Un avvertimento e anche una profezia. A duemila anni di distanza si può provare a riflettere sull’attualità dell’uno e sulla realizzazione dell’altra. Una premessa: dobbiamo sempre guardarci da ogni facile giudizio su chi siano i buoni e chi i cattivi e sull’istinto che chiede di svrgognare subto questi ultimi, di “toglierli di mezzo”. La parabola del grano e della zizzania ci urge a imparare da Dio la pazienza anche con i malvagi.
Se dunque dobbiamo esercitare prudenza a riguardo di chi considerare soggetto e oggetto dell’odio e delle persecuzioni di cui parla anche la pericope odierna, bisogna però prendere atto che si tratta di parole lungimiranti. Chiunque si metta alla sequela di Gesù non ha la garanzia di vita facile. E se la sequela non necessariamente conduce al martirio, almeno non nelle nostre terre di antica cristianità, sempre più comunemente chi la percorre sa che rischia irrisione quando non disprezzo. Ma quando ciò dovesse accadere a noi, quando cioè dovessimo essere oggetto di maldicenza a causa del Signore, dovremmo essere capaci di “rallegrarci e di esultare” (Mt 5, 12), come gli Apostoli che, dopo essere stati fustigati, “se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù” (At 5, 41).
Ci possiamo certamente chiedere se sia anche visibile una ragione del “perché” le cose debbano stare in questo modo. Gesù rivela un Dio “diverso”, un Dio coinvolto con l’uomo, un amico, addirittura un padre. Con tutte le conseguenze che questo comporta anche sulla vita morale, che viene “regolata” non da un insieme di assiomi astratti (e comunque sempre contestabili) ma dall’aver scelto l’amore per i nemici come opzione, dall’essersi messi alla sequela del Signore. Un Dio così, che non riesce a starsene per conto suo, diventa davvero eccessivamente ingombrante. L’uomo può sopportare i comandamenti, ma sembra proprio non poter digerire le beatitudini. Chi dunque le ha accolte e vissute sia pronto ad accettarne le conseguenze.
Per riflettere
Siamo disposti a mettere in gioco la nostra “reputazione”, se questo è richiesto per testimoniare l’amore del Signore? E per la Chiesa?
Preghiera finale
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
(Salmo 23)
AUTORE: Consiglio Diocesano di Azione Cattolica di Pisa, Beatrice Granaroli
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi