Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 15 Novembre 2020

Il buon uso dei doni di Dio

Dopo la parabola delle 10 vergini, proseguendo la meditazione sul capitolo XXV di Matteo, ci si imbatte nella parabola dei talenti. Questo uomo ricco, immagine di Dio, distribuisce ai suoi servi i suoi beni, ossia i suoi doni di grazia. Questi doni sono descritti come talenti, unità di misura di grande valore, corrispondenti ciascuno a circa 30 chilogrammi d’oro. Il criterio utilizzato da Dio nel distribuire i suoi ricchi doni di grazia è quello di affidare a ciascuno abbondantemente, rispettando le capacità dei singoli.

Questo padrone ha piena fiducia nei suoi servi, tanto da lasciare loro questi beni preziosi senza preoccuparsi. Dei tre servi, i primi due riconoscono oltre ai doni ricevuti anche la responsabilità di farli fruttare e investendo i talenti, ne guadagnano altrettanti, rispettivamente cinque e due in più. L’altro servo, invece, pur riconoscendo la preziosità del dono ricevuto si lascia bloccare dalla paura di perderlo e lo seppellisce, senza investirlo. Al ritorno alla fine dei tempi, ciascun servo deve rendere conto di come ha gestito i doni che gli sono stati affidati.

Chi ha saputo investire e far fruttificare viene lodato e Dio e, avendo mostrato fedeltà nel piccolo, riceve un dono ancora più grande, ossia la partecipazione alla gioia del padrone, la vita eterna. Di fronte a questa gioia, anche i ricchi e preziosi doni della grazia, sono considerati poca cosa. Il servo pauroso, invece, incapace di accettare il rischio di mettersi in gioco e di far fruttificare il dono, cerca di giustificare il proprio immobilismo con la severità del padrone. Il padrone-Dio chiama questo servo “malvagio e pigro” e gli fa togliere tutto, escludendolo totalmente da ogni relazione con lui nel pianto e nello stridore dei denti.

La diversa sorte dei servi buoni e fedeli e del servo malvagio, sono immagine di quanto potrebbe accadere anche per noi: la vita eterna, come partecipazione alla gioia del Signore o la dannazione eterna, come esclusione totale da ogni relazione con Lui, dovuta a nostre scelte irrevocabili. Leggendo ancora il testo con attenzione, poi, emerge come il differente modo di agire dei tre servi sia profondamente collegato alla considerazione della figura del padrone che essi avevano.

I due servi che hanno fatto fruttare i doni consideravano il padrone-Dio buono, misericordioso e pieno di fiducia in loro. Il servo malvagio e pigro, invece, aveva un’immagine di Dio, come un essere severo e spietato. La visione che abbiamo di Dio nella nostra vita, in altre parole, ha un influsso sul nostro modo di agire e di spendere le nostre energie e il nostro tempo, fino a condizionare la nostra stessa sorte eterna.


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