don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 19 ottobre 2025

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“Pregare sempre, senza stancarsi mai”
fare della preghiera un cuore, di carne, sistole e diastole, senza fermarsi mai.

E se si stanca, rallentare, ma non interrompere mai il battito, mai, per non morire.

Pregare per non morire. Me lo ripeto piano, ed è già preghiera, ed è già respiro.

Pregare per non vivere senza cuore.

“In quella città c’era anche una vedova”
Pregare è avere un cuore di vedova, e un cuore di vedova è un cuore che ha conosciuto l’amato e che ora ancora ne ama la presenza nell’assenza.

“Fammi giustizia” pretende il cuore di vedova, continua a farmi vivere d’amore, grida l’amore. Il giudice, colui che la vita la amministra non può capire. Chi non ama non ha riguardo per alcuno, ha gli occhi che non vedono, che non ri-guardano, la vedova invece ha un cuore che ama, e che ri-ama.
“In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno”.

Pregare è avere un cuore da vedova, senza incontro personale con l’Amato rimangono solo parole vuote, pretese stanche, vuoti esercizi di meditazione. La preghiera non pacifica, la preghiera è una tigre, un fuoco, una necessità.

“Fammi giustizia contro il mio avversario” dice la vedova, perché un avversario c’è, belva affamata di noi. Avversario è tutto ciò che non è Dio, tutto ciò che è idolo. Difficile da smascherare. Avversario è tutto ciò che si nutre di me. Tutto ciò che vuole il mio tempo, il mio denaro, la mia attenzione. Avversario di me stesso sono spesso io, mascherando di carità il narcisismo.

Avversario è tutto ciò che non mi permette di avere riguardo di me, dei miei fratelli, del cosmo, del tempo, della creazione. Avversario è tutto ciò che mi rende giudice implacabile e non custode.

Pregare è lottare. Per stare nella mancanza, affamati d’Assenza, vedovi d’amore. Pregare è uccidere a mani nude tutto ciò che si aggrappa al nostro cuore ma non è Lui.

Vedova è un nome nuovo, una condizione e non un momento. Pregare non è parentesi nella vita, pregare è la vita. Uno è vedovo sempre e per sempre. Uno vive mancante, quando ride, quando piange, quando dorme, ad ogni respiro. Pregare è una condanna. Scontare la pena di essere stati rapiti dal Suo Amore.

“Per un po’ di tempo (il giudice) non volle, ma poi disse tra sé…” il giudice è padrone del tempo, o almeno crede di esserlo, decide di aspettare, decide di interrompere l’attesa, decide di sé. O almeno si illude. La vedova non po’. La vedova sa bene che solo lo Sposo, solo il suo ritorno, può interrompere lo stillicidio di essere ancora al mondo. La preghiera è essere in balia del suo ritorno.

La vedova insiste, la vedova importuna, la vedova costringe, la vedova è violenta, la vedova è radicale. Non ha altro. Non vuole altro. Vuole solo essere riconosciuta per quella che è, e custodita per il segno che è diventata.

Vedovo è colui che vive nella città ma che non si lascia addomesticare. Vedovo è un cuore inquieto e malinconico, mancante. Vedovo è un cuore che non si esalta più per le cose umane, un cuore che relativizza ogni cosa, perché nel bello vede un riflesso dello Sposo e nel male soffre la Sua mancanza.

I cuori vedovi non si esaltano e non si disperano, attendono. I cuori vedovi ci costringono a guardare Altrove, smascherano la nostra illusione di mondana pienezza.

I cuori vedovi riconoscono l’eterno ritorno delle cose, degli eventi, delle fasi della vita, e provano, gridando preghiere silenziose, a rompere il cerchio.

Anche Cristo ha un cuore vedovo. Perché gli manchiamo, perché anche lui ha paura, paura che al suo ritorno non ci sia più una sposa ad attenderlo: “Ma il Figlio dell’uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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