Dinanzi a te io mando il mio messaggero
Lโannuncio della venuta del Signore; la difficile arte dellโattesa del Veniente; la gioia che Colui che viene suscita: questi i temi salienti della terza domenica di Avvento. Che affermano anche la non-evidenza della venuta del Signore. Nella prima lettura, lโannuncio isaiano della venuta liberatrice del Signore raggiunge i figli dโIsraele in una situazione di โtristezza e piantoโ (Is 35,10); nel vangelo, le opere che attestano che Gesรน รจ il Messia, trascurano la โliberazione dei prigionieriโ (Is 61,1; Lc 4,18) e sono riferite a Giovanni che si trova in prigione (cf. Mt 14,3-12); nella seconda lettura, la comunitร cristiana รจ confrontata con lโannuncio di una venuta del Signore che chiede un atteggiamento di sopportazione e pazienza simile a quello dellโagricoltore, dei profeti (Gc 5,10), di Giobbe (Gc 5,11).
Lโagricoltore attende un frutto che dipende da piogge che possono anche non venire; i profeti hanno parlato in nome di Dio suscitando ostilitร e rifiuto; Giobbe ha perseverato nei dolori, nel non-senso, facendo della sua attesa una lotta drammatica. Cosรฌ, lโattesa del Signore si tinge della tinta della pazienza.
La pazienza รจ lโarte di vivere lโincompiuto, lโinadeguato e la parzialitร . La preghiera ebraica che recita: โIo credo con fede piena e perfetta alla venuta del Messia e, benchรฉ tardi, io lโattendo ogni giornoโ esprime lโidea di pazienza insita nellโattesa. Nel โbenchรฉ tardiโ vi รจ la drammaticitร dellโincompiuto e dellโirredento sperimentati nel quotidiano. La pazienza, necessaria per chi vive nella storia lโattesa del Regno, va esercitata nei confronti di Dio, della chiesa e di se stessi.
Nei confronti di Dio, perchรฉ Dio non ha ancora adempiuto, per sempre e per tutti, le promesse di guarigione dei ciechi e degli zoppi, dei muti e dei sordi, le promesse di salvezza dal male e dalla morte; nei confronti della chiesa, perchรฉ la comunitร cristiana รจ spesso inadempiente rispetto alle esigenze evangeliche; nei confronti nostri, perchรฉ scopriamo in noi inadeguatezze e difformitร rispetto alla nostra vocazione. La pazienza รจ โforza nei confronti di se stessiโ (Tommaso dโAquino), capacitร di non lasciarsi andare allโabbattimento, alla tristezza, alla disperazione. E questo grazie al fatto che la pazienza รจ sguardo in grande (makrothymรญa) sulla realtร , su Dio, sulla chiesa, su noi stessi. La pazienza รจ grandezza dโanimo e si concretizza nellโamore: โlโamore pazientaโ (1Cor 13,4).
I tre testi odierni ci consentono di riflettere su un altro aspetto della nostra vita umana e spirituale. Ovvero lโequilibrio che siamo chiamati a creare tra adesione al reale e desiderio di cambiamento, tra sopportazione dellโesistente e attesa del nuovo, tra pazienza e impazienza. Il passo profetico annuncia un mondo che non sarร piรน comโรจ adesso: la profezia non si accontenta dellโesistente, ma, mentre riconosce la realtร , ne invoca il cambiamento. La profezia tanto รจ inserita nella storia tanto afferma che questo mondo cosรฌ comโรจ non va e che occorre intervenire su di esso e cambiarlo: il tempo messianico รจ quello in cui โsi apriranno gli occhi dei ciechi, si schiuderanno gli orecchi dei sordi, lo zoppo salterร come un cervo, griderร di gioia la lingua del mutoโ (Is 35,5-6).
Isaia mostra che la profezia รจ anzitutto anelito verso un mondo altro ben piรน e prima che verso un altro mondo, un mondo al di lร di questo mondo. Che Gesรน sia il Messia lo mostrano le opere messianiche, ovvero quelle che sconvolgono lโordinarietร dei giorni e immettono il bene lร dove cโรจ il male: il mondo non puรฒ restare quello che รจ. I miracoli appaiono come ribellioni, come un dire di no allโordine delle cose; le guarigioni di ciechi e sordi, muti e zoppi, la risurrezione di morti (Mt 11,5), dicono che la presenza di Gesรน รจ contestazione allo stato delle cose, รจ sovvertimento dellโordine stabilito, รจ il no al male e alla morte. Anche nel piccolo mondo del contadino di cui parla la lettera di Giacomo, la dimensione della pazienza e dellโaccettazione della realtร si accompagna a quella dellโattesa della novitร e del cambiamento.
Il contadino deve vincere la tentazione di affrettare tempi che non sono in suo potere, ma anche la tentazione di cedere alla pigrizia lasciando che le cose vadano come vogliono. Anche noi siamo spesso presi tra la tentazione della fretta, dellโangoscia di intervenire e agire a ogni costo, e quella della pigrizia, del sederci, del lasciar perdere, dellโaccontentarci o del rassegnarci. Una vita di ricerca di Dio non puรฒ che essere anche una vita appassionata in cui la persona si coinvolge, sente e patisce ciรฒ che vive. Una vita di ricerca di Dio non puรฒ che anelare il cambiamento di ciรฒ che รจ ingiusto e produce sofferenza. Insomma, atteggiamento richiesto in una vita cristiana equilibrata รจ tanto l’adesione alla realtร quanto il non accontentarsi dello stato delle cose: si tratta di tenere insieme pazienza e desiderio, sopportazione e anelito al cambiamento.
Il testo evangelico si apre annotando che Giovanni era in carcere, in catene: โErode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigioneโ (Mt 14,3). Eppure il testo non trasmette alcun lamento di Giovanni, nessuna invettiva contro chi lโha incarcerato, nessuna protesta contro lโimmobilismo a cui รจ costretto. Giovanni continua ad avere lโattenzione rivolta al Veniente. Anche in carcere continua a essere il precursore. Giovanni vive di fede e di relazione con il Messia veniente anche mentre รจ in prigione. Egli mostra che anche situazioni esterne contraddittorie e impedienti non hanno il potere di togliere la libertร della persona.
Giovanni pratica lโesercizio della libertร anche mentre รจ in prigione insegnandoci a non accordare un potere destrutturante alle situazioni esterne che ci fanno soffrire. E ci suggerisce che la libertร nasce nellโinterioritร e che la libertร piรน grande e difficile, ma quella in cui la persona giunge a esprimere le sue migliori potenzialitร , รจ la libertร dal proprio io, dalla tirannia del detestabile ego: Giovanni in prigione sa attendere, ma non la sua uscita dal carcere, bensรฌ il Messia, e dunque persegue con determinazione la veritร del suo essere, la sua vocazione. La libertร รจ nel decentramento da sรฉ.
Se nella seconda domenica di Avvento, il Battista si trovava nel deserto, ora si trova in prigione (Mt 11,3), se prima gridava con convinzione la venuta del piรน forte di lui, ora domanda con toni sommessi se Gesรน sia veramente lui il Veniente. Tuttavia, nel deserto come nella prigione, nella predicazione autorevole come nella domanda umile, Giovanni continua ad attendere il Veniente. Giovanni รจ lโuomo dellโattesa, lโuomo che vive sotto il segno della grazia: la vita che ha ricevuto per grazia da Dio nel passato (Giovanni significa โil Signore fa graziaโ), egli la attende come grazia dal futuro attenendo nellโoggi il Messia veniente. E proprio la sua attesa apre i luoghi di morte e di chiusura che sono il deserto e la prigione, alla vita e alla libertร .
La sua attesa diviene speranza per le folle che andavano a lui nel deserto e per i discepoli che andavano a trovarlo in prigione. Lโattesa cristiana della venuta del Signore รจ dono di speranza per gli uomini. Ed รจ quanto mai significativo il fatto che il Battista rivolga a Gesรน stesso la sua domanda. La domanda di fede non spegne lโamore, anzi, Giovanni si rimette a ciรฒ che Gesรน stesso gli dirร : โSei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?โ (Mt 11,3). Piรน che mai la fede appare qui come affidamento personale. Lโamore rende la fede sempre piรน relazione tra viventi.
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Certo, non รจ facile comprendere in profonditร la domanda del Battista. Leggerci lโabbaglio di Giovanni che predicava un veniente giudiziale e che ora si trova di fronte un messia mite รจ una banalitร sconfessata dal testo evangelico che nello stesso capitolo undicesimo presenta Gesรน che usa duri toni giudiziali contro Corazin, Betsaida e Cafarnao (Mt 11,21-23). Si tratta di un espediente con cui Giovanni indica ai suoi discepoli di aggregarsi a Gesรน, come pensano diversi padri della chiesa? Ciรฒ che รจ rilevante รจ che la domanda di Giovanni sia posta a Gesรน stesso: sembra quasi che Giovanni voglia sparire e lasciare che il suo ministero di preparazione si eclissi davanti a colui che viene e che deve prendere pienamente la scena e presentarsi lui direttamente.
Anche se pure Gesรน, risponderร a Giovanni non con unโesibizione di sรฉ, ma con il riferimento, rivelatore e nascondente al tempo stesso, alle Scritture. Anche Gesรน cita le Scritture, in particolare Isaia, per dire ciรฒ che fa, chi lui รจ e qual รจ il suo annuncio. Esattamente come Giovanni era stato presentato da Matteo con le parole di Isaia (Mt 3,3). Forse, nel passaggio di Giovanni dalla parola gridata alla domanda sussurrata, dalla convinzione granitica allโumiltร della domanda, possiamo cogliere semplicemente la storia e il divenire della fede di Giovanni. La fede ha sempre una storia e ognuno di noi ne scrive ogni giorno una nuova pagina.
In questo lavoro di scrittura รจ decisiva la vigilanza sullโattivitร immaginativa e psichica, sulla produzione di immagini interiori, sulla ricreazione della realtร e degli altri che noi operiamo quotidianamente nel nostro cuore. Giovanni, che predicava nel deserto la venuta di colui che non era ancora in scena, ora si misura con la realtร di una presenza, di una persona precisa, di quellโuomo lรฌ, di ciรฒ che egli compie e dice e che forse non combacia con le attese che proiettava su di lui. Proprio lui, quellโuomo, il Messia? Siamo ancora allโinterno della dialettica tra anelito al cambiamento e adesione alla realtร , tra immaginazione del nuovo e incontro-scontro con la realtร e i suoi limiti.
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose



