Benedetto XVI – Commento al Vangelo di domenica 29 Settembre 2019

Questa parabola è un’esortazione all’amore concreto che siamo chiamati a donare ai nostri fratelli poveri e alla responsabilità che abbiamo nei loro confronti.  Ma Gesù va ben oltre la sola esortazione alla carità.

L’antica sapienza di Israele si fondava sul presupposto che Dio premia il giusto e punisce il peccatore. 

Questo modo di pensare però strideva con la storia del popolo eletto in quanto non solo come popolo aveva patito più di altri, ma era stato costretto persino all’esilio.   Anche nella vita di tutti i giorni diventava sempre più evidente che chi si comportava in modo cinico, chi disprezzava Dio e le sue regole, era umanamente avvantaggiato passando da un successo all’altro e godendo tutta la felicità della terra, a differenza del giusto che spesso è destinato solo a soffrire.

Molti salmi sono stati scritti nell’affannosa ricerca di sciogliere questa contraddizione: possibile che Dio si mostra ingiusto o addirittura del tutto assente?  Possibile che Dio non vede che il giusto che soffre e subisce ingiustizie continue corre il pericolo di smarrire la fede?

Quante volte anche noi abbiamo sentito da persone che conosciamo, anche da cristiani, frasi del tipo: “ma perché Dio non interviene? Perché permette tutto questo?”.  Forse anche a noi è passato per la mente qualche dubbio del genere!

Nella Bibbia il cambiamento improvviso sopraggiunge quando il giusto sofferente volge lo sguardo verso Dio e guardandolo allarga la sua prospettiva.   Alzando lo sguardo verso il Cielo, adesso vede che l’apparente intelligenza dei cinici è stupidità: il salmista (salmo 73,22) per questo li descrive “stolti… come una bestia”.

Essi, cioè, rimangono nella prospettiva delle bestie e hanno perduto la prospettiva dell’uomo che va oltre l’aspetto materiale, va verso Dio e la vita eterna.

In questi salmi si contrappongono, così, la sazietà dei beni materiali a quella dovuta alla “presenza di Dio”, cioè la sazietà del cuore mediante l’incontro con l’Amore Infinito.   Sotto questo punto di vista la tanto invidiata felicità dei cinici è destinata a svanire “come un sogno al risveglio” per questo il salmista dirà “il mio bene è stare vicino a Dio” (Sal 73, 28).

Bisogna, però, fare una precisazione: leggendo questi salmi ci si accorge che non si tratta di una condanna meschina della ricchezza che non si riesce a raggiungere e dei ricchi, generata dall’invidia, ma una presa di coscienza profonda del fatto che il ricco epulone già in questo mondo era un uomo dal cuore vuoto, che nei suoi stravizi voleva solo soffocare il vuoto che era in Lui.  Il giudizio nell’aldilà, di conseguenza, non è altro che un venire alla luce della verità che era già ormai presente anche nell’aldiquà!

Nella descrizione dell’aldilà Gesù si attiene ai concetti correnti nel giudaismo del tempo senza elevarli al rango di verità di fede.   

L’uomo ricco dice ad Abramo quello che allora come oggi tanti uomini vorrebbero dire a Dio: “Se vuoi che ti crediamo e che conformiamo la vita alla tua parola allora devi essere più chiaro: mandaci qualcuno dall’aldilà che ci possa dire che le cose stanno davvero come tu dici”.  Le verità della fede, però, non possono essere costrette alla stessa evidenza empirica che è propria della dimensione materiale. Dice papa Benedetto XVI: “…oggi forse più che mai, ci siamo … formati un concetto di realtà che esclude la trasparenza del reale in direzione di Dio.  Vale come reale solo ciò che è dimostrabile mediante esperimento. Dio non si lascia costringere alla sperimentazione… La conoscenza di Dio chiama sempre in causa l’uomo nella sua totalità (materiale e spirituale) è una conoscenza che è tutt’uno con la vita stessa; una conoscenza che non può darsi senza <<conversione>>”.

La risposta di Abramo è la stessa data più volte da Gesù: “Chi non crede alla parola della Sacra Scrittura non crederà nemmeno a quella di qualcuno che torni dall’aldilà!”   

La prova di ciò ci viene data, ad esempio, dalla resurrezione di Lazzaro di Betania: il vangelo di Giovanni ci conferma che, sebbene molti credettero in Gesù dopo il miracolo, molti altri (soprattutto coloro che invece avrebbero dovuto più facilmente comprendere e credere, come i membri del sinedrio) reagirono al miracolo con l’indurimento del cuore (Gv 11,45-53) al punto da desiderare la morte del Signore.

Qual è, dunque, la risposta di Gesù, ora come allora, alla richiesta di segni da parte della gente?  

Questa parabola ci aiuta a comprenderla.

Dietro la figura di Lazzaro che giace, coperto di piaghe, fuori della porta dell’uomo ricco si nasconde il mistero di Gesù che patì “fuori dalla porta della città” (Eb 13,12) nudo e disteso sulla croce.  

A chi gli chiedeva ancora un segno per credere, Egli infatti disse che non avrebbe dato altro segno che quello di Giona, il profeta del Vecchio testamento che rimase tre giorni e tre notti nel ventre di un pesce.   Gesù stesso è, dunque, il segno!   La sua passione, morte e resurrezione che lo ha visto per tre giorni e tre notti nel “ventre della terra” (Mt 12,39s).  

Gesù, vero Lazzaro, infatti, è risorto ed è tornato dall’Aldilà per dircelo e dare testimonianza alla verità della nostra fede.

Tratto e adattato dal libro “Gesù di Nazaret” di Papa Benedetto XVI

Letture della
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Prima Lettura

Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.

Dal libro del profeta Amos
Am 6,1a.4-7

 
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Sal 145 (146)

R. Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.
 
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.
 
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.

Seconda Lettura

Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 6,11-16

 
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
 
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.

Parola di Dio

Vangelo

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31

 
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
 
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
 
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
 
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
 
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Parola del Signore

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