’umanità rissosa e incoerente. Felicità che è uno dei temi ricorrenti nella Bibbia e che tutti accomuna.

(Anche di quegli idioti che si illudono di trovarla dopo essersi uccisi ed avere ucciso in nome di dio)

Nella Bibbia si usano più di venticinque termini per descrivere la felicità. Così, per ricordare a noi cattolici spesso depressi e dolenti che la fede ha a che fare con la gioia.

La gioia di sapere che Dio viene ancora.

Sofonia esulta perché davanti alla disastrosa indifferenza di Israele il Signore, invece di scatenare la sua legittima ira, promette una nuova alleanza. Paolo invita i Filippesi a gioire per la presenza del Signore che continuamente viene a visitarci là dove siamo.

Ma è il Battista, protagonista del tempo di avvento, a osare di più.

Ricerche

La folla scende da Gerusalemme nel deserto per ascoltare il Battista.

Simpatici: a Gerusalemme hanno il ricostruendo tempio e folle di sacerdoti e predicatori. La Disneyland della fede. Inconsistenti e poco credibili. Devono lasciare il lusso del tempio per andare a bruciarsi nel deserto e vedere un uomo consumato dal vento parlare sul serio di Dio.

La gente sa, la folla intuisce, il popolo vede lontano.

È la coerenza di quel profeta scomunicato a mettere i brividi. La sua passione, il suo sguardo, la sua verità che brucia nell’anima.

L’attrazione diventa decisione imperiosa.

Non importa l’esperienza che la gente vive, non importa il loro mestiere, non esistono puri e impuri nel deserto, né primi della classe o ultimi, o maledetti. Tutti possono essere salvati, perché la Parola è scesa nel deserto, non nei palazzi, non nei templi, non a Roma.

E tutti sanno cos’è il deserto, tutti noi sappiamo, se siamo onesti con noi stessi, senza nasconderci dietro i paraventi, cos’è il deserto della solitudine, al di là delle troppe apparenze che ci distolgono dall’essenziale.

[ads2]Cosa dobbiamo fare?

Che cosa dobbiamo fare? è la domanda che sorge nel nostro cuore quando ci guardiamo dentro, quando lasciamo che il silenzio evidenzi e smascheri la nostra sete di felicità e di bene, quando una tragedia ci ridesta alla durezza e alla verità della vita, quando vogliamo prepararci ad un Natale che non resti solleticamento emotivo ma diventi conversione e luce e pace, quando vediamo la violenza e la follia disturbare il piccolo mondo di sicurezze che pensavamo definitivamente acquisito..

E le risposte del profeta sono sconcertanti: consigli banali, semplici, non propone nessuna scelta radicale impossibile, nessun sogno eccessivo: condividete, non rubate, non siate violenti…

Al popolo (credente e devoto!) Giovanni chiede di condividere, di non lasciare che la fede resti solo preghiera o vaga appartenenza, ma di farla vibrare nella vita questa fede, di lasciare che contagi le nostre vite e le nostre scelte concrete, per non rendere schizofrenica la nostra religiosità.

Ai pubblicani, appaltatori delle tasse e ladri, chiede di essere onesti, di non esigere troppo nascondendosi dietro ad un dito. Come quando, noi professionisti, esigiamo per la nostra competenza troppo denaro appellandoci alle tariffe e scordando il difficile momento che le gente sta vivendo.

Ai soldati, abituati alla violenza, Giovanni chiede mitigazione e giustizia, di non spadroneggiare.

Geniale

Giovanni ha ragione: dalle cose piccole nasce l’accoglienza.

Giovanni ha ragione, fai bene ciò che sei chiamato a fare, fallo con gioia, fallo con semplicità e diventa profezia, strada pronta per accogliere il Messia.

Era normale per i pubblicani rubare, normale per i soldati essere prepotenti, normale per la gente accumulare quel poco che guadagnava.

Giovanni mostra una storia “altra”: sii onesto, non essere prepotente, condividi.

Questa storia “altra” è la nostra civiltà, quella da difendere con la ragione e la profezia. Questa è la terza via davanti ad un terrorismo che vuole imporre la sua violenza sorda e cieca e un mondo occidentale malato dei suoi vizi molli e ingannevoli.

Questo possiamo fare, oggi, per contrastare ogni violenza. Per accogliere Dio che viene.

Diventa eroico, anche oggi, essere integerrimi nell’onestà sul lavoro, profetico essere persone miti in un mondo di squali, sconcertante porre gesti di gratuità.

Dio si fa piccolo. Nei piccoli atteggiamenti ne rintracciamo la scia luminosa.

E questo dona gioia, sin d’ora.

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