Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 13 Ottobre 2021

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Nella prima parte del brano del Vangelo di oggi viene alla mente il fratello maggiore della parabola del padre misericordioso che non vuole perdere il primo posto. “Sono tanti anni che non ho mai trasgredito alcun tuo comandamento, eppure non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici” (Lc 15, 29).

Infatti, se non amiamo il fratello che sbaglia, perché è imperfetto come tutti gli uomini, detestiamo il Padre che perdona il fratello, suo figlio, perché gli vuole infinitamente bene. Detestiamo il Padre e lasciamo da parte la giustizia e l’amore di Dio, come i farisei. Gesù è contro la religiosità che nella pratica esteriore è perfetta, come se ci si dovesse difendere da un Dio giudice che ci siamo costruiti, un Dio che pretende, fatto a nostra immagine e non viceversa.

La giustizia degli uomini è diversa dalla giustizia di Dio. Il legislatore è Lui e la Sua legge è l’amore. Lui è legislatore e Lui è giudice. Non c’è separazione di poteri quando si parla del vero amore.
Nella seconda parte del brano Gesù riprende proprio questo argomento mentre si rivolge ai dottori della Legge. Hanno rifiutato la giustizia e l’amore di Dio e le loro leggi diventano pesi insopportabili. Che grande sfida per gli uomini rendere misericordiosa la giustizia, orientare al bene chi ha sbagliato, indipendentemente dalla gravità dell’errore!

Per riflettere

Non è il numero di carceri che rende più giusto e più sicuro un popolo ma il rispetto di ogni persona. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Preghiera finale

Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagine della Passione di Cristo, scoppio nel pianto:
dopo ventinove anni di galera non ho ancora perduto la capacità di piangere,
di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto.
Mi sento Barabba, Pietro e Giuda in un’unica persona.
Il passato è qualcosa di cui provo ribrezzo, pur sapendo che è la mia storia.
Ho vissuto anni sottoposto al regime restrittivo del 41-bis
e mio padre è morto ristretto nella stessa condizione.
Tante volte, di notte, l’ho sentito piangere in cella.
Lo faceva di nascosto ma io me ne accorgevo. Eravamo entrambi nel buio profondo.
In quella non-vita, però, ho sempre cercato un qualcosa che fosse vita:
è strano a dirsi, ma il carcere è stato la mia salvezza.
Se per qualcuno sono ancora Barabba, non mi arrabbio:
avverto, nel cuore, che quell’Uomo innocente, condannato come me,
è venuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita.
(preghiera di un condannato all’ergastolo, Via Crucis 10 aprile 2020, Piazza San Pietro)