Carlo Miglietta – Commento alle letture di domenica 6 Agosto 2023

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La Liturgia odierna ci ripresenta il brano evangelico della Trasfigurazione, su cui abbiamo già meditato nella II Domenica di Quaresima A. Per un’esegesi più accurata, vi rimando a quel commento. Qui vorrei aggiungere alcune considerazioni.

La Trasfigurazione di Gesù: la manifestazione della sua forma divina

Secondo il racconto evangelico della Trasfigurazione (Mt 17,1-13; Mc 9,2-10; Lc 9,28-36), Gesù “si trasformò” (metemorphòte), subì una metamorfosi, cambiò di aspetto, o meglio “fu trasformato” (passivo divino: Mc 9,2; Mt 17,2), subì un mutamento di forma nei vestiti e nel corpo. Luca, temendo che i lettori del vangelo comprendano questo evento come un mito, una metamorfosi alla stregua dei riti pagani greci, preferisce usare un’espressione più neutra: “l’aspetto del suo volto divenne altro” (héteros: Lc 9,29). 

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Qui riscontriamo come l’evento sia in realtà inesprimibile e come il linguaggio degli evangelisti sia inadeguato: Matteo parla di “vestiti bianchi come la luce”, Marco li descrive “splendenti, bianchissimi, quali non li potrebbe rendere nessun lavandaio sulla terra”, Luca li definisce “sfolgoranti”. Ma è solo Matteo che individua come oggetto di tale trasformazione il volto di Gesù, che diventa radioso come il sole. I tre racconti tentano dunque di descrivere la luce di questi vestiti, certamente non dimenticando che la luce è il mantello di cui si riveste Dio (cfr Sl 104,2); in profondità, però, la sorgente di questa luce è Gesù stesso: ecco perché il corpo di Gesù fu trasfigurato (Mc e Mt), il suo volto brillò come il sole (Mt) e l’aspetto del suo volto divenne altro (Lc).

Invece del corpo e del volto umano, quotidiano, di Gesù come lo conoscevano i discepoli, il mutamento fornisce la visione di un volto altro, luminoso, un volto trasfigurato da un’azione che poteva solo essere divina. Se Paolo nell’inno della Lettera ai Filippesi confessava:

“Colui che era nella forma di Dio (en morphê theoû)

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non ritenne un possesso geloso

la sua uguaglianza con Dio.

Ma egli svuotò se stesso,

prendendo forma di schiavo (morphè doúlou),

diventando simile agli uomini,

riconosciuto nella forma come uomo” (Fil 2,6-7),

ora nella trasfigurazione colui che aveva la forma di schiavo riprende la sua forma di Dio e risplende di luce divina. 

A nessuno può sfuggire, una seconda volta, in parallelo con Mosé che, quando discese dalla Santa montagna, “non si era accorto che la pelle del suo volto era raggiante, per il fatto di aver conversato con Dio” (Es 34,29-35). I vv. 29-35 di Es 34, di origine incerta, raccontano tradizioni sui raggi che emanavano dal volto di Mosè, che i vv. 29-33 collegano alla discesa dal Sinai, i vv. 34-35 alla tenda del Convegno. “Splendere” in ebraico è quaran: un equivoco con qeren, “corna”, ha fatto sì che la Vulgata traducesse: “Cumque descenderet Moses de monte Sinai tenebat duas tabulas testimonii et ignorabat quod cornuta esset facies sua ex consortio sermonis Dei” (Es 34,29): “la sua faccia era cornuta”. Molte raffigurazioni di Mosè, tra cui la famosa statua di Michelangelo, lo rappresentano con queste “corna” sulla fronte. Dirà Paolo: “Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu circonfuso di gloria, al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pure effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?” (2 Cor 3,7).

“Sull’alta montagna Gesù non è stato visto da loro nella sua condizione ordinaria di uomo fragile e mortale, ma in un’altra forma: irradiante luce, radioso di luce, splendente come il Signore cantato dal Salmo 76 (“Splendente di luce sei tu e magnifico”: v. 5a) e dal Salmo 104 (“Avvolto dalla luce come da un manto”: v. 2a). Per dirla con il linguaggio paolino, colui che era “en morphê theoû”, “in forma di Dio”, e aveva preso la “morphé doúlou”, “la forma di schiavo” (cf. Fil 2,6-7), ora riprende la forma di Dio e dunque risplende. Si compie così la profezia di Isaia: “Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni carne la vedrà” (Is 40,5) e accade ciò che è testimoniato dal quarto vangelo: “E la Parola si è fatta carne e ha piantato la sua tenda tra di noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria” (Gv 1,14)” (E. Bianchi).

Trasfigurarci e trasfigurare il mondo

“Ma qui noi ci poniamo una domanda. Siccome in Marco e in Matteo sta scritto che Gesù “fu trasfigurato émprosthen autôn, davanti a loro” (Mc 9,2; Mt 17,2), e solo davanti a loro, allora ci chiediamo: è il corpo di Gesù che si è trasfigurato oppure sono stati i discepoli che, per grazia di una rivelazione, hanno visto nella carne fragile e umana di Gesù la sua gloria divina? Già Origene si poneva tale domanda, e concludeva che sono stati i discepoli a subire una trasfigurazione della loro vista nella fede, fino a vedere nell’umanità del Servo, nella forma dello schiavo, la forma di Dio. Egli scrive: “Tu tenti di sapere se i discepoli, quando Gesù si trasfigurò davanti a quelli che aveva fatto salire sull’alta montagna, videro Gesù sotto la forma di Dio, quella che era la sua prima, avendo egli preso quaggiù la forma di schiavo? Ebbene, ascolta queste parole, se tu sei capace, in un senso spirituale, e nota che non è detto solo «fu trasfigurato», bensì «fu trasfigurato davanti a loro», come dicono Matteo e Marco. Tu dunque concluderai che è possibile che Gesù davanti ad alcuni sia trasfigurato e davanti ad altri non lo sia” (Commento a Matteo XII,37,1-21 [su Mt 17,2]).

Ma affinché questa rivelazione, questa apocalisse sia per i discepoli autentica e definitiva, ecco anche la visione della Legge e dei Profeti, di Mosè ed Elia che conversano con Gesù. Mosè ed Elia, servi del Signore, appaiono qui nella condizione gloriosa di viventi presso Dio, quali testimoni della gloria di Gesù. La Legge e i Profeti che sull’alta montagna avevano visto la teofania, la manifestazione di Dio e della sua gloria (cfr Es 19,16-25; 24,12-18,33,18-34,28; 1 Re 19,8-18), ora sull’alta montagna vedono la cristofania, la manifestazione del Messia Gesù! È manifestazione, questa, della Parola di Dio detta dalla Legge e dai Profeti e fatta carne in Gesù” (E. Bianchi).

La trasfigurazione è mistero di trasformazione: il nostro corpo e questa creazione sono chiamati alla trasfigurazione, a diventare “altro”; il nostro corpo di miseria diventerà un corpo di gloria (cf. Fil 3,21), e “la creazione che geme e soffre nelle doglie del parto” (cfr Rm 8,22) conoscerà il mutamento in “cielo nuovo e terra nuova” (Ap 21,1). Ciò che è avvenuto sul monte Tabor in Gesù Cristo avverrà per tutti i credenti e per il cosmo intero alla fine della storia.

Celebrare l’Eucaristia è vivere in anticipo la trasfigurazione in comunione con il Signore e con i fratelli e sorelle: la Parola si trasfigura in pane e in vino e questi in cibo che a sua volta si trasfigura nella nostra vita. In questo modo l’Eucaristia diventa un progetto di trasformazione che deve impegnarci nella nostra storia: abbiamo l’obbligo di trasformare il pane delle nostre possibilità in pane per tutti affinché non vi siano affamati nel mondo; abbiamo il compito di trasfigurare ciò che viviamo e facciamo e tocchiamo perché la pace possa chiamarsi giustizia. Gesù non resta sul monte della trasfigurazione, ma scende nel mondo della storia quotidiana per portare il vangelo della trasformazione agli uomini e alle donne che incontrerà sul suo cammino verso la città di Dio: la città della trasfigurazione definitiva che muta la morte in vita e la croce da strumento di tortura e di morte in simbolo di misericordia e di redenzione. Noi ne siamo testimoni. Noi lo annunciamo con la nostra vita” (P. Farinella).

Carlo Miglietta

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Mt 17, 1-9 | Carlo Miglietta 35 kB 2 downloads

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Il commento alle letture di domenica 30 luglio 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.