Nico Guerini – Commento al Vangelo di domenica 1 Marzo 2020

«Oggi, o carissimi, entriamo nel tempo sacro della quaresima, il tempo della milizia cristiana. Questa osservanza non riguarda noi singolarmente presi, ma è unica per tutti, tutti quelli cioè che vivono insieme nell’unità della medesima fede». Così san Bernardo di Clairvaux inizia il primo dei sei sermoni che ha dedicato alla quaresima.

L’attacco suona come uno squillo di tromba che invita alla battaglia! Temo che tale linguaggio militaresco non incontri la simpatia di tutti. È pur vero che la fede va proposta con garbo e gentilezza, ma si stia attenti a non ridurre la proposta cristiana a una serie di regole per “star bene” nel senso tutto umano del termine, dove il digiuno si confonde con le diete salutiste e il controllo di sé fa piuttosto pensare agli esercizi da palestra. Nulla contro tutto ciò, perché prendersi cura del corpo è pure un dovere religioso, ma l’altra parte di noi, quella che chiamiamo spirito, esige pure di essere curata e probabilmente messa in primo piano per non sovvertire un ordine che è la base stessa del nostro “benessere” integrale.

In questa luce va letto l’avvertimento di Bernardo che, del resto, echeggia in modo trasparente le parole di Paolo, che parla di armi e di lotta (cf. Ef 6,13-17), così come di allenamenti richiesti a quell’atleta, che è il cristiano, per vincere, in quello stadio che è il mondo, la gara della vita (1Cor 9,24-27; 2Tm 2,5).

E qui è il caso di ricordare che la quaresima non è un tempo di rinnovato slancio spirituale riservato a truppe scelte, come precisa san Bernardo che si rivolge ai suoi monaci, ma ancora di più è l’esercitarsi in uno stile di vita che riguarda tutti e tutto l’anno, perché – come scrive ancora il grande abate – in questo tempo «ci viene proposta una conversione spirituale che non si realizza in un giorno» (Serm. II,2), per cui «la nostra quaresima non è fatta solo di quaranta giorni, ma deve continuare per tutti i giorni di questa misera vita, durante la quale, con l’aiuto della grazia, è necessario compiere il Decalogo della Legge» (Serm. III,3).

La prospettiva è identica a quanto già stabilito da san Benedetto, che scrive nella Regola: «Indubbiamente la vita del monaco deve in ogni tempo conformarsi al regime della quaresima» (RB 49,1). Tempo di rinunce? Certamente, ma di quelle che tengono vivi i desideri santi in un ritrovato equilibrio tra corpo e spirito, perché tale tempo liturgico – come afferma ancora Benedetto – è fatto perché chiunque, «con la gioia del desiderio suscitato dallo Spirito attenda la santa Pasqua» (RB 49,7).

È il caso di ricordare che tutto l’anno liturgico mira ad aiutarci a rivivere in noi lo stile e la prassi di Gesù, invitandoci, con una scelta pedagogicamente efficace, a praticare ora l’uno ora l’altro dei multiformi aspetti della sua vita: l’educazione del desiderio in Avvento, quella dell’agonismo in quaresima.

Il problema è esposto chiaramente proprio all’inizio di questa stagione liturgica in tre tappe: si parte dall’origine del guasto che ha segnato l’umanità (Gen 2,7-9;3,1-7), si racconta poi come Dio ha trovato il modo di riparare tale ferita (Rm 5,12-19), e si finisce con uno sguardo sulle tentazioni di Gesù, che ci danno direttive precise di come, e su cosa, vada ingaggiata la lotta per collaborare con Dio a guarire guasti e ferite (Mt 4,1-11).

Forse ci vorrà un po’ di tempo per commentare tutte e tre le tappe, ma è il caso di ricordare ai fedeli nell’assemblea, che una delle pratiche suggerite per vivere bene la quaresima è di ridurre chiacchiere e distrazioni varie per dare un po’ più di tempo all’ascolto della Parola di Dio.

Il peccato delle origini

Per cominciare, la prima Lettura offre un’occasione eccellente per proporre alcune osservazioni su come vada letta la Bibbia. Il problema è di primissimo piano: da dove arriva il male che c’è nel mondo? E come ciò si accorda con la fede in un Dio buono?

L’autore biblico non fa discorsi teorici, ma presenta il tema attraverso un racconto in cui ciascuno possa facilmente riconoscersi.

Anzitutto, ci viene detto che l’uomo è fatto di «terra» (questo è il senso del nome Adamo), ma che in lui Dio «soffia un alito di vita», e che lo colloca in un meraviglioso giardino. Nel giardino stanno due alberi: quello della «vita», offerto all’uomo come fonte della sua alimentazione; e quello della «conoscenza del bene e del male», riservato a Dio, per cui l’uomo non deve «né mangiarne né toccarlo», pena la morte. Come si vede, è una visione netta, in bianco e nero.

Nel dialogo che inaugura il cammino dell’uomo, Dio rivendica per sé il potere di giudizio, e l’uomo deve sapere fin dal principio, e continuare a imparare che, per conoscere dove sta il bene e dove il male, deve “dipendere” da Dio, così come dipende da lui per il dono della vita. Da questo senso di dipendenza nasce la “religione” (la parola viene da religare), che così stabilisce il rapporto tra Creatore e creatura.

Qui interviene l’anti-Dio, che sarà poi chiamato Satana (l’avversario) e diavolo (il divisore), che stravolge tutto. La sua proposta trasforma l’idea di Dio, che era basata sul dialogo e sul dono, in quella di una divinità gelosa e invidiosa del bene dell’uomo. La mossa è astuta (a questo rimanda l’immagine del serpente), e i due ci cascano.

Ciò che segue spiega l’origine del male nelle creature umane. Ci si presenta un oggetto, un obiettivo, magari una persona, che è «buono da mangiare, gradevole agli occhi, e desiderabile per acquistare saggezza», e la donna mangia un «frutto» (mettiamo in cantina la “mela” e le barzellette relative!) dell’albero proibito, fa suo l’oggetto del desiderio risvegliato in lei, e ne dà anche al marito.

La conseguenza è disastrosa: si trovano ambedue ad essere non come Dio, ma «nudi», e nascondono la loro vergogna coprendosi con «foglie di fico». La dottrina cristiana, a partire, pare, da sant’Agostino, chiama questo fatto “peccato originale”, ma non in senso temporale, come un fatto che sia accaduto all’inizio della creazione, ma nel senso che tale vicenda illustra l’origine di ogni peccato e di ogni male.

Si rifletta! Lo sbaglio sta nelle illusioni che ci facciamo su ciò che sia davvero il vero bene e la fonte di ogni nostra soddisfazione. Non è tutta colpa nostra. San Bernardo, per esempio, ha detto che Dio non ha salvato gli angeli ribelli perché lo sbaglio è venuto dal di dentro di loro, mentre ha salvato l’uomo perché vittima di un’astuzia che lo ha accecato “da fuori”, anche se vi ha collaborato la sua complicità, e lo ha salvato grazie a un altro “uomo”, come è detto nella lettura che segue.

Nascere nella notte

Il brano di Paolo sembra contraddire quanto ho appena detto, e rimandare alla sola persona di Adamo (curioso che non si parli di Eva…) la responsabilità di tutto ciò che ne è derivato.

Il problema di come si è “trasmesso” il peccato da Adamo al resto dell’umanità è complesso. Limitiamoci a constatare il fatto. Una risposta rapida la offre un geniale aforisma di Maurice Bellet: «Se volete capire cos’è il peccato originale, potete rileggere la Genesi o la Lettera ai Romani. Se la cosa non vi è abbastanza chiara, aprite il giornale» (Minuscule traité acide de spiritualité, p. 92).

Conviene stare a ciò che dà forza all’argomentazione di Paolo: la contrapposizione tra Adamo – che significa “fatto di terra”, da intendere come sintesi dell’intera umanità – e Cristo, immagine di un nuovo Adamo, rifatto nell’innocenza originaria. Uno contro uno, uno che porta nel mondo la morte, e un altro che vi riporta il dono della vita, un dono gratuito, paradossalmente ottenuto mediante un’«obbedienza fino alla morte» (Fil 2,8), che ripara la “disobbedienza” del primo uomo.

Tra questi due poli si svolge la “lotta” che è la materia stessa della spiritualità, da vivere soprattutto, ma non solo, in quaresima, partendo dalla convinzione che veniamo al mondo già handicappati nel discernere il nostro vero bene, e deboli nella capacità di realizzarlo, perché – come è stato detto – noi «nasciamo nella notte».

La libidine del potere

Cosa comporti e quanto costi tale “obbedienza” lo scopriamo nel brano di vangelo che, come ogni anno, ci illustra le tentazioni di Gesù nel deserto.

L’ambientazione è già significativa: a differenza di Adamo, che era stato collocato in un “giardino”, Gesù è condotto dallo Spirito nel “deserto”, quello al quale il mondo era stato ridotto dalla colpa d’origine. Ma il deserto evoca anche, e soprattutto, l’esodo degli ebrei quando uscirono dall’Egitto, con un passaggio significativamente intitolato “dalla schiavitù al servizio” come recita il titolo di un bel commento. Questo anche perché le risposte di Gesù alle tre tentazioni del diavolo si rifanno al Deuteronomio che commenta il senso dell’esodo: la prima a Dt 8,3, la seconda a Dt 6,16, la terza a Dt 6,13. Siamo ancora all’uno contro uno, dove “Adamo” incarna l’intero popolo di Israele nel suo percorso verso la liberazione.

Gesù è tentato a vincere, con un prodigio, la fame e il pericolo, per concludere con l’invito ad adorare Satana per avere potere su tutto il mondo. Come ha scritto con molta acutezza Maurice Bellet, in un passo già citato nella III di Avvento, tutte le tre tentazioni riguardano il “potere”, perché in fondo la libido dominandi è la più pericolosa delle tre classiche concupiscenze (cf. 1Gv 2,16).

I progenitori furono tentati di diventare come Dio, padroni di pieni poteri! Così non avrebbero dovuto più rendere conto a nessuno di che uso avrebbero fatto della loro libertà. Disobbedirono e, alla fine, si ritrovarono nudi e destinati alla morte. Noi siamo, invece, chiamati all’«obbedienza della fede» (Rm 1,5), il che ci chiede anzitutto di rinunciare alla libidine del potere per una scelta di servizio.

La sintesi di tutto la trovo nel grandioso inizio della Regola Benedettina: «Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro, perché tu possa far ritorno con la fatica dell’obbedienza a colui dal quale ti eri allontanato con l’inerzia della disobbedienza. A te si rivolge ora la mia parola, chiunque tu sia che rinunci alla tua propria volontà, prendendo le armi potenti e gloriose dell’obbedienza per militare al servizio di Cristo Signore, il vero re» (Prol. 3). È una buona regola, per tutti.

A cura di Nico Guerini, studioso di letteratura, esperto di testi di mistica, ha pubblicato vari libri di spiritualità.

Fonte


Letture della Domenica
I DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO A
Colore liturgico: VIOLA

Prima Lettura

La creazione dei progenitori e il loro peccato.

Dal libro della Gènesi
Gen 2,7-9; 3,1-7

Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Sal 50 (51)

R. Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. R.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito. R.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode. R.

Seconda Lettura

Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Rm 5,12-19

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. Parola di Dio.

Forma breve:

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
5, 12.17-19

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

Parola di Dio

Vangelo

Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 4, 1-11

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Parola del Signore

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